Qualificazione del lavoro a domicilio come autonomo o subordinato (Cass. n. 10007/2013)

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CASSA INTEGRAZIONE E LICENZIAMENTO
DOPO LA RIFORMA

Maggioli Editore – Novità Febbraio 2013

 

 

 

 

 

Massima

Ai fini della qualificazione del lavoro a domicilio come autonomo o subordinato – secondo la configurazione risultante dalla disciplina contenuta nella L. 877/1973, che, nel superare la distinzione fra lavoro a domicilio autonomo e subordinato, ha innovato rispetto a quella prevista dalla L. 264/1958 – assume rilevanza la possibilità attribuita al lavoratore di accettare o rifiutare le singole commesse, all’esito di trattative concernenti le caratteristiche del lavoro ed il prezzo da stabilire di volta in volta, dovendosi accertare, in particolare, se tale possibilità di negoziazione sia limitata in ambiti prefissati dal contratto di lavoro, inserendosi in esso quale modalità di esecuzione, ovvero sia espressione di una realtà incompatibile con il lavoro subordinato, configurandosi, in tal caso, tanti contratti di lavoro autonomo per quante sono le singole commesse.

 

1. Questione

La Corte di Appello, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda della lavoratrice, proposta nei confronti della società, avente ad oggetto la condanna della predetta società al pagamento di differenze retributive conseguenti l’intercorso rapporto di lavoro a domicilio.

La Corte, rilevato che correttamente il giudice di primo grado aveva considerato la società decaduta dalla prova per testi non essendosi questi – senza alcuna giustificazione – presentati all’udienza fissata per la loro escussione, riteneva infondata l’eccezione di nullità del ricorso sollevata dalla società, avendo il Tribunale correttamente ritenuto “la completezza del ricorso e la sua piena rispondenza al dettato dell’art. 414 cpc”.

Inoltre, la Corte di Appello riteneva che la ritenuta subordinazione poteva essere esclusa dalla circostanza che la lavoratrice aveva prestato lavoro alle dipendenze di altro datore non essendo, tra l’altro, nemmeno allegata una pattuizione di non concorrenza. Infine la Corte del merito riteneva non contestati i conteggi elaborati sulla base delle “pinzate” e tanto in considerazione della circostanza della genericità di detta contestazione priva di qualsiasi riferimento ai tempi di lavoro occorrenti per ciascuna “pinzata”.

Avverso questa sentenza la società ricorre in cassazione, il quale ricorso viene rigettato.

 

2. Caratteristiche del lavoro a domicilio

Il lavoro a domicilio secondo la configurazione risultante dalla disciplina contenuta nella L. 18 dicembre 1973, n. 877, che, nel superare la distinzione fra lavoro a domicilio autonomo e lavoro a domicilio subordinato, ha innovato rispetto a quella prevista dalla L. 264/1958 – realizza una forma di decentramento produttivo, caratterizzata dal fatto che l’oggetto della prestazione del lavoratore viene in rilievo non come risultato (“opus”), ma come energie lavorative (“operae”) utilizzate in funzione complementare o sostitutiva del lavoro eseguito all’interno dell’azienda e, quindi, in esso il vincolo di subordinazione consiste nell’inserimento dell’attività del prestatore nel ciclo produttivo aziendale, di cui quest’ultimo – benchè operante all’esterno e con la predisposizione di propri mezzi ed attrezzature – diviene elemento integrativo; mentre si configura la distinta fattispecie del lavoro autonomo allorchè sia riscontrabile, nel soggetto cui l’imprenditore commette un determinato “opus”, una distinta organizzazione, a proprio rischio, dei mezzi produttivi ed una struttura di tipo imprenditoriale (al qual fine, non è, peraltro sufficiente la mera iscrizione nell’albo delle imprese artigiane) – circostanze, queste ultime, la cui valutazione è demandata al prudente apprezzamento del giudice del merito, peraltro secondo il canone interpretativo da ritenere, nel dubbio, sussistente lo speciale rapporto di lavoro a domicilio” (Cass. civ., 14 novembre 1995, n. 11796).

Come pure rilevato dalla Cass. civ., 25 agosto 2003, n. 12458, nel lavoro a domicilio “il vincolo della subordinazione è qualificato non tanto dall’elemento della collaborazione, intesa come svolgimento di attività per il conseguimento dei fini dell’impresa, quanto da quello, tipico, dell’inserimento dell’attività lavorativa nel ciclo produttivo dell’azienda, di cui il lavoratore a domicilio diviene elemento, ancorchè esternò, perchè tale condizione si realizzi, è sufficiente che il lavoratore esegua lavorazioni analoghe ovvero complementari a quelle eseguite all’interno dell’azienda, sotto le direttive dell’imprenditore, le quali non devono necessariamente essere specifiche e reiterate, essendo sufficiente, secondo le circostanze, che esse siano inizialmente impartite una volta per tutte, mentre i controlli possono anche limitarsi alla verifica della buona riuscita della lavorazione, in questo quadro, è riscontrabile la diversa fattispecie del lavoro autonomo solo allorchè sia presente, presso il soggetto cui l’imprenditore commette una determinata opera, una distinta organizzazione dei mezzi produttivi ed una struttura imprenditoriale, con assunzione da parte del medesimo dei relativi rischi”.

Sussiste perciò lavoro a domicilio ai sensi legge quando ricorrono i requisiti indicati dall’art. 1 della L. 877/1973 come modificato dall’art. 2 della L. 858/1980.

E’ necessario, in particolare, che il prestatore esegua il lavoro, nel proprio domicilio oppure in un locale di cui abbia la disponibilità, personalmente, o anche con l’aiuto accessorio di membri della sua famiglia conviventi e a carico, ma con esclusione di manodopera salariata o di apprendisti, che sia tenuto ad osservare le direttive dell’imprenditore per quel che riguarda le modalità di esecuzione, le caratteristiche e i requisiti del lavoro da svolgere, e che il datore di lavoro possa fare affidamento sulla prestazione del lavorante a domicilio, prestazione che si inserisce così nel ciclo produttivo aziendale e diviene elemento integrativo dell’attività imprenditoriale.

In base ai suddetti principi,

–          la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva qualificato quale rapporto di lavoro subordinato a domicilio il rapporto intercorrente tra una società ed alcune lavoratrici, valorizzando, fra l’altro, l’inserimento delle predette nel ciclo produttivo aziendale, l’assenza di concreti margini di discrezionalità delle stesse nell’esecuzione del lavoro, la correlazione del compenso al tipo di pezzo da lavorare e la determinazione da parte della società dei tempi di consegna (Cass. civ., Sez. lavoro, 11/01/2011, n. 461);

–          la Suprema Corte ha cassato la sentenza di merito che, nel qualificare la fattispecie oggetto di cognizione come lavoro a domicilio, non aveva, però, adeguatamente motivato in ordine alle circostanze, pur riferite in sentenza, per cui i lavoratori avevano la possibilità di accettare o rifiutare le singole commesse di lavoro ovvero di negoziare il corrispettivo delle loro prestazioni, mancando di indagare sulla portata delle facoltà concesse ai lavoratori rispetto al contenuto complessivo del contratto di lavoro e se esse, quindi, potessero caratterizzare o meno il rapporto come ipotesi di lavoro autonomo (Cass. civ., Sez. lavoro, 19/10/2007, n. 21954;

–          la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata che non si era attenuta all’enunciato principio, valorizzando essenzialmente il contenuto e la durata nel tempo della prestazione, sottolineando il carattere non artistico ma seriale della stessa, l’assenza di organizzazione in capo ai prestatori, pantografisti a domicilio, desunta dalla non disponibilità dei più significativi arnesi e macchinari per eseguire il lavoro, trascurando elementi quali la volontà esplicitata dalle parti e la valutazione dei caratteri minimi della subordinazione (Cass. civ., Sez. lavoro, 16/10/2006, n. 22129);

–          la Suprema Corte ha confermato la sentenza della corte territoriale che aveva fatto corretto uso dei principi indicati pervenendo alla conclusione dell’insussistenza degli estremi del rapporto di lavoro a domicilio per non essere il lavoro svolto sulla base di un campione, posto che la committente si limitava ad indicare la collocazione del disegno e il relativo oggetto; per l’utilizzo, da parte del lavoratore, di attrezzature di sua proprietà; per essere il compenso concordato di volta in volta, tenendo conto del tipo e delle difficoltà del lavoro; per non essere emerso, in giudizio, alcun obbligo della lavoratrice di accettare il lavoro ovvero di rispettare precisi termini di consegna del lavoro accettato, tali circostanze escludendo, unitamente all’iscrizione della lavoratrice nell’albo degli artigiani e all’emissione di fatture per il lavoro svolto, che l’oggetto della prestazione della lavoratrice potesse inquadrarsi nell’ambito della messa a disposizione di energie lavorative, non rilevando, in senso contrario, che il materiale venisse fornito dalla committente che ne curava la consegna e il ritiro del prodotto (Cass. civ., Sez. lavoro, 04/10/2006, n. 21341).

 

Rocchina Staiano
Dottore di ricerca; Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato. E’ stata Componente della Commissione Informale per l’implementamento del Fondo per l’Occupazione Giovanile e Titolare di incarico a supporto tecnico per conto del Dipartimento della Gioventù.

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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