La tipica sanzione prevista per l’invalidità del provvedimento amministrativo è l’annullabilità (Cons. Stato n. 922/2013)

Redazione 15/02/13
Scarica PDF Stampa

FATTO

Con il ricorso di primo grado era stato chiesto dalla parte odierna appellante principale l’annullamento del permesso di costruire 1° dicembre 2003 n. 29/03 rilasciato dal comune di Orta San Giulio alla odierna appellante incidentale Conca d’Oro s.r.l, della variante n. 4bis al P.R.G.C. dal comune di Orta San Giulio, approvata in via definitiva con deliberazione consiliare 26.2.2003 n. 8 e degli atti a questi prodromici e connessi.

V. Camillo e N. Elisabetta, comproprietari insieme con altri di un immobile sito in Orta San Giulio, avevano fatto presente che il permesso di costruire avversato era relativo alla trasformazione di una modesta costruzione, adibita ad albergo ristorante denominato “La conca d’oro” con sette camere, in una struttura di ben maggiori proporzioni: la variante al PRG, adottata con deliberazione consiliare n. 42 del 2002 ed approvata con deliberazione n. 8 del 2003, aveva dato atto della preesistenza di quaranta camere (circostanza, ad avviso degli originari ricorrenti, inverosimile).

Essi avevano evidenziato che con la medesima variante era stata approvata la modifica all’art. 77 NTA del PRG, che prevedeva tra gli insediamenti esistenti l’hotel ex Conca d’oro con cinquanta camere e ne consentiva l’ampliamento anche attraverso la demolizione e successiva ricostruzione, con monetizzazione degli spazi adibiti a servizi e modifica del calcolo della superficie lorda.

Avevano prospettato numerose censure di violazione di legge ed eccesso di potere attingenti sia il permesso di costruire che la variante facendo presente, quanto a questa ultima,che essa doveva anche considerarsi nulla in quanto fondata sul falso presupposto della preesistenza di quaranta camere.

Il primo giudice ha partitamente preso in esame le censure dedotte, muovendo da quelle che attingevano la variante.

Ha in proposito rimarcato che il ricorso era irricevibile, essendo stato notificato nel 2006, laddove la variante (immediatamente lesiva, data la sua portata specifica, degli interessi degli originarii ricorrenti) risaliva al 2003 e costituiva principio pacifico quello il quale il termine di impugnazione di uno strumento urbanistico generale decorreva dall’ultimo giorno di pubblicazione all’albo pretorio, che aveva l’effetto di determinare la presunzione iuris et de iure di conoscenza del provvedimento.

Né a tale discrasia temporale poteva porsi rimedio sostenendo la nullità della variante. Quand’anche la stessa fosse stata fondata sul falso presupposto della preesistenza di un numero di camere in realtà mai esistito, il vizio riscontrabile sarebbe stato quello del travisamento del fatto, denunciabile nei termini in cui poteva essere fatta valere la illegittimità: i motivi di ricorso proposti avverso la variante sono stati pertanto dichiarati irricevibili.

Quanto alle censure avversanti il permesso di costruire (la cui asserita tardività non era stata provata dalle originarie resistenti) invece, il primo giudice (che aveva disposto verificazione in corso di causa) ha dato atto che era emerso che il vecchio hotel Conca d’Oro, secondo quanto si ricavava dai progetti dell’originaria licenza edilizia, a suo tempo rilasciata a tale ************** (unico parametro ritenuto possibile in sede di operazioni, essendo stato già interamente demolito il vecchio edificio), aveva un’altezza massima di 11 metri e 30 centimetri, laddove il provvedimento impugnato consentiva l’elevazione a metri 14,50, corrispondente alla rappresentazione progettuale presentata dalla società richiedente.

La zona ove l’immobile insisteva, era normata dall’art. 77 NTA, secondo il quale , altezza dell’edificio ricostruito “dovrà essere contenuta nella sagoma di ingombro massimo dell’edificio preesistente”.

Ad avviso del primo giudice, tale norma regolamentare rendeva palese l’intenzione del pianificatore di non consentire l’incremento dell’altezza rispetto all’ingombro, evidentemente in verticale, dell’immobile esistente; secondo il senso delle parole, la comparazione non doveva essere condotta punto per punto, ma assumendo come secondo termine la sagoma, quindi la proiezione del punto più alto per tutto l’ingombro orizzontale della costruzione.

Ne conseguiva che, come reso palese dall’esito della verificazione, il permesso di costruire era affetto da illegittimità in quanto aveva assentito la realizzazione di un edificio di altezza maggiore rispetto a quella permessa.

L’ originaria parte ricorrente rimasta parzialmente soccombente ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe con riferimento alla dedotta irricevibilità delle censure contenute nel mezzo di primo grado e volte ad avversare la variante.

In particolare essa ha dedotto che la impugnativa della variante, in quanto volta a farne accertare la nullità, avrebbe dovuto essere dichiarata ricevibile ed accolta, previo esame nel merito delle censure proposte.

Ciò perché la variante in oggetto non aveva natura di variante generale, ma parziale: riguardava infatti un singolo e particolare immobile.

La impugnazione era pertanto tempestiva: in ogni caso il vizio di travisamento del fatto era eclatante (la preesistente struttura giammai avrebbe potuto constare di quaranta camere, e che si trattasse di un piccolo alberghetto “ad una stella” costituiva fatto notorio).

Sono state poi riproposte le censure assorbite dal primo giudice volte a dimostrare la illegittimità della variante medesima.

La originaria controinteressata ***** d’Oro s.r.l, rimasta parzialmente soccombente ha proposto un articolato appello incidentale volto ad avversare i capi della impugnata decisione che avevano annullato il permesso di costruire n. 29/2003.

In particolare, essa ha dedotto che il mezzo di primo grado avrebbe dovuto essere dichiarato tardivo anche con riferimento a tale segmento impugnatorio posto che al momento della presentazione del ricorso i lavori erano ormai in corso di ultimazione.

La percezione della asserita lesività della costruzione, pertanto (posto che veniva lamentato, tra l’altro, il superamento dei limiti in altezza) emergeva con certezza già ben antecedentemente al momento individuato dal primo giudice quale termine decadenziale della proposizione del mezzo di primo grado (risalente al 2006).

Come emergeva dagli atti di causa su impulso della locale Procura della Repubblica di Verbania il Comune aveva affidato una perizia sull’immobile al geometra ********: in data 6.7.2005 venne depositata dal detto geometra la relazione tecnica dalla quale si evinceva che le caratteristiche volumetriche e strutturali del manufatto erano quelle corrispondenti al progetto.

Quantomeno a detta data quindi, avuto riguardo alle illegittimità paventate (altezza massima e distanza dai confini), parte appellante era ben in grado di percepire la lesività dell’opera.

Secondariamente, parte appellante incidentale aveva eseguito quanto rappresentato nel progetto; aveva confidato che le dimensioni “legittime” dell’edificio ricostruendo fossero quelle riscontrate al tempo della presentazione del progetto: la difformità di mt. 3,5 (rispetto all’altezza del fabbricato siccome individuata nella licenza di costruire originariamente rilasciata nel 1956) individuata nella perizia di parte al più poteva essere ascrivibile ad un abusivo intervento di sopraelevazione comunque antecedente al 1965: sussisteva pertanto il proprio legittimo affidamento nella regolarità delle opere eseguite.

Il Comune di Orta San Giulio ha depositato una memoria chiedendo la reiezione dell’appello principale ed un articolato appello incidentale volto ad avversare i capi della impugnata decisione che avevano annullato il permesso di costruire n. 29/2003 e nell’ambito del quale è stata ribadita la eccezione di inammissibilità per tardività e difetto di legittimazione del mezzo di primo grado proposto dalla parte orinaria ricorrente ed odierna appellante principale.

La Provincia regionale di Novara ha depositato una articolata memoria chiedendo la reiezione dell’appello principale perché infondato.

Alla camera di consiglio del 4 Marzo 2008 fissata per la delibazione della istanza di sospensione della esecutività della sentenza gravata la Sezione ha accolto con ordinanza n. 1125/2008 la domanda di sospensiva alla stregua della considerazione per cui “in un quadro comparativo d’interessi, pare, allo stato, prevalente l’interesse dell’appellante incidentale Conca d’Oro s.r.l. al completamento della costruzione in relazione alla quale è stata pronunciata la contestata statuizione d’illegittimità del permesso di costruire, tenuto anche conto che un eventuale esito negativo del medesimo appello incidentale consente comunque il ripristino della situazione nei limiti della riscontrata illegittimità della costruzione;

Ritenuto viceversa che, sempre ad una prima sommaria delibazione, non pare che il ricorso principale sia assistito dalla prescritto fumus, in relazione alla statuita irricevibilità della impugnativa della variante proposta di p.r.g.;.”

Alla odierna pubblica udienza del 22 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione dal Collegio.

 

DIRITTO

1.L’appello principale è infondato e merita la reiezione. Parimenti merita di essere disatteso l’appello incidentale: la gravata sentenza deve pertanto essere integralmente confermata.

1.Va premesso che il Collegio ritiene che la causa sia sufficientemente istruita e che, pertanto, vadano disattese le istanze istruttorie formulate dalle parti.

1.1. Sebbene le appellanti incidentali propongano doglianze che, sotto il profilo logico, dovrebbero essere scrutinate in via prioritaria, ritiene il Collegio di esaminare gli appelli proposti muovendo dalla disamina dell’appello principale.

2. Quanto appunto all’appello principale proposto dai ********** e N., l’intero ventaglio di censure scrutinabili si risolve nella disamina di due distinti ma connessi versanti d’indagine: occorre prendere in esame la tesi secondo la quale i vizi attingenti la detta delibera trasmodavano la mera illegittimità e si risolvevano nella radicale nullità della stessa (dal che conseguirebbe, secondo la tesi di parte appellante, la rilevabilità del vizio senza limiti di tempo e la inutilità di vagliare i profili di tempestività del mezzo di primo grado).

Sotto il profilo processuale (e con argomenti strettamente legati alla censura di nullità sulla quale ci si è prima soffermati) va invece esplorata la ritualità del mezzo di primo grado con riferimento alle censure proposte avverso la variante al PRG, adottata con deliberazione consiliare n. 42 del 2002 ed approvata con deliberazione n. 8 del 2003 verificando la esattezza della statuizione del primo giudice secondo la quale- avuto riguardo alla circostanza che il mezzo di primo grado era stato proposto nel 2006 – il ricorso era tardivo.

3. Tutte le censure proposte dall’appellante principale possono essere scandagliate facendo richiamo ai consolidati principi in passato resi dalla giurisprudenza amministrativa in materia.

3.1. Va premesso che il Collegio ritiene che – contrariamente a quanto sostenuto dal Comune nel proprio appello incidentale- non possa assolutamente dubitarsi della legittimazione a ricorrere in capo alla odierna parte appellante principale in adesione al consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui “il possesso del titolo di legittimazione alla proposizione del ricorso per l’annullamento di una concessione edilizia, che discende dalla c.d. vicinitas, cioè da una situazione di stabile collegamento giuridico con il terreno oggetto dell’intervento costruttivo autorizzato, esime da qualsiasi indagine al fine di accertare, in concreto, se i lavori assentiti dall’atto impugnato comportino o meno un effettivo pregiudizio per il soggetto che propone l’impugnazione “(Cons. Stato Sez. IV, 29-08-2012, n. 4643). Il Comune appellante incidentale con doglianza genericamente formulata e per di più articolata soltanto in grado di appello dubita della legittimazione degli appellanti principali in quanto non avrebbero provato il proprio titolo di proprietà: senonchè trattasi di eccezione proposta in grado di appello, contrastante con le allegazioni di parte rese già in primo grado, e pertanto prima che inammissibile infondata per difetto di prova (l’appellante avrebbe dovuto fornire un principio di prova, anche fondato su resultanze catastali, etc dal quale risultasse la non titolarità da parte degli appellanti principali dell’immobile sito nel comune).

Quanto alle connesse argomentazioni secondo cui la impugnazione della variante sarebbe stata tempestiva avuto riguardo alla “natura” (particolare, e non generale) della stessa, rammenta il Collegio che costituisce approdo pacifico, in giurisprudenza, quello per il quale “al fine di determinare se una variante a un p.r.g. abbia carattere generale o particolare, si deve fare riferimento alle prescrizioni contenute nel provvedimento. Qualora esse incidano su ampie zone territoriali e su una molteplicità di soggetti esse hanno carattere generale e devono essere impugnate dalla data di pubblicazione dell’atto. Nel caso in cui la variante urbanistica riguardi invece un bene specifico, incidendo direttamente su un determinato soggetto, essa ha carattere particolare e la p.a. ha l’obbligo di notificare all’interessato il provvedimento, dalla cui data decorre il termine di impugnazione dell’atto.” (Cons. Stato Sez. VI, 15-12-2009, n. 7963).

L’appellante equivoca sul significato di tale principio e ritiene che “soggetto interessato” sia qualunque proprietario di immobili insistenti sull’area normata pur se non direttamente contemplato dalla variante medesima. Il Collegio ben conosce il surrichiamato orientamento giurisprudenziale sul quale l’appellante principale fonda il proprio opinamento, teso a dimostrare che, se anche i vizi attingenti la variante gravata riposassero nella illegittimità della medesima (e non già nella dedotta nullità) ugualmente il gravame di primo grado diretto ad attingere quest’ultima sarebbe stato tempestivo.

Esso costituisce jus receptum nella giurisprudenza di merito, essendosi a più riprese affermato che “ il termine per impugnare la variante che non è destinata a disciplinare l’intero territorio comunale, ma ha un contenuto particolare che incide in concreto soltanto su alcune aree, tra le quali quelle delle ricorrenti, non decorre dalla pubblicazione della delibera regionale di approvazione nel BUR e neppure dall’ultimo giorno della pubblicazione all’Albo Pretorio dell’avviso di deposito presso gli uffici comunali dei documenti relativi al piano approvato, bensì dalla data in cui risulta che le ricorrenti medesime hanno acquisito la piena conoscenza degli atti impugnati (T.A.R. Sicilia, Catania, 28 gennaio 2002, n. 127; T.A.R. Calabria, Catanzaro, 19 febbraio 2004, n. 426; T.A.R. Piemonte, sez. I, 16 marzo 2004, n. 417 T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, 19-12-2005, n. 4073 ).

Senonchè, da un canto, detto orientamento giurisprudenziale indicato non è traslabile alla posizione dell’appellante in quanto esso (Cons. Stato Sez. VI, Sent., 15-12-2009, n. 7963)) concerne i soggetti “direttamente interessati” dalla variante in quanto destinatari di un vincolo preordinato all’esproprio e non anche la indifferenziata collettività che dalla variante assuma ricevere un danno.

Sotto altro profilo, nel caso di specie l’appellante principale ha avversato la variante nella parte in cui essa ha modificato l’art. 77 delle NTA. Essa, pertanto, incideva su una norma di piano afferente in via di principio all’intero territorio comunale e non può pertanto definirsi “particolare”, trattandosi semmai di una variante generale a contenuto normativo ( ex multis: “la variante urbanistica può rispondere ad esigenze diverse, sicché si distingue tra varianti normative, che concernono soltanto le norme di attuazione del piano regolatore generale, le varianti specifiche che riguardano soltanto una parte del territorio comunale (e rispondono quindi all’esigenza di fare fronte a sopravvenute necessità urbanistiche parziali e localizzate) e varianti generali che dettano una nuova disciplina generale dell’assetto del territorio, resesi necessarie perché il piano regolatore generale ha durata indeterminata e quindi deve essere soggetto a revisioni periodiche. Ne consegue che è ben possibile che la variante al piano regolatore generale venga, in ragione di sopravvenuti interessi pubblici, adottata in modifica delle norme di attuazione dello stesso, tanto con portata specifica quanto con portata generale.”T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, 27-01-2012, n. 200).

Ne consegue che la decorrenza del termine di impugnazione, quanto ai profili di dedotta illegittimità, è quella individuata dal primo giudice: l’art. 77 delle norme di attuazione del PRG, approvato come variante parziale in via definitiva con deliberazione consiliare n. 8 del 26 febbraio 2003 operava un riferimento agli interventi consentiti, mediante concessione convenzionata, per ampliamento attraverso la demolizione e ricostruzione dell’hotel ex Conca d’Oro.

Per la parte che tendeva alla demolizione di tale norma di piano, deve confermarsi che il ricorso di primo grado era irricevibile, essendo stato notificato nel 2006, laddove la variante (immediatamente lesiva, data la sua portata specifica, degli interessi dei originarii ricorrenti) risaliva al 2003 ed essa ( in quanto avente natura generale e normativa) non avrebbe dovuto essere personalmente comunicata ai medesimi. Ciò (anche) in quanto la odierna parte appellante non assumeva la qualifica di “interessata” ovvero di “soggetto inciso” dalla medesima: non era ivi contemplata, la variante non avrebbe dovuto essergli comunicata personalmente e, pertanto, la decorrenza iniziale del termine per proporre la impugnazione non poteva farsi coincidere con la avvenuta conoscenza della stessa.

3.1.1. L’appellante infatti – come sinora dimostrato – non potrebbe in ogni caso utilmente traslare su se stesso il principio secondo cui, allorchè non ricorra il concetto di “variante generale”, (il che avviente quando le previsioni urbanistiche costituiscano atti di pianificazione a contenuto singolo, e i vincoli espropriativi vengano a incidere in modo diretto e immediato sui soggetti destinatari del vincolo reiterato -Cons. St., Sez. IV, n. 1904 del 23.12.1998-) il termine di impugnazione deve farsi decorrere dalla notifica individuale: ciò proprio perché non trattavasi di soggetto direttamente interessato né contemplato dalla variante e, quindi, quest’ultima non doveva essergli notificata personalmente, quale che fosse la natura della medesima. 3.2. Ciò tuttavia non esaurisce il vaglio sull’appello principale demandato al Collegio, in quanto l’appellante sostiene anche che la delibera predetta, in quanto attinta dal radicale vizio di nullità avrebbe potuto essere gravata in ogni tempo (ex multis: “la nullità dei provvedimenti amministrativi dinanzi al Giudice amministrativo è rilevabile d’ufficio, alla stregua dei principi generali in tema di nullità e di quanto stabilito dall’art. 1421 cc evidentemente applicabili anche nel processo amministrativo in specialmodo nelle ipotesi in cui la validità ed esecutività del provvedimento costituisca oggetto della controversia.” -Cons. Stato Sez. V, 18-11-2011, n. 6092-)

3.2.1. Il Collegio non condivide tale argomentare neppure a livello di ipotesi: il vizio da cui sarebbe attinta l’azione amministrativa (afferente alla preesistente consistenza dell’albergo) è quello di travisamento del fatto: ciò implica la violazione di un parametro di legittimità, sussumibile nella macrocategoria definitoria dell’eccesso di potere.

Detto vizio era pertanto soggetto a contestazione nell’ordinario termine decadenziale.

3.2.2. L’appellante ha infatti prospettato due tipologie di illegittimità afferenti la variante n. 4 bis al PRGC comunale: quella relativa alla modalità di approvazione della medesima (lamentando che il Comune si fosse determinato ad approvare la detta variante con procedura “semplificata”, in violazione dell’art. 17 comma 7 della legge regionale del Piemonte n. 56/77 pur non ricorrendone i presupposti, posto che la modifica alla destinazione d’uso era superiore a mq 200) e quella sostanziantesi nella asserita assenza assoluta di presupposti/travisamento del fatto, laddove la consistenza originaria dell’immobile, (pari a sette camere, al più corrispondenti a quaranta posti-letto) era stata illegittimamente ed erroneamente quantificata in quaranta camere.

3.2.3. L’abile difesa dell’appellante ha cercato di “saldare” i detti due elementi, sostenendo quindi che, da un canto, l’iter della variante (in quanto la procedura prescelta non era quella esatta e corrispondente alla disposizione di legge) non si era mai completato, e che la stessa dovesse essere pertanto considerata “inesistente” od “inefficace”.

Per altro verso, che l’errore di fatto in cui era incorso il comune “confondendo” il numero di camere con quello dei posti letto, rendeva nullo il provvedimento.

3.2.4. Il Collegio non può concordare con alcuno di tali assunti. La norma invocata dall’appellante (dell’art. 17 della L.R. del Piemonte n. 56/77) così infatti dispone: “. Il Piano Regolatore Generale è sottoposto a revisione periodica ogni dieci anni e comunque in occasione della revisione del Piano Territoriale. Esso mantiene la sua efficacia fino all’approvazione delle successive revisioni e varianti.

2. Le revisioni e le varianti del Piano Regolatore Generale non sono soggette ad autorizzazione preventiva e non richiedono la preliminare adozione della deliberazione programmatica.

3. Costituiscono varianti al Piano Regolatore Generale le modifiche degli elaborati, delle norme di attuazione, o di entrambi, quali definite ai commi 4, 6 e 7.

4. Sono varianti strutturali al Piano Regolatore Generale (43), da formare e approvare con le procedure di cui all’articolo 15, quelle che producono uno o più tra i seguenti effetti:

a) modifiche all’impianto strutturale del Piano Regolatore Generale vigente ed alla funzionalità delle infrastrutture urbane di rilevanza sovracomunale;

b) riducono la quantità globale delle aree a servizi per più di 0,5 metri quadrati per abitante, nel rispetto, comunque, dei valori minimi, di cui alla presente legge;

c) aumentano, per più di 0,5 metri quadrati per abitante, la quantità globale delle aree a servizi, oltre i minimi previsti dalla presente legge;

d) incidono sulla struttura generale dei vincoli nazionali e regionali indicati dal Piano Regolatore Generale vigente a tutela di emergenze storiche, artistiche, paesaggistiche, ambientali e idrogeologiche, fatte salve le correzioni di errori materiali di cui al comma 8, lettera a);

e) incrementano la capacità insediativa residenziale del Piano Regolatore Generale vigente, fatta eccezione per i Comuni con popolazione fino a diecimila abitanti con capacità residenziale esaurita, per i quali valgono le norme di cui al comma 7;

f) incrementano le superfici territoriali o gli indici di edificabilità del Piano Regolatore Generale vigente, relativi alle attività economiche produttive, direzionali, turistico – ricettive, commerciali, anche di adeguamento della disciplina della rete distributiva agli indirizzi ed ai criteri di cui all’articolo 3 della legge regionale sulla disciplina del commercio in Piemonte in attuazione del D.Lgs. n. 114/1998, risultanti dagli atti del piano medesimo, in misura superiore al 6 per cento nei Comuni con popolazione non eccedente i diecimila abitanti, al 3 per cento nei Comuni con popolazione non eccedente i ventimila abitanti, al 2 per cento nei restanti Comuni con popolazione superiore a ventimila abitanti. Tali incrementi devono essere realizzati su aree contigue a quelle urbanizzate o a quelle di nuovo impianto previste dal Piano Regolatore Generale vigente (44).

5. I limiti dimensionali di cui al comma 4 sono inderogabili e si intendono riferiti all’intero arco di validità temporale del Piano Regolatore Generale.

5-bis. La variante di adeguamento al Piano Regolatore Generale ai sensi del D.Lgs. n. 114/1998 è approvata dalla Giunta regionale entro centoventi giorni dalla data del suo ricevimento esclusivamente nel caso in cui contenga degli interventi attuabili a seguito di avvio delle procedure previste dagli articoli 8 e 9 del decreto medesimo (45).

6. Costituiscono varianti obbligatorie gli interventi necessari ad adeguare il Piano Regolatore Generale ad atti e strumenti di pianificazione statale, regionale, provinciale o comunque sovraordinata a quella comunale in forza di leggi statali e regionali o di atti amministrativi statali e regionali adottati in applicazione di dette leggi. Il procedimento di formazione di tali varianti si attua attraverso apposite conferenze dei servizi, ai sensi dell’articolo 18 della L.R. 25 luglio 1994, n. 27 (Norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), alla cui indizione provvede la Giunta regionale, entro quarantacinque giorni dall’assunzione di efficacia dell’atto sovraordinato da cui derivi la necessità di adeguamento del Piano Regolatore Generale. All’atto dell’indizione della conferenza la Giunta regionale ne disciplina lo svolgimento ed il termine di completamento (46) (47).

7. Sono varianti parziali al Piano Regolatore Generale, la cui adozione spetta al Consiglio comunale, quelle che non presentano i caratteri indicati nei commi 4 e 6, che individuano previsioni tecniche e normative con rilevanza esclusivamente limitata al territorio comunale con indicazione nella deliberazione da parte dei Comuni interessati della compatibilità con i piani sovracomunali, quelle che ammettono nuove destinazioni d’uso delle unità immobiliari di superficie pari o inferiore a duecento metri quadrati, site in fabbricati esistenti dotati di opere di urbanizzazione primaria, e quelle che consentono ai Comuni con popolazione inferiore a diecimila abitanti che hanno Piani Regolatori Generali vigenti con capacità insediativa residenziale esaurita, di incrementare la capacità insediativa residenziale stessa non oltre il 4 per cento. Tali incrementi devono essere realizzati su aree contigue a quelle residenziali già esistenti o a quelle residenziali di nuovo impianto previste dal Piano Regolatore Generale vigente, comunque dotate di opere di urbanizzazione primaria collegate funzionalmente con quelle comunali. La delibera di adozione è depositata in visione presso la Segreteria comunale ed è pubblicata presso l’Albo Pretorio del Comune. Dal quindicesimo al trentesimo giorno di pubblicazione, chiunque ne abbia interesse, ivi compresi i soggetti portatori di interessi diffusi, può presentare osservazioni e proposte anche munite di supporti esplicativi. La delibera di adozione deve essere inviata alla Provincia che, entro quarantacinque giorni dalla ricezione, si pronuncia con delibera di Giunta sulla compatibilità della variante con il Piano territoriale provinciale e i progetti sovracomunali approvati. Il pronunciamento si intende espresso in modo positivo se la Provincia non delibera entro il termine sopra indicato. Entro trenta giorni dallo scadere del termine di pubblicazione il Consiglio comunale delibera sulle eventuali osservazioni e proposte ed approva definitivamente la variante. Qualora la Provincia abbia espresso parere di non compatibilità con il Piano territoriale provinciale e i progetti sovracomunali approvati, la delibera di approvazione deve dare atto del recepimento delle indicazioni espresse dalla Provincia oppure essere corredata di definitivo parere favorevole della Giunta provinciale. Nel caso in cui tramite più varianti parziali, vengano superati i limiti di cui al comma 4, la procedura di cui al presente comma non può più trovare applicazione. La deliberazione di approvazione è trasmessa alla Provincia entro dieci giorni dalla sua adozione e alla Regione, unitamente all’aggiornamento degli elaborati del Piano Regolatore Generale.

8. Non costituiscono varianti del Piano Regolatore Generale:

a) le correzioni di errori materiali, nonché gli atti che eliminano contrasti fra enunciazioni dello stesso strumento e per i quali sia evidente ed univoco il rimedio;

b) gli adeguamenti di limitata entità della localizzazione delle aree destinate alle infrastrutture, agli spazi ed alle opere destinate a servizi sociali e ad attrezzature di interesse generale;

c) gli adeguamenti di limitata entità dei perimetri delle aree sottoposte a strumento urbanistico esecutivo;

d) le modificazioni del tipo di strumento urbanistico esecutivo specificatamente imposto dal Piano Regolatore Generale, ove consentito dalla legge;

e) le determinazioni volte ad assoggettare porzioni del territorio alla formazione di strumenti urbanistici esecutivi di iniziativa pubblica o privata e le delimitazioni delle stesse;

f) le modificazioni parziali o totali ai singoli tipi di intervento sul patrimonio edilizio esistente, sempre che esse non conducano all’intervento di ristrutturazione urbanistica, non riguardino edifici o aree per le quali il Piano Regolatore Generale abbia espressamente escluso tale possibilità o siano individuati dal Piano Regolatore Generale fra i beni culturali ambientali di cui all’articolo 24, non comportino variazioni, se non limitate, nel rapporto tra capacità insediativa ed aree destinate ai pubblici servizi;

g) la destinazione ad opere pubbliche, alle quali non sia applicabile il D.P.R. 18 aprile 1994, n. 383, di aree che lo strumento urbanistico generale vigente destina ad altra categoria di servizi pubblici. Ai fini della presente disposizione, sono opere pubbliche quelle realizzate o aggiudicate dai Comuni, dalle Province e dalla Regione, dagli altri Enti pubblici anche economici e dagli organismi di diritto pubblico qualificati come tali dalla legislazione sui lavori pubblici, dalle loro associazione e consorzi. Sono altresì opere pubbliche quelle realizzate o aggiudicate dai concessionari e dai soggetti di cui all’articolo 2, comma 2, lettere b) e c), della legge 11 febbraio 1994, n. 109, modificata dal D.L. 3 aprile 1995, n. 101 convertito dalla legge 2 giugno 1995, n. 216.

9. Le modificazioni del Piano Regolatore Generale di cui al comma 8 sono assunte dal Comune con deliberazione consiliare; la deliberazione medesima è trasmessa alla Regione, unitamente all’aggiornamento delle cartografie del Piano Regolatore Generale comunale. La deliberazione, nel caso di cui al comma 8 lettera g), è assunta sulla base di atti progettuali, ancorché non approvati ai sensi della legislazione sui lavori pubblici, idonei ad evidenziare univocamente i caratteri dell’opera pubblica in termini corrispondenti almeno al progetto preliminare, nonché il contenuto della modifica allo strumento urbanistico.

10. Le varianti ai ***************************************, ove riguardino il territorio di un solo Comune, sono formate, adottate e pubblicate dal Comune interessato previa informazione al consorzio o alla Comunità montana e per l’approvazione seguono le procedure del presente articolo. Qualora le varianti siano strutturali, ai sensi del comma 4, dopo l’adozione, il Comune trasmette la variante al consorzio o alla Comunità montana che esprime il proprio parere con deliberazione nel termine di sessanta giorni; il parere è trasmesso dal Comune interessato alla Regione unitamente alla variante adottata, per gli adempimenti successivi così come stabiliti dall’articolo 15; allo scadere del termine di sessanta giorni la variante è comunque trasmessa dal Comune alla Regione che assume le proprie determinazioni (50).

10-bis. Qualora la variante parziale sia stata approvata con procedura non coerente con i suoi contenuti, chiunque vi abbia interesse può presentare, entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di pubblicazione, motivato ricorso al Presidente della Giunta regionale, agli effetti del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199.

L’error in procedendo in cui sarebbe incorso il comune(peraltro da quest’ultimo in concreto contestato a pag 18/19 dell’appello incidentale proposto) concreta una tipica ipotesi di vizio di legittimità contestabile nell’ordinario termine di legge, come peraltro può evincersi dalla chiara previsione di cui al comma 10 bis della richiamata disposizione. Per altro verso, rileva il Collegio come la prospettazione dell’appellante contenga una endemica contraddizione, laddove dapprima sostiene che non si trattasse di variante “generale” ma “parziale” (id est: particolare, secondo i canoni elaborati dalla giurisprudenza), e quindi contestabile dal momento della effettiva conoscenza della stessa da parte del soggetto (asseritamente)leso e, poi, afferma che la stessa dovesse avere natura “generale” e quindi non sarebbe stata approvabile con la procedura “semplificata” di cui alla citata disposizione (tesi, questa, ribadita in sede di discussione dalla difesa di parte appellante evidenziando che veniva modificato l’art. delle NTA disciplinante il computo della superficie lorda su tutto il territorio comunale).

Ad ogni buon conto, ad avviso del Collegio deve ribadirsi il principio per cui l’asserito errore sulla procedura di legge applicabile nell’approvazione della variante implica vizio di legittimità, contestabile nell’ordinario termine decadenziale (e quest’ultimo, posto che la variante è del 2003, mentre il ricorso è stato proposto nel 2006, pacificamente non è stato rispettato).

3.2.5. Per concludere sul punto, passando ad affrontare anche l’altro profilo delle doglianze proposte dall’appellante (quello, cioè, afferente all’errore di fatto sulla originaria consistenza dell’immobile) si rammenta in proposito che per pacifica, quanto consolidata giurisprudenza amministrativa “la tipica sanzione prevista per l’invalidità del provvedimento amministrativo è l’annullabilità, di applicazione giudiziale in presenza dei tre tradizionali vizi (violazione di legge, incompetenza e eccesso di potere), ora codificati sia dall’art. 21-octies, comma 1, della l. n. 241/1990, sia dall’art. 29 del Codice del processo amministrativo (n. 104/2010); la categoria della nullità assume, invece, un rilievo residuale, limitato alle ipotesi di nullità testuale (espressamente comminata da una norma di legge) e ad altri casi di gravi difetti del provvedimento, tassativamente indicati dall’art. 21-septies della legge n. 241/1990. Le cause di nullità del provvedimento amministrativo devono, quindi, oggi intendersi quale numero chiuso.”(Cons. Stato Sez. V, 02-11-2011, n. 5843). Come osservato da avveduta giurisprudenza già in epoca immediatamente successiva alla introduzione nel sistema della categoria generale del “provvedimento amministrativo nullo”, infatti, “nel diritto amministrativo la nullità costituisce una forma speciale di invalidità, che si ha nei soli casi (oggi meglio definiti dal legislatore dopo l’entrata in vigore dell’art. 21 septies della L n. 241/90) in cui sia specificamente sancita dalla legge, mentre l’annullabilità del provvedimento costituisce la regola generale di invalidità del provvedimento, a differenza di quanto avviene nel diritto civile dove la regola generale è quella della nullità. La sanzione della nullità del provvedimento è stata fino a poco tempo fa prevista solo con riferimento ad ipotesi peculiari, quali ad esempio l’assunzione nel pubblico impiego senza il filtro preventivo della procedura concorsuale, mentre oggi l’art. 21 septies L. 241/1990 prevede che il provvedimento amministrativo è nullo quando a) manchi degli elementi essenziali, b) sia viziato da difetto assoluto di attribuzione, c) sia stato adottato in violazione o elusione del giudicato ed infine d) in tutti gli altri casi espressamente previsti dalla legge. La cause di nullità del provvedimento amministrativo devono quindi oggi intendersi quale numero chiuso. Poiché, nel caso di specie, il provvedimento di revoca dei contributi è stato emesso dall’Amministrazione competente ad adottarlo deve essere senza alcun dubbio escluso che il provvedimento possa essere considerato nullo, non essendo stato adottato da un’Amministrazione totalmente priva del potere di emanarlo.” (Cons. Stato Sez. VI, sent. n. 891 del 28-02-2006).

E’ stato di recente affermato, peraltro, armonicamente con tali principi che (persino)” la violazione del diritto comunitario implica solo un vizio di legittimità, con conseguente annullabilità dell’atto amministrativo. L’art. 21-septies l. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla l. 11 febbraio 2005, n. 15, ha posto un numero chiuso di ipotesi di nullità del provvedimento amministrativo e non vi rientra la violazione del diritto comunitario.” (Cons. Stato Sez. VI, 15-02-2012, n. 750) dal che, in punto di giurisdizione, ed antecedemente alla entrata in vigore del codice del processo amministrativo che all’art. 30 ha positivizzato il precetto si è fatta discendere la conseguenza per cui “l’art. 21-septies l. n. 241 del 1990, nell’individuare come causa di nullità il “difetto assoluto di attribuzione”, evoca la cosiddetta carenza di potere in astratto, vale a dire l’ipotesi in cui l’Amministrazione assume di esercitare un potere che in realtà nessuna norma le attribuisce. Nel caso in cui, però, l’Amministrazione è resa dalla legge effettiva titolare del potere, ma questo viene esercitato in assenza dei suoi concreti presupposti, non si è in presenza di un difetto assoluto di attribuzione. In tal caso, dove è l’esercizio del potere ad essere viziato, ma non si pone questione di sua esistenza, il provvedimento sarà annullabile, non già nullo, quindi in grado di “degradare” la posizione del privato, dal che consegue la sussistenza della giurisdizione amministrativa (Cons. Stato Sez. VI, 27-01-2012, n. 372).

La superiore esposizione consente di escludere la fondatezza dell’appello principale anche in punto di ricorrenza del radicale vizio di nullità/inesistenza della delibera (conformemente a quanto già lucidamente colto in sede di delibazione della domanda cautelare) dal che discende la conferma della gravata decisione in parte qua.

4. Analoga sorte reiettiva ritiene il Collegio meritino i connessi appelli incidentale volto a censurare la statuizione demolitoria attingente il rilasciato permesso di costruire .

4.1. Quanto alla riproposta eccezione di intempestività del ricorso originario in quanto tardivo ritiene in contrario senso il Collegio che esattamente il gravame di primo grado è stato reputato tempestivo (rectius: armonicamente con gli approdi della pacifica giurisprudenza di merito è stato escluso che fosse tardivo) dal Tar.

Consolidata e condivisibile giurisprudenza ha con continuità affermato che “

 

La decorrenza del termine per ricorrere in sede giurisdizionale avverso atti abilitativi dell’edificazione si ha, per i soggetti diversi da quelli cui l’atto è rilasciato (ovvero che in esso sono comunque indicati) dalla data in cui si renda palese ed oggettivamente apprezzabile la lesione del bene della vita protetto, la qual cosa si verifica quando sia percepibile dal controinteressato la concreta entità del manufatto e la sua incidenza effettiva sulla propria posizione giuridica.In materia di impugnazione del permesso di costruire, è sufficiente la cd. “vicinitas”, quale elemento che distingue la posizione giuridica del ricorrente da quella della generalità dei consociati, di talché è corretto riconoscere a chi si trovi in tale situazione un interesse tutelato a ché il provvedimento dell’Amministrazione sia procedimentalmente e sostanzialmente ossequioso delle norme vigenti in materia.

Consiglio Stato, sez. IV, 05 gennaio 2011 , n. 18

 

 

 

Gli aggettivi “palese” ed “oggettivo” contenuti nella pronuncia dianzi riportata inducono ad escludere che la situazione potesse riscontrarsi alla data del 2005, siccome affermato dall’appellante incidentale, posto che ancora a detta data (6 luglio 2005) fu necessario affidare una perizia per riscontrare la conformità del manufatto al progetto.

 

4.2. Di più. La eventuale declaratoria di tardività del mezzo di primo grado assumerebbe addirittura connotazioni paradossali, sol che si consideri che le ragioni di illegittimità del permesso di costruire sono state rinvenute nell’altezza superiore al consentito e che ciò è avvenuto avendo qual parametro le dimensioni dell’edificio scolpite nella originaria licenza edilizia del 1956.

Se si pone mente locale al contenuto del secondo motivo dell’appello incidentale, è facile riscontrare che la società Conca d’Oro ivi sostiene che essa confidò nella circostanza che le dimensioni “legittime” dell’edificio fossero quelle esistenti al momento della presentazione del progetto, e che la circostanza che le stesse fossero esuberanti in altezza rispetto a quelle contenute nella originaria licenza edilizia del 1956 sarebbe ascrivibile a lavori abusivi di sopraelevazione medio tempore occorsi (ante 1965) e dei quali essa stessa non era a conoscenza.

Parte appellante incidentale, quindi (che giocoforza per presentare il progetto ebbe a compulsare l’originaria licenza edilizia non rendendosi conto, a suo dire, della consistenza originaria del manufatto) assume di non essersi resa conto dell’altezza originaria del manufatto e, quindi, di essersi trovata in una situazione di buona fede: contraddittoriamente, poi, invoca una declaratoria di tardività del mezzo di primo grado in capo all’appellante principale.

Quest’ultimo, però, certamente, soltanto a seguito di accurate verifiche avrebbe potuto rendersi conto della circostanza: la censura di tardività va pertanto sicuramente disattesa (ex multis: “

La conoscenza effettiva e completa della concessione edilizia rilasciata a terzi – che deve essere provata da chi eccepisce la tardività dell’impugnazione – si verifica di regola, in mancanza di diversi mezzi di inoppugnabile prova, con l’ultimazione dei lavori di costruzione dell’immobile e non con solo il loro inizio occorre pertanto che le parti evidenzino elementi di prova di una conoscenza anteriore dell’opera assentita e della sua consistenza o una ultimazione dei lavori in epoca anteriore oltre sessanta giorni rispetto alla proposizione del ricorso.”- T.A.R. Liguria Genova, sez. I, 19 dicembre 2006, n. 1711).

 

4.3. Quanto alle ulteriori doglianze, va richiamato l’esito della verificazione di primo grado laddove è stato accertato (ed è rimasto incontestato) che il vecchio hotel Conca d’Oro, secondo quanto si ricava dai progetti dell’originaria licenza edilizia, a suo tempo rilasciata a tale ************** (unico parametro ritenuto possibile in sede di operazioni, essendo stato già interamente demolito il vecchio edificio), aveva un’altezza massima di 11 metri e 30 centimetri, laddove il provvedimento impugnato consentiva l’elevazione a metri 14,50, corrispondente alla rappresentazione progettuale presentata dalla società richiedente.

E’ certamente inaccoglibile, quindi, alla stregua di quanto previsto dall’art. 77 NTA, secondo cui l’altezza dell’edificio ricostruito avrebbe dovuto “essere contenuta nella sagoma di ingombro massimo dell’edificio preesistente” la tesi secondo cui avrebbe dovuto tenersi conto anche di eventuali superfetazioni abusive medio tempore realizzate, neppure sanate, e delle quali si discorre in via di ipotesi.

4.3.1. Né può rilevare l’affidamento riposto nella conformità dell’opera al progetto presentato, posto che il denunciato conflitto con la prescrizione regolamentare (puntualmente denunciato in giudizio, per quanto si è finora detto) non può che risolversi nella illegittimità del titolo abilitativo medesimo, pertenendo eventualmente all’impresa appellante incidentale rivolgere eventuali pretese risarcitorie al Comune che ebbe a rilasciare illegittimamente e violando la “buona fede” dell’impresa, in via di ipotesi, il predetto titolo abilitativo.

4.3.1. In ultimo (censura proposta a pag.15 dell’appello incidentale della ******à *******’Oro srl) non può certo affermarsi che esigenze di potenziamento del’attività ricettivo-turistica possano essere soddisfatte mercè il rilascio di titoli abilitativi contrastanti con gli strumenti sovraordinati, mentre sono inconferenti tutti i richiami ad un supposto interesse pubblico al mantenimento dell’opera nel medesimo stato in cui era descritta nel titolo abilitativo annullato, non trovandosi al cospetto di un atto di autotutela ma di un annullamento giurisdizionale che segue alla proposizione di un ricorso da parte di terzi lesi dall’intervento illegittimo.

4.4. Sul punto sinora esaminato concernente l’altezza dell’edificio l’appello incidentale proposto dal Comune è parimenti infondato, se non anche, in parte, contraddittorio rispetto a quanto affermato dall’appellante incidentale privata (che, come si è dianzi rammentato sembra ammettere lo scostamento”).

Il Comune appellante incidentale, infatti, si limita a richiamare le espresse affermazioni contenute nella variante secondo cui l’altezza massima “dovrà essere contenuta nella sagoma di ingombro massimo dell’edificio preesistente”, senza contestare la conclusione (l’unica logica, per il vero, che ne ha tratto il Tar e prima di esso il verificatore) secondo cui il precetto doveva essere inteso nel senso di non consentire l’incremento dell’altezza rispetto all’ingombro, evidentemente in verticale, dell’immobile esistente.

Senonchè, poi, passa a criticare i contenuti della disposta verificazione: nessuna critica, invece, articola al successivo passaggio essenziale della motivazione contenuta nella sentenza, secondo il quale “dai progetti dell’originaria licenza edilizia, a suo tempo rilasciata a tale ************** (unico parametro ritenuto possibile in sede di operazioni, essendo stato già interamente demolito il vecchio edificio), aveva un’altezza massima di 11 metri e 30 centimetri, laddove il provvedimento impugnato consente l’elevazione a metri 14,50.”.

In particolare non risulta contestato: né che l’unico parametro di confronto possibile sia quello “cartolare”, essendo stato ormai l’originario immobile demolito, né che secondo la licenza edilizia, l’originario immobile avesse una altezza massima assentita inferiore a quella contenuta nell’annullato permesso di costruire.

Se così è, appare evidente che nessuna ulteriore verificazione o consulenza tecnica (essendo stato l’immobile originario demolito) potrebbe apportare alcun utile nuovo elemento conoscitivo (mentre appare assai singolare – oltre che del tutto ininfluente per quanto si è prima chiarito- che si chieda al Collegio, da parte del Comune, un approfondimento istruttorio mirante ad accertare se dagli atti in possesso proprio del Comune medesimo possa evincersi se taluno medio tempore abbia realizzato ampliamenti in altezza abusivi rispetto alla concessione originariamente rilasciata) e che la censura vada senz’altro disattesa apparendo il rilasciato titolo abilitativo distonico proprio rispetto alla norma regolamentare ad esso sotteso e, quindi, illegittimo, nella parte in cui ha permesso la ri-costruzione di un edificio avente altezza massima superiore a quello originariamente esistente.

Quanto in ultimo alle critiche rivolte al dispositivo della decisione, appare evidente che il primo giudice, nei limiti del petitum richiestogli, non poteva che dichiarare la illegittimità del titolo ampliativo rilasciato e la “causale” di tale illegittimità, spettando invece al Comune adottare le iniziative ex lege doverose in relazione alla statuizione giudiziale (la pretesa che il primo giudice dichiarasse “quale parte” del permesso a costruire fosse illegittima, appare del tutto errata a fronte della unicità del titolo edilizio rilasciato e del quale si sosteneva la illegittimità)

5.Conclusivamente, devono essere respinti sia il gravame principale che quelli incidentali.

6. Le spese,del giudizio di appello vanno integralmente compensate tra le parti a cagione della reciproca soccombenza e della particolarità e complessità della causa.

 
P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, numero di registro generale 959 del 2008 come in epigrafe proposto, lo respinge e respinge gli appelli incidentali proposti.

Spese processuali compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 gennaio 2013

Redazione