La sottoscrizione del preliminare per l’acquisto del lotto più grande legittima l’assegnazione diretta in sede di divisione (Cass. n. 18836/2012)

Redazione 31/10/12
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Svolgimento del processo

Con sentenza del 2003 il Tribunale di Sondrio dispose la divisione di un capannone industriale secondo il progetto redatto dal consulente tecnico d’ufficio assegnando a B. G. e T., comproprietari per 4/6, il lotto n. 3 e ai gruppi
formati da S. A. e N. M. da una parte e a S. D. S. e A. dall’altra, titolari di 1/6 ciascuno, rispettivamente i lotti n. l e n. 2 di pari valore.
Interposero appello S. A. e N. M. assumendo che il giudice di primo grado avrebbe dovuto provvedere all’assegnazione dei lotti di pari valore non mediante assegnazione diretta, ma seguendo il criterio
dell’estrazione a sorte.
Con sentenza n. 330 del 15 febbraio 2006 la Corte di appello di Milano respinse il gravame, affermando che correttamente il giudice di primo grado aveva derogato al criterio dell’estrazione a sorte dando rilievo allo specifico interesse dimostrato dagli altri condividendi all’assegnazione del lotto n. 2, avendo questi dedotto e dimostrato, anche con una successiva scrittura privata, di avere preso accordi con i B. per l’acquisto del loro lotto al fine di accorparlo con quello da essi richiesto, operazione che invece non sarebbe stata vantaggiosa nel caso fosse stato loro assegnato il lotto n. 1.
Per la cassazione di questa decisione, notificata il 27 aprile 2006, con atto notificato a mezzo posta il 26 giugno 2006 ricorrono S. A. e N. M. affidandosi a tre motivi.
Resistono con controricorso S. D., S. S. e S. A. mentre non B. G. e B. T. non hanno svolto
attività difensiva.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 729 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che l’accordo di cessione intervenuto tra gli altri condividendi potesse costituire una circostanza tale da giustificare la deroga, in sede di assegnazione dei lotti di pari valore, al criterio dell’estrazione a sorte, senza considerare che, trattandosi di una accordo non solo condizionato ma anche non vincolante, tale soluzione finiva in sostanza per rimettere tale deroga alla volontà e quindi all’arbitrio di una delle parti.
Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 729 cod. civ., lamentando che la Corte di appello abbia giustificato la soluzione accolta richiamando il principio stabilito dall’art. 720 cod. civ., che però ha riguardo alla situazione, del tutto diversa da quella presente in questo giudizio, di immobili non divisibili. Il riferimento a tale disposizione appare pertanto del tutto indebito e configura il vizio di violazione di legge.
Il terzo motivo di ricorso denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sui punti decisivi della controversia, per non avere il giudice de quo dato risposta esauriente all’obiezione degli appellanti che l’accordo dedotto dalla controparte non avendo effetti reali, ma solo obbligatori, avrebbe potuto essere poi abbandonato, con l’effetto che esso poteva costituire un mero escamotage per ottenere l’attribuzione diretta del lotto preferito.
I motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione obiettiva, sono da respingere.
Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che il criterio dell’estrazione a sorte previsto dall’art. 729 cod. civ. nel caso di uguaglianza di quote a garanzia della trasparenza delle operazioni divisionali contro ogni possibile favoritismo — applicabile anche nell’ipotesi di divisione dei beni comuni, in virtù del rinvio recettizio di cui all’art. lll6 cod. civ. – non ha carattere assoluto, ma soltanto tendenziale, ed è pertanto derogabile in base a valutazioni prettamente discrezionali, che possono attenere non soltanto a ragioni oggettive legate alla condizione funzionale ed economica dei beni, quale risulterebbe dall’applicazione della regola del sorteggio, ma anche a fattori soggettivi di apprezzabile e comprovata opportunità, la cui valutazione è sindacabile in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 21319 del 2010; Cass. n. 1091 del 2007).
Nel caso di specie la decisione della Corte di appello di procedere ad assegnazione diretta e non per estrazione a sorte appare in linea con tale orientamento. Il giudice territoriale ha giustificato la sua scelta rappresentando un interesse apprezzabile e qualificato di alcuni condividendi all’assegnazione di un determinato lotto, in ragione della loro intenzione di unirlo a quello da attribuire ai condividendi aventi quota maggiore, precisando che tra le predette parti era intervenuto un contratto preliminare per la relativa cessione, anche se condizionato all’effettiva assegnazione del lotto richiesto.
Tale conclusione, per le ragioni sopra dette, è immune dai vizi denunziati e, ferma l’insindacabilità nel merito nel giudizio di legittimità della scelta compiuta, appare adeguatamente motivata, non potendo porsi in dubbio che, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, la situazione rappresentata dal giudice territoriale — vale a dire la conclusione ad opera delle parti richiedenti di un contratto preliminare per acquistare il lotto più grande assegnato ad altri condividendi al fine di provvedere al loro accorpamento, unitamente al rilievo che tale operazione non avrebbe sortito il medesimo risultato vantaggioso se condotto in relazione all’altro lotto di eguale valore – costituisca un fatto obiettivamente idoneo a conferire una sostanziale concretezza alla richiesta dei condividendi, distinguendo e qualificando in maniera più intensa, rispetto agli altri, il loro interesse all’attribuzione di quel determinato bene.
La critica svolta dal ricorso al richiamo che si legge nella decisione alla disposizione dettata dall’art. 720 cod. civ. è priva di pregio. La lettura della sentenza impugnata dimostra che la Corte non ha affatto inteso applicare nella fattispecie concreta detta norma, ma l’ha menzionata al solo fine di evidenziare il favor legis per la formazione, in sede di divisione di beni, di quote di maggiore estensione, anche attraverso la richiesta di attribuzione congiunta di più condividendi, rilevando che la richiesta degli S. essendo diretta a mantenere unite più quote, appariva rispondente sostanzialmente a tale interesse. Si tratta comunque di un’argomentazione meramente rafforzativa della scelta compiuta, la quale si fonda su un’autonoma e sufficiente valutazione del caso concreto alla luce della disposizione applicabile nella fattispecie (art. 729 cod. civ.).
Il ricorso va pertanto respinto, con condanna dei ricorrenti, per il principio di soccombenza, al pagamento delle spese di lite.

 

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 3.600, di cui euro 100 per esborsi, oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 28 settembre 2012.

Redazione