La ripresa precaria della prestazione non costituisce reintegra ai sensi dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (Cass. n. 21542/2013)

Redazione 20/09/13
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Svolgimento del processo

Con l’impugnata sentenza n. 234/40/06, depositata il 29 giugno 2006, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, sez. staccata di Latina, pronunciando sull’appello proposto dal contribuente D.M. A., in riforma della decisione n. 301/05/03 della Commissione Tributaria Provinciale di Frosinone, accoglieva il ricorso del ridetto contribuente avverso il provvedimento di revoca del credito d’imposta di cui alla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 4, nel testo applicabile ratione temporis, agevolazione stabilita a titolo d’incentivo all’occupazione in zone svantaggiate.

La CTR, osservato dapprima che la norma applicabile ratione temporis era la L. n. 449, art. 4, comma 2, lett. c) – laddove veniva in effetti previsto che il beneficio era tra l’altro spettante alle imprese ubicate in Comuni montani – riteneva che siccome la cancellazione della lett. c) in parola ad opera della L. 17 maggio 1999, n. 144, art. 21, non poteva ritenersi retroattiva in ragione del divieto di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3, dopo aver accertato che la sede dell’impresa del contribuente era realmente in Comune montano di Castrocielo, riconosceva il diritto al credito d’imposta, pur se il Comune in discorso non apparteneva alle Regioni svantaggiate individuate dalla normativa CEE. Contro la sentenza della CTR, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso per cassazione affidato ad un unico mezzo.

L’intimato contribuente non si costituiva.

Motivi della decisione

1. L’Agenzia delle Entrate censurava la sentenza à sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deducendo “Violazione della L. n. 449 del 1997, art. 4, testo originario, e conseguente falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 3”, in quanto, secondo l’Ufficio, come stabilito dalla L. n. 449 del 1997, art. 4, comma 2, nel testo applicabile ratione temporis, laddove era espressamente disposto che le imprese aventi diritto all’agevolazione dovevano “comunque” esser situate nelle Regioni svantaggiate siccome individuate dai regolamenti CEE, non bastava che le imprese fossero situate in Comuni montani, ma, appunto, era necessario che i Comuni appartenessero “comunque” alle Regioni svantaggiate. Il quesito era: “se requisito imprescindibile per poter godere dell’agevolazione di cui alla L. n. 449 del 1997, art., comma 1, testo originario, sia l’ubicazione delle imprese nelle Regioni Campania, Basilicata, Calabria, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia, Abruzzo e se conseguentemente sia legittima la revoca delle agevolazioni concesse con provvedimento emesso nel 1999, in relazione ad assunzioni effettuate a cavallo tra il 1997 e il 1998, a un’impresa ubicata in Comune montano ma non operante nelle citate regioni”.

Il motivo è fondato.

In effetti, le lett. a), b), c) e d) di cui alla L. n. 449 del 1997, art. 4, comma 2, applicabile ratione temporis, avevano lo scopo di restringere il beneficio solo a favore d’imprese ubicate in particolari aree, come ad es. quella montana, che “comunque” dovevano essere inserite nel territorio delle Regioni svantaggiate individuate dai Regolamenti CEE. Tant’è che, con la soppressione delle lett. a), b), c) e d) cit., l’agevolazione è stata estesa a tutto il territorio delle Regioni individuate come svantaggiate dalla normativa CEE, indipendentemente dalla zona in cui l’impresa è situata. Ciò che conferma sia la evidente ratio del beneficio, che era quello dell’incremento dell’occupazione nelle sole Regioni più povere individuate dai Regolamenti CEE; sia, conseguentemente, che presupposto indefettibile del beneficio era che la sede legale fosse in una di quelle Regioni.

2. Non essendo necessario accertare ulteriori fatti, la controversia può essere in questa sede definita col rigetto del ricorso introduttivo della lite fiscale.

3. Sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese dei giudizi di merito, le spese del presente seguono invece la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, respinge il ricorso del contribuente avverso il provvedimento di revoca del credito d’imposta qui oggetto di lite;

compensa integralmente le spese dei giudizi di merito, condanna il contribuente a rimborsare all’Agenzia delle Entrate le spese del presente, liquidate in Euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese prenotate.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 giugno 2013.

Redazione