La maestra che mortifica e terrorizza gli alunni risponde di maltrattamenti in famiglia (Cass. pen. n. 45256/2012)

Redazione 20/11/12
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Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Con l’ordinanza indicata in epigrafe il Tribunale di Catanzaro ha rigettato l’istanza di riesame del provvedimento cautelare (arresti domiciliari) emesso dal giudice per le indagini preliminari nei confronti di G. L., insegnante presso la scuola elementare “(omissis)” di *****, indagata per il reato di cui all’art. 81 e 572 c.p. (maltrattamenti verso fanciulli di prima elementare a lei affidati).
2. La ricorrente deduce, ex art. 606.1 lett. b) c.p.p., violazione degli artt. 272 e 273 c.p.p. ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 572 cod. pen., 274 e 275 c.p.p..
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
4. L’ordinanza impugnata elenca gli elementi probatori acquisiti nell’indagine, che valuta come “inequivoche emergenze investigative” (denuncia presentata da G. P., mamma di una bambina affetta da mutismo selettivo, risultanze del servizio di videoregistrazione all’interno dei locali scolastici), da cui emerge “l’abitualità e la pluralità delle azioni vessatorie, fisiche e psicologiche poste in essere dalla G. L. nei confronti dei minori alla stessa affidati per ragione di istruzione, con conseguente instaurazione di un rapporto mortificante e terrorizzante per i piccoli alunni”.
In presenza di tali elementi e “avuto riguardo alla frequenza e alla violenza dei gesti” dell’insegnante per come sono stati visionati e apprezzati dai giudici di merito, le contestazioni della ricorrente sulla sussistenza del grave quadro indiziario e sulla qualificazione giuridica dei fatti appaiono all’evidenza uno schermo per coprire un’inammissibile contestazione delle valutazioni di fatto effettuate dai giudici di merito, che hanno dato conto della decisione con motivazione giuridicamente corretta e indenne da vizi logici (tanto che in ricorso nessun rilievo viene mosso ai sensi dell’art. 606.1 lett. e c.p.p.).
5. Destituiti di fondamento sono anche i motivi attinenti alle esigenze cautelari ed all’adeguatezza della misura, fondata sul pericolo di reiterazione della condotta e sul tentativo, già messo in atto dall’indagata, di inquinamento probatorio, condizioni sulle quali il discorso giustificativo del Tribunale è logicamente plausibile e giuridicamente corretto.
6. Alla declaratoria d’inammissibilità segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, ritenuta adeguata di 1.000 (mille) euro in favore della cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 1.000,00 euro in favore della cassa delle ammende.
Roma, 20 settembre 2012

Redazione