La dichiarazione dell’illegittimità costituzionale di una norma di legge non si estende ai rapporti esauriti (Cons. Stato n. 2215/2013)

Redazione 19/04/13
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FATTO

1. Il presente giudizio ha ad oggetto l’istituto scolastico paritario SS. ********** di Afragola, sito presso il complesso immobiliare dell’omonimo ex orfanotrofio, la cui direzione e gestione è stata affidata, fin dal 1875, all’Istituto delle Suore compassioniste serve di Maria SS. **********, in seguito alla soppressione dell’IPAB Ente orfanotrofio SS. **********.

2. La congregazione adiva il TAR Campania – sede di Napoli contestando, con plurimi ricorsi integrati da motivi aggiunti, per quanto qui ancora di interesse:

– la decisione dell’amministrazione comunale di dichiarare la nullità della convenzione stipulata fra le parti il 6 agosto 1984, concernente i rapporti derivanti dal trasferimento all’ente locale delle funzioni e dei beni della disciolta IPAB;

– la successiva indizione di una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento del servizio di semiconvitto in favore di alunni in situazione di disagio;

– la determinazione con cui il comune decideva di gestire direttamente l’istituto scolastico, nelle more della procedura di gara, rimasta poi deserta;

– i conseguenti provvedimenti con i quali le suore erano intimate di rilasciare il complesso immobiliare dove è sito l’istituto scolastico.

2.1 L’istituto religioso impugnava anche i presupposti provvedimenti regionali di trasferimento al comune dei beni e delle funzioni dell’IPAB, risalenti ai primi anni ’80, negando che si fosse mai realizzato il trasferimento di detto complesso immobiliare in favore dell’amministrazione.

3. Riunite tutte le impugnative, il TAR adito:

– ha annullato la dichiarazione comunale di nullità della convenzione in essere tra le parti, reputandola sottratta al divieto di rinnovo tacito previsto dall’art. 44 l. n. 724/1994 (“Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”), sulla cui base tale determinazione amministrativa era stata emessa, perché esulante dal perimetro applicativo del codice dei contratti pubblici;

– ha conseguentemente annullato gli ordini di rilascio;

– ha dichiarato improcedibile l’impugnativa avverso gli atti della procedura di gara, in quanto andata deserta;

– ha in parte respinto ed in parte dichiarato tardiva l’impugnativa avverso gli atti regionali sopra menzionati.

4. La sentenza è appellata sia dal Comune di Afragola che dalle Suore compassioniste.

4.1 Nel proprio appello il Comune di Afragola censura:

– la statuizione con la quale il TAR ha escluso che la convenzione intercorrente tra le parti in causa sia sottoposta al codice dei contratti pubblici, obiettando che essa ha indiscutibile contenuto patrimoniale, a causa degli oneri economici sostenuti dall’amministrazione e perché i servizi scolastici sono contemplati nell’allegato II-B al predetto testo normativo;

– il conseguente annullamento, per invalidità derivata, degli atti di intimazione al rilascio del complesso immobiliare dell’ex orfanotrofio, osservando in contrario, inoltre, che il diritto reale d’uso ex adverso invocato deve intendersi estinto in conseguenza della soppressione dell’ente orfanotrofio dell’********** ed il contestuale trasferimento al comune dei relativi beni e rapporti patrimoniali.

4.2 L’istituto religioso ha dal canto suo riproposto i seguenti motivi di nullità per carenza di potere nei confronti degli atti della giunta regionale con cui è stato disposto il contestato trasferimento del complesso immobiliare:

– mancanza di base normativa legittimante il trasferimento, per effetto innanzitutto della dichiarazione di incostituzionalità, per eccesso di delega, dell’art. 25, comma 5, d.p.r. n. 616/1977 (“Attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio 1975, n. 382”, recante norme sull’ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica amministrazione), per effetto della sentenza della Corte costituzionale 30 luglio 1981, n. 173, e, quindi, della conseguente inesistenza di una normativa regionale legittimante tale trasferimento, dovendo quest’ultima [5 l. reg. n. 65/1980 (“Modalità di trasferimento ai Comuni singoli o associati delle funzioni dei beni e del personale delle Ipab”)] ritenersi automaticamente travolta dalla dichiarazione di incostituzionalità della suddetta norma nazionale, di cui costituisce mera attuazione;

– in ogni caso perché dal suddetto trasferimento sono eccettuati, giusta il disposto dal successivo comma 6 del citato art. 25 d.p.r. n. 616/1977, i beni degli IPAB che svolgevano attività di carattere educativo-religioso, conformemente a quanto prevede l’art. 1, comma 2, lett. b), c) e d), della legge regionale citata, criticandosi la statuizione di irricevilibilità emessa sul punto del TAR, sul presupposto della qualificazione di tale censure come di illegittimità-annullabilità.

Sulla base di ciò la congregazione appellante sostiene che sarebbero nulli tutti gli atti impugnati per inesistenza del presupposto, dell’oggetto e della causa.

A questo riguardo, il medesimo ente lamenta l’omessa pronuncia sull’inesistenza del diritto di proprietà dell’amministrazione con riguardo alle addizioni realizzate sul complesso immobiliare a propria cura e spese intorno al 1960.

Quindi propone le seguenti doglianze:

– mancato rilievo del fine di culto dei beni oggetto di giudizio, come tali non trasferibili, espropriabili o occupabili, senza previo concerto con la competente autorità ecclesiastica, ai sensi dell’art. 5 l. n. 121/1985 (“Ratifica ed esecuzione dell’accordo con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modifiche al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede”);

– mancata considerazione del necessario carattere cattolico dell’istruzione quale derivante dal vincolo di destinazione degli immobili all’insegnamento religioso, impresso in sede di erezione dell’ente orfanotrofio, con conseguente impedimento a che la gestione venga assunta direttamente dell’amministrazione comunale, donde l’inconferenza del richiamo operato dal TAR al carattere composito prefigurato dalla Legge quadro n. 328/2000 per l’organizzazione e gestione dei servizi sociali;

– incompetenza del dirigente del settore culturale e sociale a disporre la gestione provvisoria diretta della scuola a fronte dell’indirizzo consiliare di affidamento della stessa ai privati;

– omessa pronuncia sul motivo diretto a censurare la determinazione comunale di gestione diretta della scuola a partire dall’anno scolastico 2011, contestualmente autorizzando l’istituto ad accettare con riserva di domande di iscrizione per lo stesso, con conseguente impossibilità di rispettare il programma formativo offerto agli iscritti.

DIRITTO

1. Gli appelli sono rivolti avverso la stessa sentenza e devono conseguentemente essere riuniti, osservato il disposto dell’art. 96 cod. proc. amm.

1.1 Per effetto della riunione, costituiscono materia del contendere:

– la proprietà del complesso immobiliare dove ha sede l’Istituto scolastico paritario SS. ********** di Afragola e l’Istituto delle Suore compassioniste serve di Maria SS. **********;

– la legittimità della determinazione del comune di sciogliersi dalla convenzione stipulata con tale congregazione per la gestione della scuola;

– la determinazioni comunali di gestione diretta dell’istituto scolastico;

– i conseguenti ordini di rilascio del complesso immobiliare.

2. La prima questione assume carattere pregiudiziale, visto che, secondo la prospettazione dell’istituto delle suore appellanti, da ciò discenderebbe la nullità di tutti gli atti oggetto del presente giudizio.

Venendo dunque al punto, quest’ultimo sostiene di essere subentrato nella proprietà del complesso immobiliare in seguito allo scioglimento dell’IPAB Orfanotrofio dell’Addolorata e della dichiarazione di incostituzionalità (Corte cost., sentenza 30 luglio 1981, n. 173) della normativa statale sul trasferimento ai comuni dei beni e delle funzioni delle IPAB (d.p.r. n. 616/1977, art. 25), che ha dunque determinato la nullità degli atti amministrativi, qui impugnati, con cui la Regione Campania ha disposto il trasferimento di tali beni in favore del Comune di Afragola.

Critica inoltre la decisione che ha invece ravvisato nella normativa regionale campana (l. reg. n. 65/1980) la base fondante dei suddetti provvedimenti, obiettando che essa è in realtà riproduttiva della norma di legge statale dichiarata incostituzionale e che, in ogni caso, la stessa normativa regionale eccettua dal trasferimento i beni degli IPAB che svolgevano attività di carattere educativo-religioso, tra i quali l’ente Orfanotrofio dell’**********.

In relazione a tali questioni il Comune di Afragola eccepisce che, come rilevato dal TAR, la normativa regionale è stata fatta salva dalla dichiarazione di incostituzionalità; e che, peraltro, i provvedimenti regionali contestati (delibera della giunta regionale n. 3157 del 9 aprile 1981, di trasferimento al comune dei beni e delle funzioni della predetta IPAB e decreto del presidente della giunta regionale 10986 del 30 giugno 1981, di scioglimento dell’ente), si sono consolidati prima della dichiarazione di incostituzionalità ad adverso invocata.

L’amministrazione ribadisce inoltre la tardività delle censure per superamento del termine decadenziale di 180 giorni stabilito dall’art. 31, comma 4, cod. proc. amm., già ravvisato dal TAR, che ha tuttavia ritenuto scusabile ai sensi dell’art. 37 del medesimo codice del processo.

3. Così sintetizzate le contrapposte prospettazioni delle parti in causa, il Collegio reputa fondato l’assunto del Comune di Afragola secondo cui gli effetti dei predetti provvedimenti regionali non possono più essere messi in discussione in questa sede.

Innanzitutto, è incontestabile, dalla lettura della motivazione e del dispositivo, che la dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza del Giudice delle leggi 30 luglio 1981, n. 173, concerne esclusivamente la normativa statale.

E’ del resto pacifico anche che la normativa regionale censurata dalla congregazione religiosa, in quanto meramente riproduttiva di quella incorsa nella suddetta dichiarazione di incostituzionalità, sia da considerare del pari invalida.

Tuttavia, si tratta appunto di una invalidità non dichiarata dall’unico organo giurisdizionale competente e cioè la Corte costituzionale.

Non è infatti attribuito al giudice amministrativo il potere di annullamento di atti di normazione primaria, espressione di un potere politico (art. 7, comma 1, cod. proc. amm.). Né tanto meno è possibile disapplicarla, perché si opererebbe in tal modo una vulnerazione del valore e della forza proprio della legge al di fuori dell’unico caso consentito al giudice comune, e cioè in ipotesi di incompatibilità della stessa con il diritto dell’Unione europea.

L’incostituzionalità, solo potenziale, della normativa regionale, avrebbe infatti dovuto essere fatta valere nei confronti dei relativi atti applicativi, nei termini previsti per le impugnative contro questi ultimi.

Costituisce infatti regola di carattere generale, affermata anche da questo Consiglio di Stato (tra le altre: Sez. VI, 5 settembre 2005 n. 4513; sez. III, 14 marzo 2012, n. 1429), quella secondo cui la dichiarazione dell’illegittimità costituzionale di una norma di legge non si estende ai rapporti esauriti, ossia a quei rapporti che, sorti precedentemente alla pronuncia della Corte costituzionale, abbiano dato luogo a situazioni giuridiche ormai consolidate ed intangibili in virtù, tra l’altro, della definitività dei provvedimenti amministrativi da cui esse sono sorte.

Ad opinare in senso contrario, come fa la congregazione religiosa odierna appellante allorché invoca la nullità degli atti amministrativi regionali, si determinerebbe l’effetto di decentrare il sindacato di costituzionalità, attraverso lo strumento della disapplicazione, dall’unico organo titolare al giudice comune.

3.1 La qualificazione del vizio nei suddetti termini si rivela errata anche per un altro ordine di rilievi.

Occorre ancora una volta sottolineare, come già notato dal TAR, che la pronuncia di illegittimità costituzionale di cui alla citata sentenza n. 173/1981 non ha interessato la normativa attuativa emanata dalla Regione Campania.

Ed allora, a ritenere che le determinazioni amministrative emesse in attuazione della stessa sarebbero nondimeno affette da nullità significa affermare (ancorché ciò non sia chiaramente espresso né nel ricorso di primo grado, né nell’atto di appello) che la suddetta pronuncia di incostituzionalità avrebbe automaticamente caducato la normativa regionale attuativa.

Ma è allora evidente che così si perviene ad obliterare il potere di annullamento in via consequenziale di disposizioni normative non oggetto di censura di incostituzionalità che è normativamente intestato alla Corte Costituzionale (art. 27, comma 1, l. n. 87/1953), e che è per giunta esercitato nel caso di cui alla ridetta pronuncia (ad altri commi dell’art. 25 d.p.r. n. 616/1977).

In secondo luogo, essa implica la deduzione di un vizio di difetto assoluto di attribuzione ex art. 21-septies l. n. 241/1990, il quale è tuttavia ravvisabile unicamente nel caso di mancanza di norma fondante il potere amministrativo, laddove la relativa contrarietà alla Costituzione costituisce pacificamente un causa di invalidità, suscettibile di condurre ad una pronuncia costitutiva di annullamento ex art. 136 Cost., sempre che, in coerenza con il carattere incidentale del sindacato di costituzionalità – quando questo non venga attivato dallo Stato o dalle Regioni l’uno contro atti legislativi delle altre e viceversa – ciò avvenga, pena l’irrilevanza della questione, attraverso rituale impugnazione degli atti amministrativi che della norma primaria incostituzionale costituiscono applicazione.

3.2 Calate nel presente giudizio le considerazioni finora svolte, risulta evidente che per effetto della mancata impugnazione dei provvedimenti regionali di trasferimento in favore del Comune di Afragola e di scioglimento dell’ente Orfanotrofio SS. ********** (unico soggetto a ciò legittimato, peraltro), devono ritenersi consolidati gli effetti da essi derivanti, tanto più in ragione del fatto che si tratta di effetti a carattere istantaneo, non suscettibili di essere messi in discussione una volta divenuto intangibile il relativo titolo.

Deve conseguentemente essere respinta la censura di nullità per carenza di potere in conseguenza della predetta pronuncia di incostituzionalità, per cui la statuizione di rigetto del TAR va confermata.

4. Per quanto concerne l’analoga doglianza fondata sul carattere religioso dell’insegnamento praticato presso l’istituto scolastico SS. Addolorata e la conseguente eccettuazione dal suddetto trasferimento in favore delle amministrazioni comunali, è innanzitutto condivisibile la qualificazione della stessa come motivo di illegittimità degli atti regionali impugnati e non già, come pretende la congregazione appellante, di nullità.

In effetti, con essa si denuncia uno scorretto esercizio del potere, sul presupposto della sua esistenza (in particolare gli artt. 25, comma 6, d.p.r. n. 616/1977 e 1, comma 2, l. reg. n. 65/1980). Più precisamente, con il motivo in esame si assume che sia stato male applicato uno degli elementi costitutivi della fattispecie normativa legittimante il trasferimento ai comuni dei beni delle IPAB e cioè l’assenza del carattere educativo-religioso dell’attività svolta da quest’ultima.

Ciò precisato, si rivela dunque meritevole di conferma la statuizione di irricevibilità conseguentemente emessa sul punto dal TAR, visto che la conoscenza di tali provvedimenti regionali può farsi risalire già al momento della stipula della convenzione novennale stipulata fra le parti in causa il 6 agosto 1984 per la direzione e gestione dell’istituto scolastico paritario. Tale atto convenzionale si fonda infatti sull’avvenuto trasferimento della proprietà del complesso immobiliare sede di esso in favore dell’amministrazione comunale stipulante, come emerge incontestabilmente dalla premessa, nella quale si fa testuale riferimento ai provvedimenti regionali qui in contestazione.

5. Segue la pronuncia (omessa dal TAR) sulla questione relativa all’infondatezza della pretesa comunale di rilascio del complesso dell’Addolorata con riguardo “a circa la metà dell’attuale consistenza degli immobili”, in quanto costruiti intorno al 1960 a cura e spese dell’istituto delle suore odierne appellanti.

Si tratta con tutta evidenza di una doglianza non idonea a sfociare nella deduzione di un vizio di illegittimità degli atti impugnati conoscibile in questa sede , visto che, una volta esclusa la proprietà delle Suore odierne appellanti, sulle addizioni da queste realizzate deve ritenersi sorta la proprietà per accessione in favore dapprima del disciolto ente Orfanotrofio dell’Addolorata e quindi del comune avente causa, mentre le spese a tale titolo sostenute fondano pretese di tipo restitutorio azionabili davanti al giudice civile.

6. Si può quindi passare ad esaminare la questione concernente la nullità della predetta convenzione. Su di essa vi è l’appello principale del Comune di Afragola nei confronti della statuizione del TAR di accoglimento dell’impugnazione proposta in primo grado dall’Istituto delle Suore compassioniste avverso la determinazione n. 188/F del 1° ottobre 2009, con cui l’amministrazione ne ha dichiarato la nullità.

Tale determinazione si fonda sull’avvenuta scadenza, al 5 agosto 2002 del secondo novennio di durata, termine legale ricavato in via suppletiva sulla base dell’art. 12 r.d. n. 2440/1923 (“Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità dello Stato”), e del divieto di rinnovo tacito sopravvenuto per effetto dell’art. 44, comma 2, l. n. 724/1994.

6.1 Il TAR ha escluso che tale divieto sia applicabile nel caso di specie, sulla base del seguente ragionamento:

– esso deve ritenersi circoscritto ai contratti rientranti nel campo di applicazione del codice di cui al d.lgs. n. 163/2006, per i quali sia cioè configurabile un mercato concorrenziale, in relazione al quale il rinnovo tacito comporterebbe la sottrazione di un’attività economicamente contendibile al confronto competitivo per il quale è imposto il ricorso all’evidenza pubblica.

– la genesi della convenzione oggetto del presente giudizio va individuata non già nella scelta del comune di rivolgersi al mercato per l’acquisizione di servizi, ma nella necessità di regolare i rapporti giuridici appartenenti ai beni dell’IPAB dante causa;

– ciò si evince dall’assenza di onerosità del negozio, tale carattere non potendo inferirsi dall’accollo a carico dell’amministrazione dell’onere economico per le retribuzioni delle religiose adibite all’attività di docenza, essendo la predetta onerosità riferibile esclusivamente a quest’ultima prestazione, laddove nessuna controprestazione pecuniaria risulta convenuta a favore dell’istituto religioso;

– quand’anche si volesse ritenere che l’attività di direzione e coordinamento dell’istituto scolastico sia riconducibile ai “servizi relativi all’istruzione”, di cui al n. 24 dell’allegato II-B al codice dei contratti pubblici, si tratterebbe pur sempre di un servizio sottratto alla disciplina di tale corpus normativo, giusto il disposto dell’art. 27.

6.2 In contrario il Comune appellante obietta che l’istituto scolastico dell’********** è fonte di oneri finanziari e che la relativa gestione si sostanzia in un’attività rientrante nel codice dei contratti pubblici.

6.3 Quest’ultima notazione è rivelatrice della fondatezza del motivo.

La determinazione impugnata costituisce infatti un atto di autotutela doverosamente adottato dall’amministrazione nei confronti di un contratto comportante a suo carico un onere economico continuativo, senza tuttavia la fissazione di un termine di durata.

Palese è dunque la violazione dell’art. 12 della legge di contabilità generale dello Stato di cui al r.d. n. 2440/1923, puntualmente richiamato nella determinazione amministrativa in esame.

*****é formalmente riferito alle sole amministrazioni dello Stato, quest’ultima disposizione contiene un principio valevole a fortiori per enti a “finanza derivata” quali i comuni. La finalità di tale disposizione deve infatti individuarsi in quella di assicurare la migliore gestione delle risorse pubbliche, la quale trascende evidentemente le amministrazioni statali, conformemente all’impostazione generale del testo normativo in cui essa è inserita.

In questa medesima prospettiva si colloca il citato art. 44, comma 2, della finanziaria per il 1995, parimenti richiamato nell’atto emesso dal comune.

Tale secondo intervento normativo, infatti, condivide con la legge del 1923 la stessa finalità, imponendo alle amministrazioni di riesaminare le ragioni di convenienza ed interesse pubblico alla base dei contratti già in essere al momento della sua entrata in vigore.

Riesame che nel caso di specie del tutto legittimamente il comune ha fatto, in ragione dello sbilancio negativo derivante dalla gestione della scuola dell’**********, a causa dell’insufficienza del contributo statale rispetto alle spese fisse (per personale docente, manutenzione, utenze, pulizie), il tutto come debitamente documentato in questo giudizio dall’amministrazione.

L’errore del TAR nel dichiarare l’illegittimità di tale determinazione è consistito nel non avere colto che alla base di essa vi sono ragioni di tutela dell’interesse finanziario pubblico, ora evidenziate, valevoli a prescindere dalla riconducibilità della convenzione ai contratti regolati dal codice di cui al d.lgs. n. 163/2006.

6.3.1 Peraltro, lo stesso giudice di primo grado non ha potuto fare a meno di osservare che le attività regolate nella convenzione costituiscono servizi scolastici di cui al n. 24 del citato allegato II-B.

Ne consegue che anche per questa via l’atto di autotutela in questione deve considerarsi legittimo.

Ciò in quanto:

– pur trattandosi di contratti “esclusi”, ai sensi del combinato disposto degli art. 20 e 27 del codice, in virtù del comma 1 di tale ultima disposizione, l’affidamento degli stessi rimane nondimeno sottoposto al rispetto dei principi di economicità ed efficacia;

– questi ultimi, del resto, costituiscono a loro volta precetti generali dell’attività delle pubbliche amministrazioni, in base all’art. 1 della legge sul procedimento amministrativo n. 241/1990, ai quali rinvia l’art. 2, comma 3, del codice dei contratti pubblici;

– quest’ultima disposizione è a sua volta richiamata dal citato art. 27, comma 2, e dunque valevole anche per i contratti “esclusi”.

Va poi ricordato che l’art. 2, comma 4, d.lgs. n. 163/2006, parimenti applicabile per i contratti esclusi, in quanto anch’esso richiamato dal ridetto art. 27, comma 2, impone in via suppletiva (“per quanto non espressamente previsto dal presente codice”) il rispetto “delle disposizioni stabilite dal codice civile”.

Ebbene, tra queste vi è la regola della recedibilità dal contratto ad esecuzione continuata, anche in assenza di apposita clausola, contenuta nell’art. 1373, comma 2 del codice del 1942.

Segnatamente ad un recesso contrattuale è riconducibile l’atto di autotutela in questione, in quanto sostanziantesi nel ritiro del consenso negoziale costitutivo della convenzione, emesso a fronte della constatazione dell’esborso economico da essa derivante, cosicché anche sotto questo profilo lo stesso deve ritenersi immune dalle critiche dell’impugnativa originariamente proposta contro tale atto.

6.4 Deve conseguentemente essere accolto il primo motivo dell’appello proposto dal Comune di Afragola, con conseguente rigetto, in riforma della sentenza appellata, dell’impugnativa contro lo stesso svolta dalla congregazione ricorrente in primo grado.

7. Può dunque passarsi ad esaminare la questione, positivamente risolta dal TAR, della legittimità della gestione diretta dell’istituto scolastico da parte del comune, a partire dall’anno scolastico 2011, (disposta determinazione dirigenziale n. 1049 dell’8 agosto 2011) ed in relazione alla quale l’istituto religioso odierno appellante deduce che:

– in tal modo verrebbe violato il vincolo di destinazione del complesso immobiliare dell’ex Orfanotrofio dell’********** all’insegnamento religioso;

– il dirigente del settore culturale e sociale del comune avrebbe in tal modo violato l’indirizzo consiliare (di cui alla delibera n. 124 del 29 dicembre 2010) di affidamento del servizio scolastico ai privati;

– non sarebbe possibile per la congregazione appellante rispettare il piano formativo per l’anno scolastico 2011-2012 sulla cui base sono state raccolte le iscrizioni degli alunni.

Quest’ultima censura risulta improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse in seguito alla chiusura dell’anno in questione, ed avendo l’amministrazione, in esecuzione dei provvedimenti cautelari emessi nel corso del giudizio di primo grado, garantito lo svolgimento dello stesso da parte delle suore compassioniste.

Non è poi riscontrabile alcuna violazione degli indirizzi consiliari, visto che il dirigente competente ha disposto di gestire direttamente l’istituto scolastico dopo che la gara per l’affidamento dello stesso era andata deserta.

Il preteso vincolo di destinazione del complesso immobiliare all’insegnamento religioso, risalente secondo la prospettazione delle suore compassioniste sin dalla costituzione dell’ente Orfanotrofio, nel 1794, non è evincibile dallo statuto di quest’ultimo, come puntualmente osserva la Regione Campania, né tanto meno dalla convenzione del 6 agosto 1984 con il subentrato comune, in forza del quale lo stesso deve comunque ritenersi estinto.

Pertanto, tutti i motivi d’appello proposti al riguardo dal citato ente religioso devono essere respinti.

8. Rimane da esaminare la questione della legittimità degli ordini di rilascio, che la predetta congregazione contesta, assumendo che gli stessi determinerebbero una violazione del concordato lateranense, in ragione del mancato previo assenso della competente autorità ecclesiastica, avendo tali provvedimenti ad oggetto beni destinati all’esercizio del culto cattolico.

Va peraltro precisato che la censura è svolta anche con riguardo ai citati provvedimenti regionali di trasferimento a favore del comune dei beni del disciolto Orfanotrofio dell’**********, ma la stessa è manifestamente infondata sul punto, giacché l’art. 5 della legge n. 121/1985, di esecuzione e ratifica dell’accordo del 1984 di revisione del concordato lateranense, concerne beni aventi tale destinazione ma appartenenti ad enti di diritto ecclesiastico, laddove quelli oggetto del presente giudizio risultano essere appartenuti al citato Orfanotrofio dell’**********, che costituiva invece una IPAB ai sensi della l. n. 6972/1890 (“Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza”), e dunque un ente non sottoposto all’ordinamento della Chiesa ma a quello statale.

Né è invocabile il disposto dell’art. 831, comma 2, cod. civ., atteso che esso impone, anche per i beni privati, il rispetto del vincolo di destinazione al pubblico culto, ma che la congregazione appellante nemmeno deduce che per effetto del trasferimento del complesso immobiliare dell’********** disposto nei primi anni ’80 in favore del comune detta destinazione sia venuta meno.

Peraltro, per venire alla parte in cui essa si indirizza nei confronti dei provvedimenti comunali, la censura in esame non è di chiara lettura, perché non specifica se il divieto concordatario operi con riguardo a tutto il complesso immobiliare o solo per le parti di esso specificamente destinate all’esercizio del culto. Infatti, tra esse è operato un indistinto riferimento “alla chiesa del ‘700 inglobata nel complesso ed adibita all’esercizio del culto cattolico […] ai luoghi di preghiera, agli alloggi delle religiose e comunque a tutti i luoghi destinati al perseguimento delle finalità di culto ed ecclesiastiche”. Pertanto, non è chiaro, al di là della predetta chiesa, quali siano le specifiche parti del complesso per le quali sia in ipotesi necessario il nulla-osta ecclesiastico.

Decisiva è in ogni caso la considerazione che, in assenza di deduzione sul punto da parte della congregazione delle Suore compassioniste, non risulta trattarsi, in nessuno dei casi menzionati dalla stessa menzionati, ed in particolare anche per la ridetta chiesa del 1700, di edifici “aperti al culto” ai sensi del citato art. 5 della legge di ratifica delle modifiche al concordato lateranense. Tale disposizione va infatti letta con l’art. 2 della medesima legge, contenente l’espresso riconoscimento da parte dello Stato della missione pastorale e di evangelizzazione della Chiesa cattolica, rispetto al quale l’intangibilità dei luoghi di culto da parte dell’autorità civile è strumentale e giustifica il nulla-osta ecclesiastico. Pertanto, quest’ultimo requisito di legittimità può dirsi operante solo in relazione agli edifici nei quali il culto sia esercitato pubblicamente, vale a dire quelli indistintamente aperti ai fedeli, circostanza che deve ritenersi non provata in questo giudizio, non avendola l’istituto religioso nemmeno allegata.

Conseguentemente, anche l’ultimo motivo dell’appello di quest’ultimo deve essere respinto, mentre, per converso, deve essere accolto anche il secondo motivo dell’appello del Comune di Afragola, volto a censurare l’annullamento dei citati provvedimenti di rilascio.

9. In conclusione, l’appello dell’Istituto delle Suore compassioniste serve di Maria deve essere respinto, mentre deve essere accolto l’appello dell’amministrazione locale.

In conseguenza di tali statuizioni la sentenza di primo grado deve essere parzialmente riformata, dovendosi integralmente respingere il ricorso di primo grado del predetto ente religioso.

Per il numero e la complessità delle questioni trattate si ravvisano giusti motivi per compensare integralmente le spese del doppio grado di giudizio, salvo il contributo unificato ex art. 9 d.p.r. n. 115/2002 versato dal comune vittorioso, che va posto a carico dell’Istituto delle suore compassioniste, mentre quello versato da quest’ultimo va dichiarato irripetibile.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa loro riunione, così provvede:

– respinge l’appello dell’Istituto Suore Compassioniste Serve di *****;

– accoglie l’appello del Comune di Afragola;

per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata:

– respinge i ricorsi di primo grado dell’Istituto Suore Compassioniste Serve di *****;

– compensa integralmente le spese di causa tra tutte le parti, salvo il contributo unificato ex art. 9 d.p.r. n. 115/2002 versato dal Comune di Afragola, che pone a carico dell’Istituto Suore Compassioniste Serve di *****, mentre dichiara irripetibile quello versato da queste ultime.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013

Redazione