La competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili è circoscritta alle costruzioni in cemento armato con destinazione agricola (Cons. Stato n. 2617/2013)

Redazione 14/05/13
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FATTO e DIRITTO

1. Il presente giudizio trae origine dalle iniziative edificatorie intraprese dai fratelli ********* e ********** sull’area dell’estensione di circa 590 mq, sita nel centro di Grottaglie, via Messapia, confinante con il fabbricato di civile abitazione, contornata da esteso giardino, di proprietà di ***********, entrambe ricadenti in zona B1 del vigente piano regolatore.

I primi presentavano nel 1992 un progetto per la realizzazione di un fabbricato composto da un piano terreno, due piani superiori ed un seminterrato.

Dopo gli iniziali atti endoprocedimentali negativi (parere del responsabile dell’ufficio tecnico e della commissione edilizia), con le concessioni edilizie 119 e 120 del 4 maggio 1993 l’amministrazione comunale assentiva l’intervento, con modifiche al progetto inizialmente presentato, concernenti l’ampliamento dell’interrato, la realizzazione di una rampa d’accesso di collegamento con il piano terreno ed il mutamento di destinazione d’uso del primo da area parcheggio ad area commerciale e deposito.

2. Da qui un primo ricorso proposto davanti al TAR Puglia – sezione staccata di Lecce (r.g. n. 2209/1993), nel quale il proprietario confinante L. si doleva: che i titoli edilizi fossero stati rilasciati malgrado le negative risultanze dell’istruttoria; che la costruzione era stata assentita malgrado non rispettasse le disposizioni dei vigenti strumenti urbanistici e del d.m. n. 1444/1968 sulle distanze minime; e che il progetto non rispettasse la superficie minima di aerazione delle autorimessa interrrata, quale prevista dall’art. 22 D.M. Interno 1 febbraio 1986 (“norme di sicurezza antincendi per la costruzione e l’esercizio di autorimesse e simili”).

3. Nelle more, i fratelli G. davano inizio ai lavori, realizzando il vano interrato in aderenza al muro di cinta dell’abitazione del ricorrente ed in sopraelevazione di 140 cm circa dal piano di campagna. A causa di queste difformità rispetto al progetto assentito, il comune di Grottaglie ordinava la sospensione dei lavori (ordinanza del sindaco n. 135 del 28 agosto 1993). Dal canto loro, i fratelli G. si risolvevano nel richiedere il rilascio di concessione edilizia in variante, comprendente l’arretramento del corpo di fabbrica “alle distanze indicate dal confinante”, in relazione alla quale il comune imponeva la richiesta di sanatoria ai sensi dell’art. 13 l. n. 47/1985.

Nondimeno, con istanza in data 26 agosto 1993, L. aveva già richiesto il rilascio concessione edilizia per il ripristino e la sopraelevazione del muro di cinta esistente lungo il confine del lotto di proprietà dei fratelli G., nella parte non prospiciente la nuova costruzione, al dichiarato fine di costruire in prevenzione nei confronti dalle iniziative edificatorie dei confintanti, di cui alle citate concessioni edilizie nn. 119 e 120.

4. Sopraggiungeva quindi l’ordinanza cautelare in data 1 settembre 1993, n. 941, con la quale il TAR adito sospendeva i provvedimenti impugnati.

5. Seguivano i seguenti provvedimenti amministrativi:

– con nota n. 17442 del 4 ottobre 1993 il comune di Grottaglie negava ai fratelli G. la concessione in sanatoria da loro poi formalizzata, richiamando anche la necessità di conformarsi alla pronuncia cautelare;

– con provvedimento n. 5922 del 2 marzo 1994 la medesima amministrazione accoglieva l’istanza edificatoria di L., subordinandola tuttavia al contenimento dell’innalzamento del muro di cinta alla quota di 3 metri;

– infine, acquisito il parere del legale dell’ente, il sindaco, con provvedimento n. 79 del 16 marzo 1994, autorizzava i confinanti G. ad eseguire i lavori in variante di cui all’istanza di sanatoria precedentemente respinta.

6. Contro queste due ultime determinazioni L. proponeva un nuovo ricorso davanti al TAR Lecce (r.g. n. 1313/1994), nel quale lamentava: che il limite dei 3 metri imposto al proprio muro di cinta (in luogo del 3,20 metri richiesti) era immotivato e frutto di sviamento, perché esclusivamente preordinato al rilascio della concessione in sanatoria a favore dei controinteressati, erroneamente identificati dall’amministrazione comunale nei confinanti prevenienti, nonostante la violazione dei distacchi minimi tra costruzioni da loro commessa; che la concessione in sanatoria a favore di questi ultimi era stata rilasciata malgrado il precedente diniego e nonostante la violazione delle distanze minime permanesse; che inoltre il progetto da loro presentato si pone in contrasto con l’art. 22 del citato D.M. 1 febbraio 1986 e, vista la mancanza del vano soggiorno, del D.M. Sanità 5 luglio 1975 (“Modificazioni alle istruzioni ministeriali 20 giugno 1896, relativamente all’altezza minima ed ai requisiti igienico-sanitari principali dei locali di abitazione”); inoltre perché il progetto non assicura il rispetto delle altezze minime delle porte d’accesso ai locali; ed infine perché il progettista è un geometra, figura professionale al quale è normativamente inibita la progettazione di strutture in conglomerato cementizio delle caratteristiche di quella in contestazione.

7. Riunite le due impugnative, il TAR ha dichiarato improcedibile la prima, in quanto superata dalla concessione in variante e sanatoria n. 79/1994 e respinto la seconda.

8. Nel presente appello L. censura quest’ultima statuizione.

Con un primo motivo, critica l’avviso del giudice di primo grado che, da un lato, ha reputato soddisfatto l’onere motivazionale del diniego parziale di sopraelevazione del proprio muro di cinta attraverso il richiamo al parere della commissione edilizia, osservando in contrario che nessuna specifica prescrizione urbanistica viene in realtà addotta a sostegno di tale provvedimento, e, dall’altro lato, ha escluso lo sviamento, sul rilievo che le difformità realizzate dai fratelli L. non erano state oggetto di ordine di demolizione ma solo di ordini di sospensione emessi in sede amministrativa e giurisdizionale. L’appellante obietta al riguardo che la violazione delle distanze legali in questione non consente di invocare alcuna prevenzione ex art. 873 cod. civ. e che l’avviso del giudice di primo grado finisce per sminuire la portata della sospensiva giurisdizionale.

Ripropone quindi, nei confronti della concessione in variante e parziale sanatoria n. 79 del 16 marzo 1994, le doglianze di insufficiente motivazione e carenza del presupposto giuridico-fattuale del rispetto delle distanze legali, oltre che di contraddittorietà con l’iniziale diniego opposto. Si duole che il giudice di primo grado abbia sul punto acriticamente recepito la perizia depositata in giudizio da controparte, omettendo per contro di prendere in considerazione quella propria.

L’appellante censura anche il rigetto, motivato anch’esso attraverso le risultanze della perizia di parte, delle doglianze concernenti la violazione degli standard ministeriali minimi di aerazione dell’autorimessa interrata ed altezza delle porte d’accesso al locale interrato.

Sull’incompetenza del geometra progettista, censura la sentenza di primo grado, che ha disatteso il motivo qualificando la costruzione come “di modeste dimensioni”, in quanto inferiore a 5.000 mc, osservando in contrario che ogni opera in conglomerato cementizio impone la progettazione di un ingegnere o un architetto.

9. I fratelli G. si sono costituiti in questo grado di giudizio contestando i motivi d’appello nei seguenti termini:

– l’appellante non può invocare alcun diritto prevenzione, in relazione al proprio muro di cinta, dovendo esso essere ascritto nel caso di specie ad essi appellati, in seguito all’arretramento del corpo di fabbrica del manufatto di loro proprietà nel rispetto delle distanze legali (4,50 metri dal confine), realizzato in virtù della concessione in variante e sanatoria n. 79 del 16 marzo 1994; né tanto meno può dolersi del limite imposto dal comune all’innalzamento della recinzione muraria, discendendo lo stesso dal disposto dell’art. 886 cod. civ.;

– come osservato dal giudice di primo grado, il mancato previo annullamento dell’iniziale diniego all’istanza di sanatoria è stato superato ed implicitamente abrogato dal successivo assenso;

– l’appellante non ha interesse a dolersi della mancanza nel progetto approvato di un vano soggiorno, non discendendo da tale circostanza alcun pregiudizio per la sua sfera giuridica; vano che peraltro risulta compreso nel progetto approvato;

– sul rispetto delle distanze legali vi è il giudicato civile, di cui alla sentenza della Corte d’appello di Taranto n. 113 del 23 aprile 2008, di conferma della sentenza del Tribunale di Taranto n. 645/2005;

– l’appellante non vanta inoltre alcun interesse a sindacare la competenza professionale del geometra progettista dei lavori, dovendo comunque la stessa ritenersi sussistente in virtù dell’art. 16, lett. m), r.d. n. 274/1929 (regolamento per la professione del geometra).

10. Si è costituito in resistenza anche l’amministrazione comunale.

11. Così riassunte le opposte prospettazioni delle parti, devono essere esaminati con priorità i motivi d’appello indirizzati avverso la concessione in sanatoria n. 79/1994 in favore dei fratelli G., visto che l’istanza relativa alla sopraelevazione del muro di cinta costituisce – a dire dello stesso L. – una reazione all’altrui iniziativa edificatoria, quale assentita in forza del predetto titolo abilitativo.

11.1 Ciò precisato, è innanzitutto fondato l’ultimo motivo, incentrato sull’incompetenza professionale del geometra incaricato dai controinteressati per la progettazione della loro costruzione.

A confutazione dell’eccezione di inammissibilità sollevata da questi ultimi, va preliminarmente affermata la legittimazione dell’odierno appellante a proporre tale censura, essendo egli, in quanto confinante con il manufatto oggetto della sua impugnativa, portatore dell’interesse a che l’attività edificatoria svolta dai proprietari confinanti avvenga nel rispetto delle norme poste a presidio dell’interesse pubblico all’ordinato sviluppo urbanistico-edilizio, tra le quali sono indiscutibilmente comprese quelle regolatrici della corretta progettazione e realizzazione degli edifici. Detto interesse pubblico altro non è, infatti, che la sintesi di una pluralità di interessi, tra i quali anche quello meramente privato inerente la conservazione delle costruzioni realizzate nelle immediate vicinanze, di cui L. è nel caso di specie portatore.

11.2 Venendo al merito della doglianza, risulta innanzitutto in fatto, sulla base della documentazione progettuale versata agli atti di causa, ed anche per deduzione dei fratelli G., che tale costruzione si sostanzia in un fabbricato di civile abitazione su tre piani fuori terra, oltre che uno interrato, con strutture portanti in cemento armato.

In diritto, per contro, in base al regolamento professionale di cui al citato r.d. n. 274/1929, e precisamente l’art. 16, lett. m), il geometra può essere incaricato di progettare “modeste costruzioni civili”, laddove, ai sensi dell’art. 1 del r.d. n. 2229/1939 (“Norme per la esecuzione di opere in conglomerato cementizio semplice od armato”), la progettazione delle opere comportanti l’impiego di tale tecnica costruttiva, “la cui stabilità possa comunque interessate l’incolumità delle persone”, è riservata agli ingegneri o agli architetti.

In aderenza al dato normativo in questione, che si impernia dunque sul pericolo per l’incolumità pubblica, ancora di recente questo Consiglio di Stato ha ricordato che è inibita al geometra la progettazione di opere in cemento armato a destinazione abitativa strutturate su più piani (Sez. IV, sentenza 14 marzo 2013 n. 1526).

Su posizioni non dissimili si pone l’incontrastata giurisprudenza della Cassazione.

Secondo il giudice di legittimità, la competenza professionale dei geometri in materia di progettazione e direzione dei lavori di opere edili è circoscritta alle costruzioni in cemento armato con destinazione agricola, in quanto non richiedenti particolari operazioni di calcolo e che per la loro destinazione non comportino pericolo per la incolumità delle persone, mentre per le costruzioni civili con struttura portante in cemento armato, ancorché di modeste dimensioni, ogni competenza è riservata ad ingegneri ed architetti (da ultimo: Sez. II, 2 settembre 2011, n. 18038; in precedenza: 30 marzo 1999, n. 3046; 21 dicembre 2006, n. 27441; 7 settembre 2009, n. 19292).

Nelle sentenze ora citate la stessa Cassazione ha anche precisato, per rispondere alle difese svolte sul punto dagli appellati, che la legge n. 1086/1971 (“Norme per la disciplina delle opere di conglomerato cementizio armato”), non ha innovato la ripartizione di competenze tra geometri da una parte ed architetti ed ingegneri dall’altra quale definita dai citati testi legislativi del 1929, ma la ha semplicemente recepita.

11.2.1 Il TAR non si è attenuto a questo indirizzo, enucleando un criterio di carattere quantitativo, vale a dire la cubatura dell’edificio, sfornito di base normativa, risultando invece, sulla scorta di tali rilievi, evidente che l’edificio realizzato dai fratelli G. non potesse, per caratteristiche costruttive e destinazione, essere progettato da un geometra.

11.2.2 Del tutto infondatamente questi ultimi asseriscono che l’appellante non avrebbe indicato quale soluzione tecnica di particolare difficoltà ponga la realizzazione del manufatto edificato sul terreno di proprietà, essendo evidente che una palazzina residenziale di tre piani fuori terra importa l’adozione di accurati e complessi calcoli strutturali, al fine di assicurarne la stabilità, chiaramente esorbitanti dal limitato ambito entro il quale la legge circoscrive la competenza professionale dei geometri in materia.

11.3 L’accoglimento di tale censura comporta l’assorbimento di tutte le altre, qui riproposte, concernenti le asserite difformità progettuali rispetto agli standard fissati nei citati decreti ministeriali, rivestendo la stessa piena idoneità ad invalidare ab imis la concessione in sanatoria n. 79/1994 impugnata da L..

12. Nondimeno, il principio di effettività della tutela giurisdizionale sancito dall’art. 1 cod. proc. amm. impone l’esame anche delle censure inerenti il rispetto delle distanze minime.

Infatti, oltre alle ricadute in ordine ai rapporti interprivatistici tra le odierne parti in causa, in particolare ai fini dell’azione di riduzione in pristino ex art. 872 cod. civ., l’accertamento sul rispetto di tali distanze si impone in primo luogo al fine di chiarire la portata del vincolo conformativo nei confronti dell’amministrazione comunale discendente dalla presente pronuncia di accoglimento dell’azione di annullamento di detto titolo edilizio, ed in secondo luogo allo scopo di verificare la fondatezza delle doglianze concernenti il diniego parziale di sopraelevazione del muro di cinta posto sul confine della proprietà del suddetto appellante.

13. Venendo dunque ad esaminare la questione, del tutto correttamente quest’ultimo ricorda che la prevenzione non può essere invocata da colui che abbia violato le distanze legali tra costruzioni. L’appellante cita in modo pertinente la sentenza della Cassazione, sez. II, 26 maggio 1986, n. 3530, espressiva di un orientamento incontrastato, che annette carattere imperativo alle norme legali sulle distanze, integrative di quella generale contenuta nell’art. 873 cod. civ. (cfr., ex multis, Cass., sez. II, 27 maggio 2003, n. 8420), tra le quali va annoverata la pertinente disposizione della NTA per la zona urbanistica nella quale sono comprese le proprietà di entrambe le parti in causa, prevedente un distacco minimo assoluto tra edifici di 9 metri, in virtù della quale occorre accertare se la costruzione dei fratelli G. sia stata posta a distanza di 4,50 metri dal confine tra le due proprietà.

13.1 Il TAR ha ritenuto che tale distanza minima sia stata rispettata, in base alle risultanze della consulenza tecnica del geom. Alfono ************* depositata nel giudizio di primo grado dai controinteressati.

Questi ultimi invocano inoltre il giudicato civile, di cui alla sentenza della Corte d’appello di Taranto n. 113 del 23 aprile 2008, di conferma della sentenza del Tribunale di Taranto n. 645/2005

13.3 Tuttavia, la prima si fonda su mere ed indimostrate asserzioni. La ricostruzione planimetrica non appare infatti decisiva, perché non è consentito da essa verificare l’attendibilità delle presupposte misurazioni. Parimenti, non si rivelano evidentemente concludenti le foto allegate all’elaborato tecnico.

Quanto al citato giudicato, in realtà dall’esame del fascicolo, anche di primo grado, non ne risulta documentazione a comprova della sua esistenza.

Per contro, gli stessi controinteressati hanno prodotto nel giudizio di primo grado un estratto del verbale di un giudizio civile tra le medesime parti svoltosi davanti al Pretore di Grottaglie, nel quale, all’udienza del 14 luglio 1993, gli stessi si sono impegnati “ad arretrare l’erigenda costruzione dal confine […] ad una distanza minima dal confine di mt 4,50”, sulla base del quale hanno ottenuto dalla commissione edilizia parere favorevole all’istanza di concessione in variante ed infine la concessione in sanatoria.

Peraltro, se tale risultanza processuale comprova indiscutibilmente, per la sua valenza ammissiva, l’iniziale violazione delle distanze, non emerge in alcun modo come questa sia stata successivamente sanata.

Ne consegue che il convincimento del TAR su tale decisivo punto poggia su una motivazione insufficiente e che, parimenti, la concessione in sanatoria n. 79 è inficiata da insufficiente motivazione in ordine ad un presupposto fondamentale.

A ciò vanno aggiunte le ulteriori carenze motivazionali da cui tale provvedimento risulta affetto:

– si richiama un parere di un consulente legale esterno all’ente (avv. ****************) che, come giustamente nota parte appellante, si esprime favorevolmente al rilascio della sanatoria a condizione che risultino rispettate le distanze legali, presupposto dunque che non viene accertato in tale apporto conoscitivo endoprocedimentale;

– nella pur lunga motivazione, non si fornisce alcuna indicazione specifica in grado di superare il precedente diniego opposto sull’istanza di variante e sanatoria, di cui alla citata nota n. 17442 del 4 ottobre 1993, in ragione dell’ordinanza di sospensiva emessa dal TAR n. 941/1993;

– la quale, a sua volta, si fonda sulla positiva delibazione della prospettazione alla base del primo ricorso, ossia delle difformità commesse dai controinteressati a causa della costruzione del piano interrato al di sopra del piano di campagna ed in violazione delle distanze legali;

– sul punto, non è pertinente il richiamo operato dal TAR, circa l’effetto di ritiro implicito che con il successivo assenso si sarebbe prodotto, giacché non si ha riscontro nel nostro ordinamento di poteri di ritiro di precedenti determinazioni in via di autotutela per incompatibilità nei confronti di nuove manifestazioni provvedimentali, occorrendo invece che le cause che hanno indotto a ritenere superato il fattore inzialmente ostativo siano adeguatamente illustrate e specificate;

– è ancora il caso di notare che nella concessione in sanatoria è richiamata la nota in data 9 marzo 1994 del tecnico di fiducia dei fratelli G., geom. **************, attestante l’ “esatto dimensionamento delle opere realizzate”, ma non si specifica se da esse emerga la prova che le distanze di legge sono state rispettate in seguito all’arretramento in relazione al quale i predetti controinteressati si erano impegnati.

Ne consegue che è fondata la censura di carenza motivazionale della sanatoria in ordine al necessario presupposto giuridico-fattuale del rispetto delle distanze legali.

14. Sulla scorta di tali considerazioni deve reputarsi fondata anche la censura di sviamento ed insufficiente motivazione formulata dal sig. L. nei confronti del diniego di sopraelevazione del proprio muro di cinta oltre la quota di 3 metri.

In effetti, nessuna ragione ostativa concreta viene specificato nel provvedimento in questione, né è possibile sostenere, come fanno i fratelli G., che questa poteva comunque essere ben nota all’odierno appellante in ragione dei limiti civilistici alle costruzioni, giacché un simile opinare conduce ad enucleare la motivazione del provvedimento aliunde.

15. In conclusione, l’appello deve essere accolto, conseguendone, in parziale riforma della sentenza di primo grado, l’accoglimento del ricorso n. 1313/1994 e l’annullamento degli atti con esso impugnati.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma parziale della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado iscritto al n. di r.g. 1313/1994, annullando gli atti con esso impugnati.

Condanna le parti appellate, in solido tra loro, a rifondere all’appellante le spese del doppio grado di giudizio, complessivamente liquidate in € 6.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 marzo 2013

Redazione