La cessione al datore di lavoro del software creato nel tempo libero esclude l’indennizzo (Cass. n. 15534/2012)

Redazione 17/09/12
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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata in data 8 agosto 2008, la Corte d’appello di Genova ha confermato la decisione di primo grado che aveva rigettato le domande proposte da S.S. nei confronti dell’Istituto Nazionale di Previdenza per i Dipendenti dell’Amministrazione Pubblica (d’ora innanzi, INPDAP), al fine di ottenere la condanna dell’Istituto al pagamento dell’indennizzo o della retribuzione o alla restituzione del risultato utile ex art. 2041 c.c., in relazione alla realizzazione di un “software” finalizzato alla gestione e liquidazione dell’indennità premio di servizio.

La Corte territoriale ha ritenuto che tra le parti fosse intervenuto un negozio giuridico con il quale il S. aveva consentito l’uso gratuito del sistema informatico da parte dell’Istituto datore di lavoro e che ciò escludeva l’esistenza di un illecito.

Anche le restanti domande proposte dal S. sono state ritenute infondate: quella basata anche sull’art. 2126 c.c. e art. 36 Cost., dal momento che non erano state provate differenze stipendiali tra l’originario profilo del S. e quello nel quale rientravano le mansioni di natura informatica alle quali il lavoratore era stato progressivamente addetto; quella proposta ex art. 2041 c.c., dal momento che esisteva un titolo che giustificava l’utilizzo del software da parte dell’istituto.

Avverso tale sentenza il S. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sette motivi. L’INPDAP ha resistito con controricorso e ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo, il S. lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c., art. 329 c.p.c., comma 2 e art. 346 c.p.c., nonchè dell’art. 2909 c.c., dolendosi del fatto che la Corte territoriale abbia ritenuto passato in giudicato, per omessa impugnazione, il capo della sentenza di primo grado, con il quale il Tribunale di Genova aveva dichiarato il difetto di giurisdizione dell’autorità giurisdizionale ordinaria per le pretese economiche afferenti i periodo anteriore al 1 luglio 1998, nonostante che nell’atto di appello egli avesse specificamente contestato tale decisione, alla luce del carattere permanente dell’illecito dell’INPDAP. 2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 75, 83 e 156 c.p.c., dell’art. 1418 c.c., dell’art. 416 c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., per non avere il Tribunale, prima, e la Corte territoriale, poi, esaminato le questioni pregiudiziali sollevate nella prima udienza di trattazione e poi confluite nella memoria autorizzata del 20 gennaio 2005, ossia:

a) la questione della nullità della memoria di costituzione INPDAP, poichè depositata con mandato alle liti nullo; b) la questione, proposta in via subordinata, dell’intervenuta decadenza ex art. 416 c.p.c. dell’Istituto, che aveva provveduto a costituirsi successivamente con mandato valido, ma in epoca successiva alla prima udienza di trattazione.

3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 69, comma 7 e art. 2043 c.c., richiamando l’eccezione proposta dall’INPDAP e ribadendo la natura permanente dell’illecito dell’Istituto.

4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 633 del 1941, artt. 1, 6, 64 bis, 107, 109, 158, artt. 2577 e 2581 c.c., R.D. n. 1127 del 1939, art. 23, comma 2 e/o art. 24, artt. 1803, 768 c.c.. In particolare, il S. puntualizza: a) che il trasferimento dei diritti nascenti dall’ideazione dell’opera dell’ingegno richiede la forma scritta; b) che un’eventuale dichiarazione scritta relativa alla consegna e/o trasferimento relativa ad una parte soltanto dei diritti non comporta il trasferimento dei diritti non richiamati o menzionati; c) che l’onerosità dello sfruttamento dell’opera era incompatibile con la conversione del titolo operata dalla Corte territoriale; d) che l’ideazione dell’opera era avvenuta nel corso di un rapporto di lavoro, ancorchè l’attività di inventore non fosse ricompressa tra le mansioni per le quali era stato assunto; e) che, pertanto, trovano applicazione il R.D. n. 1127 del 1939, art. 23 e 24; f) che tali norme, inderogabili, escludono la gratuità dello sfruttamento dell’invenzione da parte del datore di lavoro; g) che la causa liberale che caratterizza il comodato è incompatibile con l’obbligo legale, previsto dal citato R.D. n. 1127 del 1939, artt. 23 e 24, di mettere l’invenzione a disposizione del datore di lavoro; h) che, qualora la fattispecie potesse essere qualificata come comodato, comunque tale negozio sarebbe nullo, da un lato, “per carenza dell’incontro della manifestazione di volontà circa la gratuità del negozio, dall’altro per carenza della causa prevista dalla legge per il comodato gratuito; i) che, infatti, la missiva del ricorrente sul quale la Corte genovese aveva fondato la propria decisione era un atto unilaterale, nel quale non era dato rinvenire la dichiarazione di rinuncia al compenso e/o all’equo premio.

5. Con il quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1803, 2099 e 2126 c.c., 36 Cost., art. 1418 c.c. e/o art. 1419 c.c., comma 2, per avere la Corte territoriale trascurato di considerare che, per effetto dell’attività svolta al di fuori dell’orario e dell’ambito lavorativo, le sue mansioni si erano modificate nel corso del rapporto sotto il profilo quantitativo e qualitativo, con la conseguenza che la retribuzione corrisposta non poteva essere considerata satisfattiva. Inoltre, la Corte avrebbe omesso di considerare gli artt. 32 e 37 del CCNL del 6 luglio 1995 e l’art. 13 CCNL del 16 febbraio 1999 ed allegato A. Il ricorrente si duole ancora dell’affermazione della Corte territoriale, secondo la quale egli non avrebbe dedotto nè provato differenze stipendiali tra il profilo di appartenenza (1 profilo) e quello cui di fatto le mansioni svolte erano riconducibili (3 profilo: funzionario informatico), dal momento che egli aveva reiteratamente richiesto l’espletamento di una consulenza tecnica.

6. Con il sesto motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2730, 2731 e 2735 c.c., art. 116 c.p.c., artt. 2697 e 2698 c.c., art. 421 c.p.c., per avere la Corte territoriale trascurato il valore confessorio dei documenti prodotti, ossia la lettera di trasmissione del 4 maggio 2006 a firma della dirigente, dott. B., e la lettera trasmessa dalla direzione generale alle direzione centrale dei personale in data 29 marzo 2006.

7. Con il settimo motivo, il ricorrente lamenta omessa e/o insufficiente e/o contraddittoria motivazione, per non avere la Corte territoriale argomentato alcunchè in relazione alle domande di contenuto economico, ulteriori rispetto a quella risarcitoria.

8. Per ragioni di ordine logico, va esaminato preliminarmente il secondo motivo, che è inammissibile perchè, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, il ricorrente non ha dedotto in quale luogo dell’atto di appello avrebbe riproposto le relative eccezioni.

9. I motivi quarto e quinto, che, per ragioni di connessione, possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

9.1. Va premesso che, in sede di legittimità, la critica dell’esegesi effettuata dal giudice di merito può essere prospettata solo sotto il profilo della mancata osservanza dei criteri legali di ermeneutica contrattuale o della insufficienza o contraddittorietà della motivazione, mentre la mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata non rileva ai fini dell’annullamento di quest’ultima.

Ciò posto, si rileva che le censure del ricorrente ruotano attorno a norme non applicabili nel caso di specie, dal momento che, venendo in questione la realizzazione di un “software”, ossia un programma per elaboratore (L. 22 aprile 1941, n. 633, art. 1), la tutela speciale del lavoratore riposa sulla L. n. 633 del 1941, art. 12 bis, che presuppone la creazione dell’opera da parte del lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro.

Nessuna delle due ipotesi ricorre nel caso di specie, essendo stato accertato dai giudici di merito ed essendo stato riconosciuto anche dal ricorrente che egli realizzò il “software al di fuori dell’orario e dell’ambito lavorativo”.

Ne discende che, non sussistendo alcun obbligo legale di consegna del programma al datore di lavoro, viene meno la censura rivolta alla ricostruzione ermeneutica operata dalla Corte territoriale, secondo cui il S. concesse all’Istituto il diritto di utilizzazione gratuita dell’opera.

In generale, in difetto di una norma speciale, deve escludersi che sussista una disciplina inderogabile a tutela del lavoratore, che risulterebbe violata da un accordo con il quale il creatore di un programma per elaboratore ne consente l’utilizzo al proprio datore di lavoro.

10. Il sesto motivo è inammissibile, per violazione del principio di autosufficienza del ricorso, dal momento che non è indicato in modo diretto il contenuto dei due documenti ai quali il ricorrente attribuisce un’efficacia confessoria che la Corte territoriale non avrebbe valutato.

11. Il settimo motivo, prima ancora che infondato, dal momento che la Corte territoriale ha dato conto delle ragioni per le quali ha respinto le restanti domande di contenuto economico, è inammissibile, poichè difetta assolutamente il momento di sintesi richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, dal momento che la sentenza impugnata è stata depositata in data 8 agosto 2008.

12. Il rigetto dei motivi sopra considerati rende superfluo, per evidenti ragioni logiche, l’esame dei motivi primo e terzo, i quali muovono dal presupposto della fondatezza della domanda, della quale mirano a far retroagire nel tempo gli effetti.

13. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 40,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari, cui devono aggiungersi rimborso spese generali, iva e cap come per legge.

Redazione