La Cassazione precisa i confini fra sfruttamento della prostituzione ed estorsione (Cass. pen., n. 41774/2013)

Redazione 10/10/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

1.1 Con sentenza del 9 marzo 2012 la Corte di Appello di Bari confermava la sentenza del Tribunale di Trani del 30 giugno 2011 emessa nei confronti di M.M. e MI.Eu. (soggetti rispettivamente, imputati dei reati di estorsione aggravata, lesioni personali e violenza sessuale – il solo M. – e, in concorso tra loro, dei reati di reclutamento ed induzione alla prostituzione, nonchè favoreggiamento della stessa e sequestro di persona) con la quale il M. e la MI. erano stati, rispettivamente, condannati alla pena di anni otto ed anni cinque di reclusione, oltre le pene accessorie di legge.

1.2 Per l’annullamento della sentenza propongono ricorso entrambi gli imputati personalmente. Comuni i motivi primo (con il quale viene denunciata erronea applicazione della legge penale processuale sia con riferimento alla sentenza che all’ordinanza emessa all’udienza del 22 giugno 2011 relativamente alla utilizzabilità delle dichiarazioni predibattimentali rese dalle persone offese D. V. e C.D. in violazione dell’art. 500 c.p.p., comma 4, e vizio di motivazione correlato); il secondo (con il quale viene dedotto il vizio di motivazione – sotto il profilo della manifesta illogicità – per avere la Corte territoriale ritenuto credibili le dichiarazioni delle persone offese, pur a fronte di una congerie di elementi che le rendevano inattendibili); il terzo (con il quale viene dedotto il vizio di motivazione – sotto il profilo della carenza di essa – in ordine alla decisione della Corte di rigettare le doglianze difensive formulate in merito alla nullità dell’ordinanza istruttoria emessa dal Tribunale ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen. riguardante la richiesta di assunzione della testimonianza di T.I. e di espletamento di perizia medico- legale sulle pp.oo. in merito alla natura delle lesioni da esse patite) ed il quinto (con il quale si lamenta difetto assoluto di motivazione e violazione di legge per falsa applicazione della norma penale in punto di determinazione della pena, anche sotto l’aspetto degli aumenti per la continuazione e del diniego delle circostanze attenuanti generiche). Il ricorrente M. deduce anche un autonomo motivo riguardante la manifesta illogicità e inosservanza della legge penale per avere la Corte ritenuto il concorso tra il reato di estorsione di cui al capo A) e quello di sfruttamento della prostituzione di cui al capo C), profilandosi, invece, una tipica ipotesi di concorso apparente di norme e art. 15 cod. pen..

Motivi della decisione

1. Il ricorso è fondato nei termini che seguono.

2. Possono essere congiuntamente esaminati i motivi primo, secondo, terzo e quinto in quanto – come accennato – totalmente sovrapponibili e basati sulle medesime argomentazioni. E’ certamente infondata ed ai limiti della inammissibilità, per manifesta inconsistenza delle ragioni addotte, la censura riguardante la asserita violazione, da parte del giudice distrettuale, della legge processuale penale in ordine alla utilizzazione ex art. 500 c.p.p., comma 4 delle dichiarazioni predibattimentali rese dalle pp.oo.. La Corte di Appello, nel richiamare, condividendole, le ragioni esposte dal Tribunale che aveva ritenuto di recuperare le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari da D.V. e C. D. sul presupposto che entrambe, chiamate a deporre nel dibattimento, erano state sottoposte a minacce, ha fatto buon governo delle regole previste dalla norma processuale sopra richiamata. La motivazione offerta dalla Corte di Appello, decisamente accurata ed analitica nell’esporre i numerosi elementi che confermavano la tesi delle minacce (minacce formulate nei confronti di C.F., fratello di una delle due denuncianti, prima dell’udienza; predisposizione di una “scorta” sin dalla Romania alla volta dell’Italia, ad opera di parenti degli imputati per accompagnare le due ragazze a deporre in giudizio; ritrattazione ad opera delle due ragazze, delle precedenti dichiarazioni avvenuta senza alcuna spiegazione plausibile; drammaticità delle due deposizioni dibattimentali e indicazione da parte delle due ragazze, nel loro idioma, non adeguatamente compreso dalla Corte, ma univocamente interpretabile per la gestualità delle espressioni e per l’incrocio degli sguardi tra vittime ed imputati, presenti in aula direttamente percepito dalla Corte territoriale) è stata coerente con le regole elaborate dalla giurisprudenza di questa Corte sul tema delle dichiarazioni rese da chi sia stato sottoposto a minaccia o violenza.

3. Invero, il procedimento incidentale diretto ad accertare gli elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a violenza o minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità al fine di non deporre o di deporre il falso, deve basarsi su parametri di ragionevolezza e di persuasività “nel cui ambito può assumere rilievo qualunque elemento sintomatico dell’intimidazione subita dal teste, purchè sia connotato da precisione, obiettività e significatività, secondo uno “standard” probatorio che non può essere rappresentato dal semplice sospetto, ma neppure da una prova “al di là di ogni ragionevole dubbio”, richiesta soltanto per il giudizio di condanna” (Sez. 6^ 24.1.2012 n. 25254, ****** ed altri, Rv. 252896; conformi, Sez. 1^ 1.3.2010 n. 39850, ****** e altri, Rv. 253951; Sez. 2^ 19.5.2010 n. 25069, Solito, Rv. 247848, con la quale si è affermato che anche circostanze emerse nel corso del dibattimento, laddove significative e oggettive, sono idonee alla applicazione della norma processuale sopra richiamata; Sez. 6^ 9.10.2009 n. 44491, B. e altri, Rv. 245164, nella quale si è sottolineata la possibilità da parte del giudice del dibattimento di disporre di ufficio l’acquisizione al fascicolo del dibattimento delle dichiarazioni predibattimentali rese da soggetto risultato essere stato oggetto di minaccia o violenza o promessa di denaro).

4. Anche il motivo afferente al vizio di motivazione in ordine alla asserita non credibilità – ritenuta, invece, particolarmente elevata dal giudice distrettuale – delle dichiarazioni accusatorie delle due parti lese, è infondato: il giudice di merito, di fronte ad un racconto assai dettagliato delle due ragazze che avevano ripercorso le fasi turbolente (dopo una iniziale promessa di trovare un lavoro formulata loro all’atto della partenza dalla Romania per l’Italia) della loro presenza in Italia e della loro successiva permanenza in una situazione di “cattività” (vds. la deposizione, richiamata dalla Corte territoriale, del teste L. della Questura di Barletta e le correttissime e lineari osservazioni svolte dal giudice di appello in merito alla irrilevanza di alcune circostanze dedotte dagli imputati quali la facilità di apertura delle porta del “loculo sotterraneo” in cui si trovava una delle due ragazze – la D. – all’atto dell’arrivo della Polizia e dal quale era poco prima fuggita l’altra – C.D., di cui alle pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata), ha non solo svolto le proprie considerazioni con completezza ed in risposta alle censure mosse dagli appellanti, ma ciò ha fatto senza incorrere in vizi logici di alcun genere, sia con riguardo al contestato reato di sequestro di persona, sia con riguardo al reato di violenza sessuale contestato al capo D). E’ stata ribadita la spontaneità della denuncia delle due ragazze e l’assenza di intenti calunniatori da parte delle due giovani vittime, non senza considerare – per poi disattenderle in quanto destituite di fondamento – alcune circostanze difensive miranti a dimostrare come le due ragazze fossero, in realtà ospiti non paganti degli imputati che le avrebbero incontrate per caso ai giardini pubblici (si vedano le considerazioni del tutto logiche e puntuali svolte alla pag. 9); ovvero le circostanze riferite da due testi ( D.N. C. e ****) in merito alle modalità di incontro tra le due giovani vittime e l’imputata MI.Da. cui le due ragazze si sarebbero rivolte per richiedere ospitalità: circostanze convincentemente disattese dalla Corte, in quanto generiche oltre che illogiche.

5. Quanto al motivo riguardante l’omessa motivazione e sua manifesta illogicità in cui la Corte sarebbe incorsa per non avere accolto la doglianza difensiva mirante ad ottenere l’escussione del teste T.I., la decisione del giudice distrettuale si sottrae a qualsiasi censura, soprattutto di tipo logico, ricordandosi, in via generale, che per potersi parlare di mancanza di motivazione o illogicità manifesta si deve trattare, nel primo caso, non solo di un percorso argomentativo del tutto assente, ma anche di una motivazione meramente apparente o priva di singoli momenti esplicativi in ordine ai temi sui quali deve vertere il giudizio. Si versa invece nella seconda ipotesi (illogicità manifesta), allorchè l’incoerenza di ragionamento sia evidente, ovvero di livello tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità, al riguardo, essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi di diritto (cfr. Cass. Sez. Un. 21.9.2003 n. 47289, ********, Rv. 226074; Sez. 3^ 12.10.2007 n. 40542, ******** e altro, Rv. 238016).

6. Non solo la Corte di merito ha spiegato in maniera persuasiva le ragioni per le quali appariva corretta la decisione del Tribunale di negare la prova richiesta dalla difesa dei due imputati ex art. 507 cod. proc. pen., ma, altrettanto corretta, si profila la decisione della Corte di rigettare la richiesta di parziale rinnovazione dell’istruzione dibattimentale ex art. 603 c.p.p.. Conseguentemente il motivo di ricorso su tale punto è certamente infondato.

6.1 In aggiunta a tali considerazioni va ricordato che, come ripetuta mente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello è istituto di carattere eccezionale subordinato ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità conseguente all’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti che impone l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori.

Atteso tale suo peculiare carattere, in tanto ricorre l’obbligo per il giudice di disporre l’integrazione in quanto la richiesta di parte sia riconducibile alla violazione del diritto alla prova che non sia stato possibile esercitare o per cause di forza maggiore ovvero per la sopravvenienza della prova dopo il giudizio ovvero, ancora, per l’irragionevole diniego dell’ammissione della prova nonostante la stessa sia stata ritualmente richiesta nel giudizio di primo grado (in termini, Cass. Sez. 2A 1.12.2005 n. 3458, Di ******, Rv. 233391; Cass. Sez. 6A 10.12.2003 n. 7197, *******, Rv. 228462).

6.2 Ciò posto la mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, atteso il carattere per sua natura eccezionale di detta rinnovazione, in tanto può essere censurata in sede di legittimità in quanto risulti dimostrata, indipendentemente dall’esistenza o meno di una specifica motivazione sul punto nella decisione impugnata, la oggettiva necessità dell’adempimento in questione e quindi l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di “decidere allo stato degli atti”, come previsto dall’art. 603 c.p.p., comma 1.

6.3 L’error in procedendo rilevante ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. d) è peraltro configurabile quando la prova richiesta e non ammessa – raffrontata con le motivazioni addotte a sostegno della sentenza impugnata – risulti decisiva, tale cioè che, se esperita, avrebbe potuto determinare una decisione di tipo diverso: la valutazione in ordine alla decisività che deve essere compiuta accertando se i fatti indicati dalla parte nella relativa richiesta fossero tali da poter inficiare le argomentazioni poste a base del convincimento del giudice di merito. In altri termini, deve profilarsi l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del provvedimento (come previsto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. a)), le quali sarebbero state presumibilmente evitate ove fosse stato provveduto all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in sede di appello.

7. Analoghe considerazioni vanno svolte con riguardo al mancato espletamento di perizia medico-legale sulle due persone offese volte a conoscere le cause delle lesioni su di esse riscontrate: anche in questo caso, infatti, il giudizio espresso dalla Corte di merito si caratterizza per assoluta linearità e completezza, avendo il giudice distrettuale ritenuto pienamente compatibili con il racconto delle due vittime, le lesioni su di esse riscontrate in varie parti del corpo, oltretutto, diffuse ed eterogenee quanto alla loro origine, così come riferito dalle due ragazze alla Polizia (vds. pagg. 10-11 della sentenza impugnata).

8. In conclusione si tratta di censure che, per come sono formulate, vanno ritenute non solo infondate ma generiche in quanto ripropositive di questioni già sottoposte al vaglio del giudice di merito e da questi analizzate in modo compiuto ed esente da vizi logici o motivazionali di alcun genere: vale al riguardo il principio costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte secondo il quale 2 “E’ inammissibile il ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità” (in termini Sez. 4A 29.3.2000 n. 5191. ********:L: Rv. 216473; Sez. 1A 30.9.2004 n. 39598, ********, Rv. 230634; Sez. 2A 15.5.2008 n. 19951, **********, Rv. 240109; Sez. 4A 9.2.2012 n. 18826, Pezzo, Rv. 253849).

9. Quanto al motivo relativo al trattamento sanzionatorio sotto il triplice profilo della eccessiva determinazione della pena; dell’irragionevole computo degli aumenti per la continuazione e della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, la motivazione della Corte territoriale si profila corretta – tranne che in punto di quantificazione per quanto si osserverà a breve con riferimento allo specifico motivo di ricorso trattato dal ricorrente M. – anche in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche: basta solo aggiungere che il giudice del merito, nel valutare la concedibilità, o meno, delle circostanze di cui all’art. 62 bis cod. pen., ha l’obbligo di riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 cod. pen. senza alcuna necessità di esaminarli tutti, bastando indicare quelli di rilievo negativo, come, in ipotesi, le gravi modalità della condotta (Cass. Sez. 2A 11.10.2004 n. 2285, Alba ed altri, Rv. 230691; conforme Cass. Sez. 6A 16.6.2010 n. 34364, Giovane ed altri, Rv. 248244).

10. E’ invece, fondato il motivo riguardante il mancato assorbimento del reato di cui al capo C) in quello di cui al capo A). Certamente non nuovo, il tema riguardante i rapporti intercorrenti tra il reato di estorsione e il reato di sfruttamento della prostituzione è stato affrontato e risolto in termini di compatibilità tra le due fattispecie dalla giurisprudenza di questa Corte, riconoscendosi la possibilità – in linea di massima – di un concorso tra le due fattispecie in considerazione del diverso oggetto del reato.

10.1 Si è, in particolare, affermato che l’ipotesi aggravata dall’uso della violenza o della minaccia diverge dalla fattispecie integrante il delitto di estorsione in quanto, nel primo caso, il soggetto sfruttato, e sul quale vengono esercitate la violenza e/o la minaccia, sceglie comunque volontariamente di esercitare il meretricio, mentre nel secondo caso, se la persona che si prostituisce viene costretta con la violenza o la minaccia, contro la propria volontà a soggiacere allo sfruttamento, e se lo sfruttatore consegue, con danno del soggetto sfruttato, un ingiusto profitto, si versa nella ipotesi dell’estorsione (in termini Sez. 2A 10.6.2008 n. 25682, ****************, Rv. 240624; in senso conforme Sez. 3A 10.11.1982 n. 422, *********, Rv. 156965.

10.2 E’ stato, infatti, ritenuto che “il contenuto precettivo della norma (L. n. 75 del 1958, art. 3) finisce per corrispondere con qualsiasi forma di indebito approfittamento – e dunque, qualsiasi ingiustificato profitto – tratto dall’esercizio della altrui prostituzione” (così Sez. 2A 25682/08 cit.). Secondo tale impostazione, muovendo dal presupposto che “il bene giuridico protetto dalla L. 20 febbraio 1958, n. 75, non è la tutela della salute pubblica, ma la libertà di determinazione della donna nel compimento di atti sessuali, garantita attraverso il perseguimento dei terzi che da tale attività intendono ricavare un vantaggio economico” (Cass., Sez. 3, 8 giugno 2004, *******), si è così ritenuto che nel caso dello sfruttamento della altrui prostituzione, nella prima figura criminosa, la condotta del soggetto sfruttato, seppur assoggetto a violenza, è caratterizzata dalla volontarietà da parte dello sfruttato della scelta di continuare ad esercitare il meretricio e di consentire così all’agente di “approfittare indebitamente” di quella condizione, mentre quando, attraverso la violenza o la minaccia, la persona che si prostituisce sia stata costretta a fare o ad omettere di fare alcunchè, e lo “sfruttatore” abbia da ciò conseguito un ingiusto profitto con danno per il soggetto “sfruttato”, ci si troverà di fronte al reato di estorsione di cui all’art. 629 cod. pen. (Sez. 2A 25682/08 cit.).

10.3 Nel caso in esame la Corte di merito ha ritenuto il concorso dei due reati partendo da tale premessa. A ben vedere, la contestazione relativa al delitto di estorsione viene configurata dall’Accusa come minaccia e violenza esercitata su D.V. e C. D. per indurle a prostituirsi, procurandosi un profitto ingiusto, mentre la condotta di sfruttamento della prostituzione viene configurata come costrizione – mediante violenza e minaccia – a consegnare agli imputati il denaro percepito dallo sfruttamento: tuttavia nel caso in esame risulta provata la volontarietà da parte delle due ragazze di esercitare il meretricio e comunque non è mai emersa la prova della costrizione a svolgere tale attività.

L’elemento costrittivo emerge invece, per come ritenuto dalla stessa Corte territoriale, con riferimento alla requisizione del denaro, previo controllo sulle ragazze (vds. in proposito quanto rilevato dalla Corte di merito in ordine alle dichiarazioni delle due ragazze sulla condotta della MI. – pag. 8 della sentenza impugnata):

ciò determina l’assorbimento del reato di cui al capo a) nel reato di cui al capo b). Da qui l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bari, limitatamente a tale punto, dovendosi rideterminare – alla luce del principio affermato da questo Collegio – la pena originariamente inflitta al M.. Nel resto il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

Ritenuti assorbiti i fatti di cui al capo A) nella contestazione di cui al capo B), annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Bari per la determinazione della pena. Rigetta nel resto.

In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed atti identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 2 aprile 2013.

Redazione