La Cassazione nega l’applicabilità dell’istituto all’autista che investe un ciclista e poi fugge (Cass. pen. n. 35543/2012)

Redazione 17/09/12
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Svolgimento del processo

1. C.R. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d d’appello di L’Aquila,in data 8-7-2010, che ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Pescara in data 20 maggio 2008, la quale aveva dichiarato l’imputato responsabile del reato di cui agli art. 189 C.d.S. commi 1 e 6, perchè, dopo aver provocato l’investimento del ciclista M.A., che riportava lesioni personali consistite in un politrauma, non ottemperava all’obbligo di fermarsi e di prestare i dovuti soccorsi, dandosi alla fuga (capo A) ; del reato di cui all’art. 367 c.p., e art. 61 c.p., n. 2, perchè, con comunicazione telefonica al 112, denunciava falsamente, al fine di occultare il reato di cui al capo che precede, di essere stato aggredito e sequestrato da tre persone (capo B); del reato di cui agli artt. 186 e 187 C.d.S., per aver guidato l’auto Fiat Panda tg (omissis) in stato di ebbrezza e di alterazione psico- fisica, derivante dall’assunzione di bevande alcoliche e di sostanze stupefacenti (metadone e cocaina); e infine del reato di cui all’art. 590 c.p., per avere cagionato a M.A. lesioni personali gravi, immettendosi in una strada con diritto di precedenza senza rispettare il segnale di Stop e così travolgendo il velocipede condotto dal M.. In (omissis).

2. Con il primo motivo, il ricorrente deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 367 c.p., e vizio di motivazione. La telefonata ai Carabinieri di cui al capo B) non integra gli estremi di una denuncia o di una querela. In secondo luogo, il reato di aggressione che, a detta dei Carabinieri, il C. avrebbe denunciato, è procedibile a querela e quest’ultima non è stata presentata, non avendo il ricorrente formulato alcuna istanza di punizione. In terzo luogo, la sussistenza del reato deve essere esclusa quando l’inverosimiglianza del fatto appaia ictu oculi, come nel caso di specie.

3. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto gravi le lesioni poichè dalla documentazione sanitaria non emerge una prognosi superiore a 40 giorni ma soltanto una prognosi di 15 giorni, desumibile dal certificato di pronto Soccorso.

4. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello abbia ritenuto la continuazione solo in riferimento ai reati previsti dagli artt. 367 e 189 C.d.S., ed afferma che la modifica dell’art. 671 c.p.p., in forza della quale fra gli elementi che incidono sulla disciplina del reato continuato vi è la consumazione di più reati in relazione allo stato di tossicodipendenza, sia operativa anche ai fini dell’applicazione dell’art. 81 c.p.p., comma 2.

5. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta che il giudice di merito non abbia ritenuto accidentale la concomitante assunzione di alcool e di sostanze stupefacenti, con la conseguente efficacia scriminante perchè il C. non aveva la volontà di ubriacarsi. E comunque è mancata un’indagine sull’atteggiamento psicologico del soggetto.

Motivi della decisione

6. Il primo motivo è manifestamente infondato. E’ assolutamente corretto quanto osservato dalla Corte d’appello in merito alla nozione di denuncia, rilevante ex art. 367 c.p.. Con questo temine infatti la predetta norma incriminatrice designa ogni notitia criminis, indifferentemente orale o scritta, palese o confidenziale, firmata o anonima, spontanea od ottenuta su sollecitazione dell’autorità, come nel caso di un interrogatorio (Cass. 3-2-1979, ******, Cass. pen. 1972, 574; Cass. 27-11-1970, *********, Giust. Pen. 1972, 2^, 346; Cass. 3-12-74 *******, Cass. pen. 1976, 392).

Dunque anche la denuncia telefonica è senz’altro idonea ad integrare l’elemento oggettivo del reato in disamina.

6.1. Nel caso di specie, risulta poi che la denuncia aveva ad oggetto un’aggressione ed un sequestro di persona posti asseritamente in essere da tre giovani ai quali il C., a suo dire, aveva offerto un passaggio. Orbene, non può affermarsi che la condotta di aggressione integri ex se un reato, occorrendo che essa sia sfociata in percosse o nella causazione di lesioni. Per la procedibilità d’ufficio, occorre poi che la malattia derivata da tali lesioni abbia avuto una durata superiore a venti giorni. Ma la condotta di sequestro di persona integra senz’altro, invece, gli estremi del delitto di cui all’art. 605 c.p., procedibile d’ufficio. E’ quindi irrilevante che il C. non abbia sporto querela.

6.2. D’altronde, può escludersi la ravvisabilità del reato, sotto il profilo dell’insussistenza della possibilità di inizio di un procedimento penale, soltanto laddove il contenuto della denuncia appaia palesemente inverosimile ovvero la complessiva situazione di fatto consenta di escludere la necessità di svolgere indagini sul reato denunciato e suggerisca invece di avviarle proprio in merito alla falsità della denuncia stessa (Cass. Sez. 6^, 3-12-2009, n. 4983, rv. n. 246077). Ma non vi è nulla di intrinsecamente inverosimile nell’asserto di chi lamenti di essere stato aggredito da tre sconosciuti ai quali aveva dato un passaggio. Nè, secondo quanto si desume dalla motivazione della sentenza impugnata, al momento della segnalazione telefonica, erano riscontrabili aliunde elementi che inducessero ad escludere ictu oculi la veridicità della denuncia.

Quest’ultima era quindi senz’altro idonea a determinare l’avvio di un’indagine penale volta all’accertamento dei fatti denunciati.

7. Il secondo motivo esula dal numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di ricostruzione del fatto riservati alla cognizione del giudice di merito,le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili in cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente ed idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso in disamina, il giudice di secondo grado ha richiamato le risultanze delle cartelle cliniche agli atti, che attestano lesioni guaribili complessivamente in più di quaranta giorni. La motivazione è dunque basata sulla rilevazione di un dato probatorio risultante per tabulas,in quanto enucleato da una fonte documentale specificamente individuata dal giudice di merito.

8. Manifestamente infondato è anche il terzo motivo di ricorso, avendo la Corte territoriale motivato in maniera del tutto corretta, sotto il profilo logico-giuridico, condividendo le valutazioni del primo giudice in merito al riconoscimento della continuazione esclusivamente fra i reati dolosi, poichè è inconfigurabile il vincolo della continuazione tra reati dolosi e reati colposi (Cass. 3- 12-99, *****, rv 215447; Cass. 17-1-2001, *******, rv 218970; Cass. Sez. 4^ 19-6-20O7n. 35665, rv 237454). E su tale incompatibilità ontologica non esplica alcuna efficacia il disposto dell’art. 671 c.p.p., così come modificato dalla L. n. 49 del 2006. Si è infatti ritenuto, in giurisprudenza, che la nuova disciplina non abbia modificato l’assetto dell’istituto della continuazione. Ne consegue che, per l’applicazione della disciplina del reato continuato, non può valere, da solo, lo stato di tossicodipendenza in cui versi l’imputato,non costituendo esso prova dell’originaria ideazione e deliberazione di tutte le violazioni, nei loro caratteri essenziali (Cass., Sez. 6^, 30-11-2006 n. 40349, rv 232456). Lo “status” di tossicodipendenza può dunque essere incluso fra gli elementi da prendere in esame onde verificare se sussista o meno l’unicità del disegno criminoso con riguardo ai reati che siano da esso dipendenti ma sempre che ricorrano anche le altre condizioni individuate dalla giurisprudenza per la sussistenza della continuazione (Cass. Sez. 1^ 21-2-2007 n. 7190, rv 235685). E abbiamo visto come l’omogeneità dell’elemento psicologico sia condizione essenziale. D’altronde, non sarebbe concepibile, nel caso di specie, un unico, originario disegno criminoso comprendente anche la guida in stato di ebbrezza e l’investimento del velocipede, a meno di non ipotizzare la dolosità ditali condotte.

9. il quarto motivo di ricorso investe un profilo di merito, estraneo all’area della cognizione del giudice di legittimità, sempre che la motivazione della sentenza di merito non presenti lacune o profili di mera apparenza, contraddittorietà o manifesta illogicità.

Viceversa, con motivazione esente da vizi logico – giuridici, la Corte ha ricondotto la fattispecie concreta in disamina all’ambito di applicabilità del combinato disposto degli artt. 92 e 93 c.p..

Occorre, al riguardo, sottolineare, in linea di diritto, come alla disciplina dell’ubriachezza sia del tutto estraneo il requisito della “volontà di ubriacarsi “, richiamato nel ricorso. E’ dunque irrilevante che ricorra o meno una tale volontà. Per la ravvisabilità dell’ipotesi di cui all’art. 92 c.p., comma 1, è sufficiente che l’ubriachezza non sia derivata da caso fortuito o forza maggiore, come può avvenire, ad esempio, a causa di assunzione di una bevanda alcolica nella convinzione che sia analcolica o per altrui intervento malizioso o scherzoso. Rientra altresì nell’ipotesi di cui all’art. 91 c.p., la c.d. “ubriachezza patologica”; che ricorre allorquando, a causa di una enorme reattività del soggetto, anche l’ingestione di una modesta quantità di alcolici cagioni lo stato di ubriachezza (Cass. Sez. 6^, 20-6- 1978, ********, Giust. pen. 1979, 2^, 66), sempre però che il soggetto non sia a conoscenza della propria idiosincrasia all’alcool e ciò nonostante ne assuma (Cass., Sez. 6^, 19-6-1982, Carco, Cass. pen. 1983, 1756). Per la ravvisabilità dell’ipotesi di cui all’art. 91 c.p., deve insomma potersi escludere qualunque partecipazione dolosa o colposa della volontà dell’agente (Cass., Sez. 6^, 18-4- 1967, *********, Cass. pen. 1968, 276). Pertanto la volontaria assunzione di bevande alcoliche e di metadone e cocaina rientra appieno nella previsione di cui agli artt. 92 e 93 c.p..

10. La manifesta infondatezza dei motivi o la loro indeducibilità nel giudizio di cassazione comporta, a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3, l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille, determinata secondo equità, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

La Corte, visto l’art. 615 c.p.p., comma 2, e art. 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della cassa delle ammende.

Redazione