L’ordine di demolizione è un atto vincolato alla constatata abusività (Cons. Stato n. 2873/2013)

Redazione 24/05/13
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FATTO e DIRITTO

1. Con il ricorso n. 1130/2011, proposto al T.a.r. per la Lombardia, Brescia, *********** chiedeva, lamentandone l’illegittimità, l’annullamento dell’ordinanza n. 7 del 12 maggio 2011, con la quale l’Unione Comuni Media Val Cavallina aveva ordinato la demolizione di una costruzione pertinenziale in legno, con rivestimento in pietra ed in cemento, dal medesimo realizzata.
2. Con la sentenza n. 1428 del 2012 il T.a.r. per la Lombardia respingeva il ricorso.
3. Avverso la predetta sentenza il soccombente Armati proponeva appello (r.g.n. 7979/2012).
4. All’udienza del 7 maggio 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.
5. Con il primo motivo l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza del T.a.r. per la Lombardia, che non ha ritenuto l’ordinanza emanata dell’Unione comunale Media Val Cavallina n. 7/2011 affetta dal vizio di violazione ed errata applicazione degli artt. 22 e 37, d.P.R. n. 380/2001.
Secondo ***********, infatti, il citato provvedimento sarebbe illegittimo, in quanto il manufatto in esame – soggetto a semplice denuncia d’inizio attività e, altresì, conforme agli strumenti urbanistici vigenti nella zona – sarebbe sanzionabile con una pena pecuniaria a norma dell’art. 37, comma 1, d.P.R. n. 380/2001, e non con la demolizione e la riduzione in pristino.
5.1. Il motivo è infondato.
L’art. 37, comma 1, d.P.R. n. 380/2001, dispone che “la realizzazione di interventi edilizi di cui all’articolo 22 (del medesimo d.P.R.), in assenza o in difformità dalla denuncia d’inizio attività comporta la sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento del valore venale dell’immobile conseguente alla realizzazione degli interventi stessi e comunque in misura non inferiore a 516 euro”.
L’art. 22, d.P.R. n. 380/2001, in precedenza richiamato ed intitolato “interventi subordinati a denuncia di inizio attività”, prevede invece, al comma 1, che siano assentibili con d.i.a. gli interventi edilizi non riconducili all’elenco di cui agli artt. 6 e 10, d.P.R. n. 380/2001 e, al comma 2, che “sono altresì sottoposte a denuncia di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire”.
Ne deriva che dal combinato disposto dei citati articoli l’applicabilità della sanzione pecuniaria è limitata ai soli interventi astrattamente realizzabili previa denuncia d’inizio attività che siano, altresì, conformi agli strumenti urbanistici vigenti.
Orbene, nel caso di specie, dagli atti di causa risulta che l’istante abbia rispettato il primo dei succitati criteri di cui all’art. 22, d.P.R. n. 380/2001, ovvero quello di aver realizzato un intervento assentibile tramite d.i.a., in quanto il manufatto consiste in un’opera pertinenziale di volume inferiore al 20% di quello dell’edificio principale, ma che il medesimo non abbia osservato l’ulteriore criterio previsto dal medesimo art. 22, d.P.R. n. 380/2001, relativo alla conformità dell’intervento agli strumenti urbanistici vigenti per la zona in cui ricade il manufatto in esame.
Osserva in proposito il collegio che, differentemente da quanto rilevato dall’attuale appellante, l’intervento di cui è causa non può essere ricompreso nelle fattispecie previste dall’art. 25, n.t.a. vigenti nel Comune di Vignano S. Martino per la zona omogenea B (contenimento allo stato di fatto) – nella quale ricade il manufatto in esame – che prevede che “per gli edifici esistenti nelle zone di contenimento, sono consentiti gli interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione, di restauro e risanamento conservativo, di ampliamento e di ristrutturazione edilizia, comprese le demolizioni e le ricostruzioni ed il trasferimento di volumi nell’ambito di una stessa unità di azzonamento”.
Dagli atti di causa (ordinanza di demolizione n.7/2011 e verbale di accertamento di violazione in materia edilizia n. 1456/2010, che costituiscono prova fino a querela di falso) emerge, infatti, come l’intervento effettuato dall’appellante abbia prodotto una costruzione sostanzialmente nuova per modalità costruttive e consistenza e di dimensioni maggiori rispetto a quelle coperte dalla struttura precedente, eccedendo i limiti propri della ristrutturazione edilizia.
A quanto rilevato non può, peraltro, opporsi che vi sia stato un trasferimento di volumi nell’ambito di una stessa unità di azzonamento: tale circostanza, infatti, non risulta comprovata dagli atti di causa.
Da quanto esposto discende, quindi, che, essendo l’intervento posto in essere dall’appellante non conforme agli strumenti urbanistici vigenti per la zona ove ricade il manufatto, non poteva trovare applicazione nel caso di specie la sanzione pecuniaria prevista dall’art. 37, comma 1, d.P.R. n. 380/2001, ma solo la più grave sanzione demolitoria.
Risulta, dunque, legittimo sotto questo profilo il provvedimento n. 7/2011 emanato dall’Unione Comuni Media Val Cavallina e, conseguentemente, corretta sul punto la sentenza del giudice di prime cure, che lo ha ritenuto legittimo.
6. Con il secondo motivo l’appellante lamenta l’erroneità della sentenza del T.a.r. per la Lombardia n. 1428/2012, nella parte in cui avrebbe motivato in maniera contraddittoria la non sussistenza del vizio di difetto di motivazione.
L’appellante ha, infatti, rilevato che l’impugnato provvedimento emanato dall’Unione Comuni Media Val Cavallina sarebbe illegittimo, in quanto l’opera di cui è causa sarebbe ancora quella originaria, risalente nel tempo, con la conseguenza che la demolizione richiederebbe una specifica motivazione in ragione dell’esistenza di una posizione di affidamento del privato, ingenerata dal protrarsi dell’inerzia dell’amministrazione competente.
6.1. Il motivo è infondato.
Osserva il collegio che, conformemente ad un orientamento giurisprudenziale da cui non vi sono ragioni per discostarsi “l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato alla constatata abusività, che non richiede alcuna specifica valutazione delle ragioni d’interesse pubblico né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati e neppure una motivazione circa la sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non essendo configurabile alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione d’illecito permanente, che il tempo non può legittimare in via di fatto” (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, sent. 28 dicembre 2012 n. 6702).
Orbene, alla luce di quanto precede ed in ragione della natura permanente dell’abuso di cui è causa, non può ritenersi sussistente alcuna posizione di affidamento in capo all’appellante e non doveva, quindi, l’amministrazione competente motivare in maniera specifica l’interesse pubblico sotteso alla sanzione demolitoria.
Risulta, dunque, anche sotto questo profilo legittimo il provvedimento n. 7/2011, emanato dall’Unione Comuni Media Val Cavallina, e corretta, sul punto, la sentenza del T.a.r. per la Lombardia.
7. Con il terzo motivo l’appellante lamenta l’erroneità dell’impugnata sentenza, nella parte in cui non ha ritenuto illegittima l’ordinanza n. 7/2011, per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento, a norma dell’art. 7, legge n. 241/1990, ritenendo, invece, applicabile l’art. 21-octies della medesima legge.
7.1. Il motivo è infondato.
Osserva il collegio che – in ragione di quanto precedentemente rilevato al punto 5.1, in merito alla non conformità dell’intervento di cui è causa agli strumenti urbanistici vigenti per la zona ove ricade il manufatto – l’impugnata ordinanza n. 7/2011 risultava vincolata nel suo contenuto.
A quanto esposto va, peraltro, aggiunto che, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, “l’esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la conseguenza che i relativi provvedimenti, quali l’ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l’invio della comunicazione di avvio del procedimento, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell’atto” (cfr. Cons. di Stato, sez. VI, sent. 29 novembre 2012 n. 6071).
Anche sotto questo profilo il provvedimento di demolizione impugnato con il ricorso introduttivo non presenta aspetti censurabili e, conseguentemente, non può non essere ritenuta corretta sul punto la sentenza che ha ritenuto il motivo in esame infondato.
8. Per quanto sin qui esposto l’appello deve ritenersi infondato e va, pertanto, respinto, con salvezza dell’impugnata sentenza.
9. Nulla deve disporsi per gli oneri processuali, non essendosi costituite in giudizio le amministrazioni appellate.

P.Q.M.

il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione VI, respinge l’appello (r.g.n. 7979/2012) e nulla dispone per gli oneri processuali di secondo grado.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 7 maggio 2013

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