L’onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum spetta al ricorrente e non alla PA

Redazione 30/06/11
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N. 00112/2011 REG.PROV.COLL.

N. 00189/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 189 del 2009, proposto da***

contro***

nei confronti di***

per l’annullamento

DELLA DETERMINAZIONE N. 83/133 IN DATA 24.3.2009 CON CUI IL DIRETTORE TECNICO DELLA COMUNITA’ MONTANA HA AGGIUDICATO IN VIA DEFINITIVA ALLA COOPERATIVA SOC. CONTROINTERESSATA L’APPALTO DEL SERVIZIO ASSISTENZA DOMICILIARE PER ANZIANI E DISABILI

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Controinteressata Societa’ Cooperativa Sociale Onlus;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 febbraio 2011 il dott. ************* e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

 

FATTO e DIRITTO

Con ricorso prima proposto al Tar Lazio e poi riassunto avanti a questo tar, premette la cooperativa “La ricorrente” di aver partecipato alla procedura negoziata indetta dalla comunità Montana della Laga zona “M” con determinazione dirigenziale del 31.12.2008 (riservata alle sole cooperative sociali iscritte all’albo regionale nelle sezioni A e C), per l’affidamento del servizio di assistenza domiciliare agli anziani e disabili sino a tutto il 2009.

Con determinazione dirigenziale n. 26/2009 del 27.09 si approvava la graduatoria predisposta dalla commissione, in esito alla quale l’odierna ricorrente figurava al primo posto; tuttavia la gara veniva riaperta e riaffidata al seggio di gara a seguito dell’esposto avanzato dalla cooperativa CONTROINTERESSATA, la quale –dopo il ricalcolo operato dalla commissione- veniva collocata in prima posizione. Da qui l’intervenuto affidamento del servizio in capo a tale cooperativa che–insieme ai presupposti atti di gara- l’odierna ricorrente contesta con l’odierno gravame.

Si è costituita in giudizio la cooperativa contro interessata, che ha sostenuto l’inammissibilità e comunque l’infondatezza nel merito dell’impugnativa, mentre alla pubblica udienza del 9.2.11 la causa è stata riservata a sentenza.

Va in primis disattesa l’eccezione in rito della controinteressata, secondo cui la ricorrente avrebbe dovuto impugnare nei termini (senza averlo fatto) la revoca della originaria aggiudicazione a suo favore.

Resta tra le parti incontroverso che tale prima aggiudicazione rivestiva ancora natura provvisoria, assumendo quindi un carattere meramente endoprocedimentale, così che l’autoritiro di tale aggiudicazione si inseriva nell’ambito di una procedura ancora in itinere, mentre l’unica aggiudicazione definitiva formalizzata dalla Comunità risulta essere per l’appunto quella deliberata a favore della controinteressata (determina 83/09) avverso la quale la ricorrente si è dunque tempestivamente gravata.

Nel merito il ricorso trova accoglimento per l’assorbente fondatezza della censura relativa alla pur temporanea cancellazione della cooperativa aggiudicataria dall’albo regionale delle cooperative sociali, cancellazione sopravvenuta nel corso del procedimento di gara.

Sul punto va infatti premesso che la normativa di gara imponeva espressamente fra le condizioni di partecipazione, “di essere iscritto all’albo regionale delle cooperative sociali sezione A servizi socio-sanitari e educativi o sezione C concorsi sociali ex art. 8 della legge 381/91”, stabilendo poi che in caso di aggiudicazione provvisoria il soggetto affidatario avrebbe dovuto documentare la sua iscrizione all’albo.

Come correttamente osservato dal ricorrente patrono, tale iscrizione rappresentava la conditio sine qua non per la partecipazione alla selezione, e comunque per l’affidamento del servizio.

Ciò non di meno risulta incontroverso agli atti di causa che la soc. CONTROINTERESSATA., pur iscritta al momento della presentazione della domanda, è stata cancellata dall’albo regionale con determinazione adottata in data 4 marzo 2009, salvo esser stata poi reiscritta il 6.3.09 (senza alcuna portata retroattiva di tale nuova iscrizione) una volta constatata dagli organi regionali la rimozione delle cause ostative.

La difesa della controinteressata ha minimizzato tale vicenda, affermando che –al di là dell’eseguo spazio temporale di cancellazione- la lex specialis avrebbe imposto l’iscrizione (solo) per l’ammissione e per l’affidamento del servizio, ed in entrambe dette fasi la ditta CONTROINTERESSATA sarebbe stata debitamente iscritta (recte, iscritta al momento della partecipazione, e poi reiscritta al momento dell’affidamento intervenuto il 24 marzo).

Detto ultimo assunto non può tuttavia essere condiviso.

In materia di possesso dei requisiti richiesti dal bando, vige il principio secondo cui tali requisiti debbono essere possedute dai concorrenti

non solo al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte, ma anche in ogni successiva fase del procedimento di evidenza pubblica e per tutta la durata dell’appalto, così che anche una pur lieve discontinuità durante le varie fasi intermedie non può che riverberarsi in senso preclusivo sull’aggiudicazione, sull’ affidamento o sulla stipula contrattuale; diversamente opinando, le stazioni appaltanti sarebbero esposte all’alea della perdita e del successivo riacquisto dei requisiti in corso di gara, da parte delle ditte offerenti, mentre deve essere cura dell’impresa che partecipa alla procedura selettiva di possedere, dalla presentazione dell’offerta fino all’eventuale fase di esecuzione dell’appalto, la qualificazione richiesta dal bando (per una analoga vicenda, sia pure specificante riferita alle SOA, cfr. da ultimo Tar Puglia Bari, I sez. 1334/2010).

Il ricorso trova pertanto accoglimento, assorbito ogni altro motivo.

Poiché l’appalto risulta comunque ormai espletato, va altresì accolta –ai sensi dell’art. 34 comma 3 del CPA- l’istanza risarcitoria formulata dal ricorrente, trattandosi di danno direttamente derivante dalla mancata esclusione della contro interessata e dal conseguente mancato affidamento del servizio al quale la ricorrente avrebbe avuto titolo in virtù del piazzamento acquisito in graduatoria (senza che peraltro rilevi l’accertamento della colpevolezza della PA, dopo Corte di Giustizia Ce, sez. III, 30 settembre 2010, n. C-314/09, sul punto, cfr fuditus Tar Lombardia –BS- sentenza 4552/2010).

Non può peraltro accedersi alla richiesta liquidatoria avanzata nel gravame, pari al 30% del corrispettivo di appalto che la ricorrente medesima presume essere l’utile mancato. A prescindere da altre considerazioni, occorre infatti calcolare l’ovvio e doveroso scomputo delle spese di gestione che la cooperativa interessata avrebbe dovuto affrontare nell’eseguire l’affidamento per i periodi reclamati; parimenti, non sussiste alcun automatismo in base al quale debba essere rivendicato l’integrale utile d’impresa (pur se correttamente determinato con le citate detrazioni), sulle prestazioni rimaste prive di esecuzione per l’azione illegittima della stazione appaltante; ciò in quanto, secondo giurisprudenza che il collegio condivide, il lucro cessante da mancata aggiudicazione può essere risarcito per intero se e in quanto l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi, mentre quando tale dimostrazione non venga offerta è da ritenere che l’impresa possa avere ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri, analoghi servizi, così vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilità, con conseguente riduzione del danno risarcibile. Trattasi anche in questo caso di un’applicazione del principio dell’aliunde perceptum, in base al quale, onde evitare che a seguito del risarcimento il danneggiato possa trovarsi in una situazione addirittura migliore rispetto a quella in cui egli si sarebbe trovato in assenza dell’illecito, va detratto dall’importo dovuto a titolo risarcitorio (oltre ai costi di gestione che la ditta avrebbe comunque affrontato nell’esecuzione dell’appalto) quanto dalla ditta stessa percepito grazie allo svolgimento di diverse attività lucrative, nel periodo in cui avrebbe dovuto eseguire l’appalto in contestazione (Consiglio di Stato, sez. VI n. 2751 del 9 giugno 2008, ove viene ben chiarito come l’onere di provare l’assenza dell’aliunde perceptum spetti al ricorrente e non alla PA, nel più generale contesto di quantificazione del danno lamentato, secondo logiche ovviamente del tutto diverse ed indipendenti dalla questione circa l’addebito di prova della colpevolezza, questione ora del tutto superata dalla citata pronuncia comunitaria del 30 settembre 2010).

Ritiene comunque il collegio di demandare la quantificazione del risarcimento ad una determinazione concordata fra stazione appaltante e la ricorrente medesima ai sensi dell’art., 34 comma 4 del CPA, in applicazione dei seguenti criteri direttivi.

Ai sensi di quanto in precedenza puntualizzato, il metodo primario per la determinazione di base del lucro cessante va individuato nell’utile previsto nell’offerta, da esaminare nella sua disaggregazione analitica costituita dalle giustificazioni degli elementi costitutivi della stessa. Deve poi sul punto precisarsi che solo ove il pregiudizio non possa essere precisato nel suo preciso ammontare, operano in via analogica le quantificazioni basate sul cd. utile presuntivo in tema di recesso unilaterale della p.a. dal contratto di appalto di opere pubbliche, già previsto dall’art. 345 della l. 2248/1865 all. F, ripreso dall’art.122 del D.P.R. 21 dicembre 1999 n. 554, ed infine recepito dall’art. 134 del D.lgvo n.163/2006 (10% del valore dell’appalto); tale calcolo forfetario di quantificazione massima del margine di profitto dell’appaltatore nei contratti (anche non di lavori) con l’Amministrazione deve essere infatti applicato in via rigorosamente residuale, e solo in assenza di migliori e puntuali indici rilevatori del danno subito (sul punto, cfr. Tar Lazio -Roma, sez. III n. 6366 del 2 luglio 2008).

Una volta individuato –in via analitica ovvero, in subordine, in via forfetaria- l’utile d’impresa che la ditta avrebbe conseguito ove avesse svolto il servizio, occorre poi verificare se la ricorrente riesca o meno a dimostrare (attraverso agevoli prove connesse ai bilanci di esercizio) di essere stata medio tempore improduttiva senza alcun utilizzo alternativo di lavoratori e di mezzi, secondo criteri prima specificati. E ciò con la conseguenza che solo nel caso in cui sia fornita la suddetta prova di inerzia gestionale potrà essere integralmente riconosciuto l’utile d’impresa; non si ritiene invece di esigere anche il principio di prova sulle opportunità alternative alle quali l’interessato ha dovuto rinunciare (es. Consiglio di Stato sez. V n. 6393 del 18 novembre 2002), poiché si ritiene tale adempimento non proporzionato nei confronti di una ditta che –confidando nella spettanza dell’appalto- può aver comprensibilmente ritenuto per quel periodo di non monitorare il mercato.

Invece, nell’ipotesi in cui emerga in modo esatto e documentato l’impiego alternativo delle risorse imprenditoriali, occorrerà detrarre dal risarcimento il relativo fatturato con una riduzione massima del 50%, per dar modo di riconoscere comunque un disagio organizzatorio e di programmazione d’impresa che la solerzia del danneggiato non può comunque paradossalmente svilire. Qualora sussista invece solo una mancata prova di immobilismo delle risorse aziendali (senza che venga contemporaneamente fornita una trasparente documentazione su specifici ripieghi), al danneggiato dovrà direttamente operarsi una decurtazione forfetaria del 50%, secondo analoghi e consolidati principi giurisprudenziali (cfr. Cons. Stato sez. IV n. 4722 del 7 settembre 2007 e pronunce ivi richiamate).

La proposta dovrà essere comunicata alla ditta ricorrente (mediante le necessarie fasi collaborative con la ricorrente medesima che il presente istituto processuale presuppone, nei sensi e per gli effetti di quanto puntualizzato nel precedente di questo tar n. 1050/2008) entro 90 giorni dalla comunicazione e/o notificazione della presente decisione, fermo restando che in caso di mancato accordo o di mancata esecuzione dello stesso chi vi abbia interesse potrà procedere nelle forme del ricorso in ottemperanza, secondo quanto ora delineato dal quarto comma dell’art. 34 del CPA.

Sussistono ragioni per compensare integralmente le spese di lite.

 

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per l’ Abruzzo (Sezione Prima) accoglie il ricorso in epigrafe mediante pronuncia di condanna risarcitoria generica a carico della Conunità montana intimata ai sensi dell’art. 34 comma 4 del CPA, con l’apposizione di specifici criteri indicati nella trattazione in diritto, in vista della concreta liquidazione del danno.

Spese compensate

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in L’Aquila nella camera di consiglio del giorno 9 febbraio 2011 con l’intervento dei magistrati:

*****************, Presidente

*************, ***********, Estensore

******************, Consigliere

L’ESTENSORE            IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/02/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)

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