L’omesso rilascio della ricevuta fiscale è sempre sanzionabile anche se non produce danno all’Erario (Cass. n. 13504/2012)

Redazione 27/07/12
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Svolgimento del processo

01. Con sentenza del 19 gennaio 2006 la CTR-Piemonte ha rigettato l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate nei confronti di I.L. confermando il parziale annullamento degli avvisi notificati al contribuente in data 14 e 19 aprile 1995, con i quali gli erano state irrogate le sanzioni di 26 e 28,4 milioni di lire per l’omessa emissione di 61 e 71 ricevute fiscali rispettivamente negli anni d’imposta 1992 e 1993.

02. L’interessato aveva impugnato in prime cure gli avvisi chiedendone l’annullamento integrale, per essere mancato qualsiasi danno concreto per l’Erario stante l’avvenuta registrazione delle operazioni nel registro dei corrispettivi, ovvero, in subordine, il temperamento con riduzione sino a un decimo delle sanzioni ai sensi del D.M. 1 settembre 1931, art. 1.

03. L’Ufficio aveva resistito, contestando la pretesa natura solo formale delle infrazioni ascritte al contribuente, nonchè l’applicabilità dei benefici previsti dall’invocato D.M..

04. La CTP – Alessandria, riconosciuto che l’omessa emissione di ricevute fiscali non costituiva violazione puramente formale, riduceva le sanzioni in tutto a sole centomila lire.

05. L’Ufficio appellava rilevando che il contribuente aveva chiesto nel ricorso introduttivo i benefici di cui al D.M. del 1931, mentre, con pronunzia viziata da ultra ed extra petizione, il giudice di prime cure aveva accordato trattamenti agevolativi diversi, come quelli di cui alla L. n. 4 del 1929, art. 8, e al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis. Eccepiva, inoltre, che tali disposizioni erano state richiamate erroneamente, al pari della L. n. 249 del 1976, art. 8, e che altrettanto erroneamente era stata determinata una sola incomprensibile sanzione per i due distinti provvedimenti, mentre al più poteva operare il beneficio della continuazione D.L. n. 697 del 1982, ex art. 6.

06. Il giudice d’appello, nel rigettare il gravame, ha ritenuto: a) che, vertendosi in tema di sanzioni, il comma 5 bis cit. fosse applicabile quale norma sopravvenuta più favorevole al trasgressore;

b) che il giudice tributario non fosse vincolato all’applicazione della norma invocata dal contribuente ben potendo applicare, “perchè più favorevole alla parte, la disciplina di cui alla L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 8”.

07. L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi; il contribuente non si è costituito.

Motivi della decisione

08. In rito, va rilevata la ritualità della notifica del ricorso, atteso che il procedimento notificatorio, avviatosi il 13 febbraio 2007, si positivamente concluso il 26 marzo 2007 ai sensi dell’art. 143 c.p.c., mediante deposito presso la Casa comunale di (OMISSIS), giusta attestazione d’irreperibilità a seguito di cancellazione anagrafica a decorrere dal 25 marzo 2004 (certificato 5 marzo 2007).

09. Nel merito, con il primo complesso mezzo, la ricorrente denuncia:

a) “errores in procedendo” ex art. 360 c.p.c., n. 4, sub specie di violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., e art. 56 proc. trib.; b) “errores iudicando”, ex art. 360, n. 3, sub specie di violazioni del D.Lgs. n. 472d del 1997, art. 6, comma 5 bis, L. n. 4 del 1929, art. 8, D.L. n. 697 del 1982, art. 6, L. n. 249 del 1976, art. 8, art. 49 D.Iva, art. 2700 c.c., nonchè del D.M. 1 settembre 1931; c) correlativi vizi motivazionali ex art. 360, n. 5.

10. Rileva che i ricorsi introduttivi non si basavano sulla successione di leggi tributarie più favorevoli, nè sulla normativa specificamente applicata dai giudici di merito. Aggiunge che il richiamo giudiziale al comma 5 bis cit., era fuori luogo, avendo la stessa CTP riconosciuto che l’omessa emissione di ricevute fiscali impediva di conoscere a quante prestazioni corrispondesse l’ammontare del ricavo registrato sul libro dei corrispettivi e perciò stesso di valutarne la congruità. Conclude sottolineando che il decreto IVA contiene una compiuta e autonoma regolamentazione delle sanzioni pecuniarie, che non lascia spazio ad altre fonti normative nè quanto alla quantificazione concreta della sanzione (art.49), nè quanto alle circostante attenuanti ed esimenti (art. 48).

11. Con il secondo mezzo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., e della L. n. 249 del 1976, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè correlato vizio motivazionale. Rileva che il giudice di prime cure ha drasticamente e ingiustificatamente ridimensionato l’ammontare delle sanzioni sulla scorta dell’ultimo comma dell’art.8 L. 249/76, che, disciplinando solo la sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio, nulla ha a che vedere con la commisurazione della sanzione pecuniaria in caso d’infrazioni plurime. Aggiunge che l’unica disposizione agevolativa operante in materia era, invece, il D.L. n. 697 del 1982, art.8, la cui applicazione, a favore del contribuente, darebbe luogo a importi si inferiori alle sanzioni irrogate dall’Ufficio, ma comunque superiori all’errato e inunotivato ammontare determinato dai giudici di merito.

Evidenzia, infine, che i rilievi in tal senso formulati in appello sono stati completamente trascurati dal giudice del gravame.

12. I mezzi, logicamente e giuridicamente connessi, devono essere trattati congiuntamente. Da tempo, le Sezioni Unite hanno chiarito che le disposizioni del D.P.R. n. 633 del 1972, disciplinavano compiutamente la materia delle sanzioni per le violazioni dei precetti sull’IVA dettati nella stessa fonte legislativa ed escludevano l’applicabilità delle regole di cui al D.M. 1 settembre 1931, dettante norme per la determinazione delle riduzioni delle pene pecuniarie per le violazioni delle leggi finanziarie, e, in particolare, della circostanza attenuante prevista dall’art. 1 del decreto ministeriale (C. 8681/1996).

13. Quest’ultima disposizione è l’unico beneficio invocato dal contribuente nell’avversare le sanzioni irrogategli e, comunque, anche le diverse norme agevolative richiamate dai giudici di merito sono estranee al sottosistema specifico e compiuto delle sanzioni per le violazioni dei precetti sull’IVA. Infatti, il D.L. n. 697 del 1982, art. 6, comma 1, lett. c), stabilisce che le disposizioni della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 8, commi 2 e 3, e del D.M. 1 settembre 1931 non operano per le ipotesi di mancata emissione della ricevuta fiscale. Comunque, il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 29, ha abrogato dal 1 ottobre 1998 tanto il D.M. 1 settembre 1931, invocato dal contribuente, quanto la L. n. 4 del 1929, art. 8.

14. Inoltre, il richiamo della CTR al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis, è del tutto fuori luogo. Tale disposizione stabilisce:

“Non sono inoltre punibili le violazioni che non arrecano pregiudizio all’esercizio delle azioni di controllo e non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell’imposta e sul versamento del tributo”. Sul punto è la stessa la sentenza d’appello a evidenziare come la confermata decisione di prime cure, nel negare l’applicabilità dell’art. 6, abbia escluso che “l’omissione di ricevute fiscali costituisca violazione meramente formale”. Il che contraddice in sè l’operatività dell’esimente in questione, il cui richiamo da parte della CTR resta del tutto incomprensibile.

15. Infine, altrettanto incongruo è il richiamo fatto dalla CTP e implicitamente recepito dalla CTR riguardo alla L. n. 249 del 1976, art. 8, u.c., che, aggiunto dal D.L. n. 697 del 1982, art. 6, comma 3, non disciplina alcun aspetto della quantificazione delle sanzioni pecuniarie, bensì la sanzione accessoria della chiusura dell’esercizio.

16. Tanto premesso, emerge palesemente che, come sostiene l’avvocatura erariale, la CTR trascura del tutto lo specifico richiamo fatto nel proprio appello al D.L. n. 697 del 1982, art. 6, comma 2, secondo cui, nel caso di più violazioni dell’obbligo della ricevuta fiscale, commesse anche in tempi diversi in esecuzione della medesima risoluzione, la sanzione può essere applicata in misura corrispondente ad un terzo del massimo stabilito dalla legge per una sola violazione, aumentata del 15% per ogni violazione successiva alla prima.

17. invece, nella sentenza di secondo grado manca, finanche graficamente, qualsivoglia passaggio argomentativo e/o decisionale sul tema della c.d. “continuazione” D.L. n. 697 del 1982, ex art. 6, comma 2, e, dunque, omette di pronunziare sullo specifico motivo di gravame proposto dalla parte pubblica, incorrendo perciò in palese “error in procedendo”. Nè la modestissima rivisitazione delle emergenze di causa, compiuta dal giudice del merito, da luogo a implicito rigetto del motivo d’appello sul punto. Vale, infatti, il principio secondo cui la decisione del giudice di secondo grado che non esamini e non decida un motivo di censura della sentenza del giudice di prime cure integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere a norma dell’art. 360, n. 4 (C. 12952/07 e 26598/09).

18. Tutto ciò premesso, dichiarata assorbita ogni altra censura anche motivazionale, il ricorso deve essere accolto per quanto di ragione, con stretto riferimento ai principi sopra enunciati circa la non applicabilità, nella specie, della L. 7 gennaio 1929, n. 4, art. 8, del D.M. 1 settembre 1931, del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 5 bis, e della L. n. 249 del 1976, art. 8, u.c., nonchè circa il vizio di omessa pronuncia sull’applicabilità del D.L. n. 697 del 1982, art. 6, comma 2.

19. Ciò comporta la cassazione della sentenza impugnata, con rinvio della causa, per nuovo esame della fattispecie concreta in forza dei suddetti principi, alla commissione regionale competente, che, in diversa composizione, liquiderà anche le spese del presente grado di giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR – Piemonte in diversa composizione.

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