L’Isvap trasferisce un dirigente dal suo ufficio ad un nuovo servizio appositamente creato: escluso il mobbing (Cons. Stato n. 1879/2013)

Redazione 05/04/13
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Fatto e diritto

Con sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. I, n. 908 in data 1° febbraio 2011, notificata il 18 febbraio 2011, è stato accolto il ricorso proposto dal dott. M. M. avverso la delibera dell’Istituto Vigilanza Assicurazioni Private e di Interesse Collettivo (ISVAP) del 25 marzo 2010, istitutiva di un ufficio adibito allo studio e all’evoluzione del diritto interno ed internazionale delle assicurazioni, con assegnazione a tale ufficio del ricorrente.
Nella citata sentenza si richiamava la precedente pronuncia del medesimo TAR n. 1963/10 in data 11 febbraio 2010, con la quale l’istituzione del medesimo ufficio e l’assegnazione del dott. M. alla relativa conduzione erano stati annullati, sostanzialmente per difetto di motivazione e di istruttoria; il nuovo provvedimento – pur mirando a superare i vizi denunciati – sarebbe risultato comunque istitutivo di un servizio senza chiare ed autonome attribuzioni, in violazione dell’art. 19 del d.lgs n. 165/2001, per omessa pubblicizzazione interna e mancanza di ogni valutazione di ordine comparativo, fra la posizione del soggetto nominato e quella di altri dirigenti dell’Ente. Nella stessa sentenza veniva, peraltro, sottolineato come si fosse estrapolato uno specifico compito di studio e consulenza – nell’ambito di strutture organizzative già esistenti, adibite a “studi”, o a “consulenza legale” – con predisposizione di un nucleo autonomo di livello superiore (“servizio”, da affidare ad un dirigente di grado IV, come l’attuale appellato), rispetto alle semplici “sezioni” (per la cui direzione sarebbero stati sufficienti dirigenti di grado I, II o III). La nuova unità organizzativa sarebbe passata, inoltre, a funzioni “di staff” – ovvero a funzioni trasversali, estranee all’organizzazione verticale degli uffici, cosiddetti “di line” – con sovrapposizione delle relative competenze a quelle di altri settori già operativi.
Avverso detta sentenza, l’Amministrazione ha proposto l’atto di appello in esame (n. 3359/11, notificato il 15 aprile 2011), in base ai seguenti motivi di gravame:
A) violazione o falsa applicazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001, con particolare riferimento al comma 1 bis, in quanto al rapporto di lavoro instaurato con l’ISVAP sarebbe rimasta applicabile la normativa pubblicistica – ex art. 3, comma 1 d.lgs. 165 cit. – e non quella generale del rapporto di lavoro privatizzato presso pubbliche amministrazioni. La preposizione del dott. M. all’ufficio di cui trattasi, inoltre, sarebbe stata giustificata dal fatto che il medesimo, al momento dell’avvio del nuovo procedimento, non risultava titolare di alcun ufficio, mentre qualsiasi altro dirigente avrebbe dovuto essere sottratto dall’ufficio operativo di assegnazione;
B) difetto ed erroneità di motivazione, essendo state evidenziate adeguate ragioni, per la costituzione dell’ufficio di cui trattasi: ragioni coerenti con le “finalità di studio, analisi e approfondimento, coessenziali all’efficiente espletamento delle complessive prerogative di vigilanza dell’ISVAP”, tenuto conto del quadro in costante evoluzione della normativa sulle assicurazioni in ambito comunitario, nonché dei diversi compiti del Servizio Studi e della Sezione Consulenza legale, in presenza di nuove attribuzioni affidate all’ISVAP dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 209/2005. In tale ottica, l’attività della nuova unità funzionale non sarebbe stata sovrapponibile a quella di altre sezioni, in quanto “attività di studio onnicomprensiva, al fine di poter valutare in una visione più generale ed ampia non solo le eventuali interconnessioni tra attività di competenza di altri e diversi uffici, ma anche e soprattutto rispetto alle altre Autorità, operanti in settori contigui a quello assicurativo”. Per tali compiti, sarebbe stato quindi necessario un ufficio “di staff”, in grado di rapportarsi direttamente con il Presidente, “al fine di fornire supporto per le proposte di modifica legislativa, intese a migliorare e a razionalizzare la disciplina nel settore assicurativo”.
La parte appellata, costituitasi in giudizio, resisteva formalmente all’accoglimento dell’impugnativa.
Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che le conclusioni raggiunte nella sentenza di primo grado meritino sostanziale conferma.
Con tale sentenza si ravvisa infatti la fondatezza delle censure, riferite alla violazione dei principi di buon andamento, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, nonché alla violazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 165/2001, circa le modalità di conferimento degli incarichi dirigenziali.
L’Ente appellante contesta le predette valutazioni, in primo luogo deducendo l’inapplicabilità al rapporto di lavoro, in atto con lo stesso, della normativa dettata per il pubblico impiego privatizzato, a norma dell’art. 5, u.c., della legge istitutiva dell’ISVAP (L. n. 576/1982), come modificato dall’art. 4 del d.lgs. n. 373/1998. L’assunto di base, circa la natura pubblicistica del rapporto di lavoro in questione, anche sotto il profilo della cognizione al riguardo del giudice amministrativo, può in effetti essere condiviso (cfr. anche, in tal senso, Cass. civ. SS.UU., 19 dicembre 2005, n. 27893); in tale ottica, l’art. 20 della legge istitutiva dell’ISVAP (l. 12 agosto 1982, n. 576, nel testo introdotto dall’art. 4 del d.lgs. 13 ottobre 1998, n. 373) prevede che “il trattamento giuridico ed economico dei dipendenti dell’ISVAP….e l’ordinamento delle carriere sono stabiliti dal consiglio con proprio regolamento, con riferimento ai criteri fissati dai contratti collettivi nazionali di lavoro vigenti nel settore assicurativo, tenuto conto delle specifiche esigenze funzionali ed organizzative dell’ISVAP”.
Posto dunque che, salvo esigenze peculiari, il rapporto di lavoro in questione risulta autonomamente regolato (peraltro, non senza recezione di regole vigenti per il settore privatistico, o privatizzato), non può tuttavia sostenersi che l’organizzazione degli uffici ed il conferimento di incarichi dirigenziali siano, per l’Ente in questione, sottratti alle disposizioni di principio contenute nel d.lgs. n. 165/2001, recante “norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”. Rileva, anche, l’art. 19 del medesimo d.lgs., nel quale si dettano regole applicabili per l’assegnazione degli incarichi di funzione dirigenziale in tutte le “amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo”, nel rispetto dell’art. 97 della Costituzione, cui dette amministrazioni restano soggette, anche in caso di privatizzazione del rapporto di lavoro. Non sarebbe ragionevole ritenere che alle stesse regole alcune amministrazioni potessero sottrarsi, per ragioni che dovrebbero renderne, invece, anche più stringente l’applicazione, ovvero per la più forte connotazione pubblicistica delle funzioni svolte, ritenute tali da sottrarre il personale alla privatizzazione, disposta per altri settori.
Il perdurante carattere di pubblico impiego dei rapporti di lavoro instaurati con l’ISVAP non esonera, pertanto, quest’ultimo dal rispetto dei principi posti con d.lgs. n. 165/2001 in materia di auto-organizzazione degli uffici: principi direttamente riconducibili all’imparzialità ed economicità dell’azione amministrativa, previste dalla Costituzione e riprese nella normativa che codifica il “giusto procedimento” (legge n. 241/1990, come successivamente modificata ed integrata: cfr. art. 1, comma 1). Lo stesso d.lgs. n. 165/2001 specifica del resto – all’art. 1, comma 1 – la finalità del testo normativo di disciplinare “l’organizzazione degli uffici”, oltre che “i rapporti di lavoro e di impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”; il medesimo articolo poi, al comma 2, delinea la nozione di “amministrazione”, come comprensiva di tutti “gli enti pubblici non economici nazionali” e quindi anche dell’ISVAP, tenuto conto delle funzioni – al medesimo affidate dall’art. 4 delle citata legge n. 576/1982 – di vigilanza in materia assicurativa, nonché di consulenza e segnalazione nei confronti del Parlamento e del Governo (cfr. anche, per il principio, Cons. St., sez. V, 7 febbraio 2012, n. 641).
In tale contesto la procedura seguita dall’Ente, per l’istituzione e l’assegnazione dell’Ufficio di cui trattasi (finalizzato allo studio dell’evoluzione del diritto interno ed internazionale delle assicurazioni) non appare conforme alla lettera ed alla ratio delle disposizioni normative di riferimento (art. 19 d.lgs. n. 165/2001; art. 17 legge n. 576/1982), né maggiori precisazioni, circa la diversa disciplina ritenuta applicabile, sono contenute nell’atto di appello. Quest’ultimo, infatti, si limita a definire l’ISVAP “struttura autonoma e peculiare, anche per quanto concerne l’ordinamento dirigenziale, del tutto difforme e comunque non assimilabile a quello delle amministrazioni statali”, con particolare riferimento alle modalità di nomina, ai criteri di rotazione e di revoca degli incarichi dirigenziali, all’articolazione in fasce della dirigenza e al cosiddetto spoil system (incompatibile con la natura dell’ente di cui trattasi, in quanto amministrazione indipendente dal potere politico).
La presenza nell’articolato di disposizioni, indirizzate a specifici settori della dirigenza, non esclude tuttavia che, in base al principio di legalità, valgano per l’intera pubblica amministrazione le regole generali contenute nel citato art. 19 del d.lgs. n. 165/2001, in materia di affidamento di incarichi dirigenziali. Non può infatti non ritenersi che debba essere assicurato per l’intero apparato pubblico, affidato o meno a norme privatistiche per la disciplina del rapporto di lavoro, il rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento, di cui all’art. 97 della Costituzione: principi che debbono comunque estrinsecarsi nell’obbligo di valutazioni comparative per l’individuazione del soggetto più idoneo all’espletamento delle funzioni da svolgere, a forme di partecipazione degli interessati ai processi decisionali e all’esternazione delle ragioni giustificatrici delle scelte, anche quando gli atti di conferimento degli incarichi dirigenziali rivestano natura di determinazioni negoziali (e a maggior ragione, deve ritenersi, quando tale conferimento abbia natura pubblicistica e si esprima in provvedimenti amministrativi; cfr., per il principio, Cass., sez. lavoro, 14 aprile 2008, n. 9814; Cass.civ., sez. lavoro, 30 settembre 2009, n. 20979).
Quando pertanto, nel comma 12, il medesimo art. 19 rinvia agli ordinamenti di settore per gli incarichi del personale non privatizzato, ciò non implica certamente deroga ai principi generali, cui deve comunque ispirarsi l’esercizio di funzioni pubbliche.
L’autonomia organizzativa conferita all’ISVAP non esimeva, pertanto, quest’ultimo dallo scindere la fase di individuazione delle esigenze operative, da soddisfare con l’istituzione di un nuovo ufficio, dall’individuazione del personale più idoneo a dirigere lo stesso o ad esservi addetto.
Tale corretta procedura non risulta seguita nel caso di specie.
Non può essere ignorato infatti, in primo luogo, che il provvedimento annullato con la sentenza appellata era stato emesso in esecuzione di una precedente sentenza (TAR Lazio, Roma, sez. I, n. 1963/10 in data 11 febbraio 2010), nella quale – pur escludendosi che la condotta dell’ISVAP, nei confronti del dott. M., fosse inquadrabile in una fattispecie di “mobbing” (non essendo stati comprovati gli estremi di un comportamento persecutorio dell’Ente, ai fini risarcitori) – si riconosceva tuttavia l’illegittimità dell’ordine di servizio, con cui l’interessato era stato preposto al neo-istituito ufficio per lo studio dell’evoluzione del diritto interno ed internazionale delle assicurazioni, in assenza di “intervenuta ponderazione comparativa delle posizioni dei diversi soggetti, eventualmente suscettibili di essere investiti dell’incarico in questione”; quanto sopra, non senza un apprezzamento riferito alle funzioni delle nuova struttura organizzativa, tali da rendere non “aprioristicamente incondivisibili” le argomentazioni del dirigente incaricato, secondo cui l’ufficio in questione si sarebbe rivelato una “scatola vuota”, ovvero sarebbe stato addirittura costituito per sottrarre al dirigente stesso funzioni operative di maggior rilievo, adeguate rispetto alla relativa qualifica.
L’effetto conformativo della predetta sentenza implicava, evidentemente, che l’Ente scindesse le valutazioni ampiamente discrezionali, riferite all’esigenza di costituire detto ufficio, dalla fase di assegnazione del medesimo: assegnazione, per la quale dovevano essere acquisite le disponibilità dei dirigenti interessati, per una valutazione comparativa delle relative attitudini e capacità professionali.
Nella situazione in esame, viceversa, l’ISVAP si limitava a reiterare le precedenti valutazioni, circa la propria necessità di disporre di una struttura organizzativa “appositamente dedicata allo studio e alla ricerca del diritto assicurativo”, con funzioni di staff nei confronti del Presidente; per la direzione di tale struttura, inoltre, si individuava aprioristicamente nel dott. M. – con conforme comunicazione di avvio del procedimento – la persona più idonea, anche in considerazione dei “limiti gestionali” evidenziati, per il medesimo, dalle schede di valutazione, tali da individuarlo come più adatto a “ricoprire un incarico di studio e di ricerca”.
In tale contesto, non solo la costituzione dell’ufficio di cui trattasi non risultava riconducibile in via esclusiva a scelte, non sindacabili nel merito, di ottimale organizzazione interna, ma l’individuazione del dirigente responsabile non si è basata su un adeguato procedimento e su una una adeguata motivazione (restando comunque irrilevanti i “limiti gestionali” cui si è talvolta fatto richiamo in sede amministrativa).
Non attenua certamente tale considerazione l’ulteriore tesi difensiva, secondo cui il dott. M. sarebbe stato l’unico candidato disponibile, poiché non assegnatario di altre funzioni, a differenza degli altri dirigenti in servizio. Tale disponibilità – la cui persistenza era contestata dall’interessato, in quanto indice di demansionamento e di “mobbing” nei suoi confronti – risultava infatti conseguente all’intervenuto annullamento, in sede giurisdizionale, della preposizione dello stesso all’ufficio di cui trattasi: emerge dunque con chiarezza l’illogicità di un’argomentazione, che ha rinnovato una scelta, già ritenuta illegittima, in ragione degli effetti prodotti dall’atto già annullato.
Ugualmente non condivisibili sembrano al Collegio le ulteriori considerazioni, con cui la difesa dell’ISVAP contesta le conclusioni della sentenza appellata, nella parte in cui la stessa ritiene non convincente “l’estrapolazione di uno specifico compito di studio e consulenza” in presenza di già esistenti strutture affidatarie di compiti di studio e di consulenza legale, per di più con configurazione di livello superiore della nuova unità organizzativa, come “servizio” e non come “sezione” (solo in tal modo rendendo assegnabile la relativa dirigenza, senza formale demansionamento, al dott. M., per la qualifica dallo stesso rivestita).
A tale riguardo le diffuse ragioni illustrate dall’appellante, circa l’importanza e la necessità di approfondimenti nel campo di studi da affidare al nuovo servizio, non possono integrare le più sintetiche note illustrative (n. prot. 24 – 10 – 000005 del 25 febbraio 2010), con cui il vice-direttore generale dell’ISVAP, d’intesa con il servizio Risorse Umane, non si limitava a confermare la necessità del nuovo servizio (senza peraltro risolvere i dubbi, riferibili all’impossibilità di integrare il pur importante, nuovo campo di studi nel servizio già esistente), ma – su esplicita richiesta in tal senso del Presidente – indicava nuovamente il dott. M. per la relativa direzione, col già ricordato riferimento alla sua posizione personale.
Ciò evidenzia come vi sia stata la sostanziale inversione della corretta procedura da seguire, per la predisposizione in via auto-organizzativa di un nuovo servizio, che avrebbe dovuto rispondere ad esclusive ed autonome ragioni di interesse pubblico, con solo successiva scelta, in via comparativa, del dirigente più idoneo fra quelli disponibili per assumere l’incarico.
Tale iter, segnalato nella ricordata sentenza n. 1963 in data 11 febbraio 2010, risultava disatteso già nella nota, di pochi giorni successiva (23 febbraio 2010), inoltrata dal Presidente al vice Direttore Generale dell’Ente, al fine di acquisire informazioni – dopo l’annullamento in sede giurisdizionale dell’ordine di servizio n. 218/2008 – non solo sulla “perdurante necessità o meno per l’Autorità di disporre di una funzione appositamente dedicata allo studio e alla ricerca del diritto assicurativo”, ma anche sulla “rispondenza o meno dei requisiti del dott. M. al profilo richiesto per la preposizione al citato ufficio”, con superamento degli effetti conformativi della sentenza a eseguire.
Non supera tale rilievo la tesi difensiva, secondo cui l’Ente sarebbe stato legittimato a non operare una scelta in via comparativa, in quanto “il dott. M. avrebbe potuto non manifestare alcun interesse e/o disponibilità a rivestire l’incarico”, fornendosi in tal modo ulteriore conferma del fatto che l’assegnazione dell’incarico stesso al dirigente in questione fosse coessenziale alla previsione del nuovo servizio.
Va rimarcato come, viceversa, il principio di buon andamento dell’amministrazione, come recepito dal più volte citato art. 19 del d.lg. n. 165 del 2001, imponga al riguardo valutazioni separate, ispirate a diverse ragioni di interesse pubblico: ragioni indirizzate, da una parte, alle più razionali modalità di perseguimento delle finalità dell’Ente e, dall’altra, all’ottimale allocazione delle risorse di personale disponibili.
L’avvenuta sovrapposizione, nel caso di specie, delle distinte fasi sopra indicate non può, quindi, non considerarsi causa di alterazione dei profili funzionali dell’atto impugnato, nel duplice e non scindibile contenuto del medesimo.
Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto; le spese giudiziali, da porre a carico della parte soccombente, vengono liquidate nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00).

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe n. 3359 del 2011; condanna l’Ente appellante al pagamento delle spese giudiziali, nella misura di €. 3.000,00 (euro tremila/00), a favore dell’appellato dott. M. M..
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione