L’imprenditore che detiene presso la propria abitazione grosse somme di denaro rischia una condanna per dichiarazione fraudolenta (Cass. pen. n. 40055/2012)

Redazione 10/10/12
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Ritenuto in fatto

Con ordinanza in data 21 settembre 2010, il Tribunale dl Trani annullava il decreto 12 luglio 2010, del GIP dello stesso Tribunale di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, contestualmente disponendo la restituzione di quanto sottoposto a sequestro, in accoglimento dell’istanza di riesame proposta, ex art. 324 e segg. cod. proc. pen., da: B. M. quale indagato del delitto di cui all’art. 4 D.l.vo n. 74 del 2000 (per aver omesso di indicare nella dichiarazione dei redditi relativi all’anno 2008, la somma di euro 305.135,38 quale reddito di impresa percepito, così determinando un’evasione IRPEF pari ad euro 124.328,21 superiore al 10% degli elementi attivi indicati nella dichiarazione).
Con sentenza n. 21855/2011 la Corte di cassazione -Sezione Terza penale, in accoglimento del ricorso proposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di Trani, annullava la succitata ordinanza 21 settembre 2010, rinviando gli atti allo stesso Tribunale per nuovo esame.
Con ulteriore ordinanza 18 luglio 2011 il Tribunale di Trani, in sede di riesame rigettava l’istanza di riesame proposta nell’interesse di B. M. confermando il suddetto decreto di sequestro preventivo emesso il 12 luglio 2010 dal GIP del Tribunaie di Trani.
Avverso tale pronunzia ricorre per cassazione B. M., per tramite del difensore, lamentando con un unico motivo, il vizio di illogicità e di contraddittorietà della motivazione.
Contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale in ordine al difetto di plausibile giustificazione circa il possesso delle somme di danaro in contanti, di cui al libretto di deposito (ed oggetto della contestazione), assume il difensore che, mediante la documentazione prodotta e la consulenza tecnica di parte, si era dimostrato che trattavasi del ricavato di atti di compravendita di immobili, corrisposto con assegni non trasferibili, emessi in favore dell’indagato, prima convertiti in danaro contante, in seguito prelevato dal B. M. e custodito presso la propria abitazione, come attestato delle ricevute bancarie di prelievo allegate al ricorso. Come peraltro già rilevato dalla Corte di cassazione con la sentenza di annullamento dell’ordinanza di accoglimento della richiesta di riesame, avrebbe dovuto escludersi l’obbligo dell’indicazione di dette somme nella dichiarazione dei redditi poiché, essendo la vendita degli immobili avvenuta cinque anni dopo l’acquisto, era venuto meno l’intento speculativo, vertendosi in materia di eventuali plusvalenze non tassabili.

Considerato in diritto

Il ricorso è infondato e deve quindi esser respinto con il conseguente onere del pagamento delle spese processuali a carico del ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen.
Osserva preliminarmente il Collegio che, secondo il chiaro disposto dell’art. 325, comma 1, del codice di rito, il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza di riesame in tema di sequestro preventivo è ammissibile solo per violazione di legge. E’ vero che, in base all’orientamento costante peraltro consolidatosi nel tempo della giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis: Sez. 6 n. 3265/1999; Sez. 6 n. 24250/2003; S.U. n. 25932/2008) la totale mancanza di motivazione, come pure la motivazione soltanto apparente, integrano l’ipotesi di violazione di legge (art. 606, comma primo, lett. c) e non quella del vizio di motivazione (art. 606, comma primo, lett. e). Nella concreta fattispecie è tuttavia del tutto pacifico che il ricorrente ebbe ad impugnare l’ordinanza reiettiva dell’istanza di riesame, unicamente deducendo vizi di motivazione, neppure accennando ad eventuali violazioni di legge nelle quali sarebbe incorso il Tribunale, sotto i ricordati profili della mancanza assoluta o della mera apparenza della motivazione. Per completezza di esposizione, giova sottolineare che il provvedimento impugnato, per quanto in questa sede rileva in relazione alle pur infondate censure dedotte, giunge ad escludere, seguendo un congruo e coerente iter argomentativo, la verosimiglianza della tesi difensiva dell’avvenuta detenzione,per lungo tempo, del corrispettivo in contanti delle vendite immobiliari e del successivo deposito in libretto bancario delle somme, solamente nell’anno 2007; donde l’ovvia conclusione – assolutamente rilevante agli effetti dell’affermata sussistenza del fumus boni juris del reato di infedele dichiarazione e della riconosciuta legittimità del decreto di sequestro preventivo per equivalente de quo – della violazione all’obbligo di indicare le suddette somme nella denunzia dei redditi per il periodo d’imposta del 2008, trattandosi, come conclusivamente chiarito dal Tribunale, di elementi reddituali attivi, rilevanti “quantomeno sotto il profilo indiziario, sufficiente per la presente fase cautelare”.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Cosi deciso in Roma,lì 7 febbraio 2012.

Redazione