L’errore di fatto può dar luogo alla revocazione (Cons. Stato n. 3433/2013)

Redazione 21/06/13
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FATTO e DIRITTO

Con la sentenza del Tribunale di Avellino n. 1810 del 20 settembre 2010 veniva accolto il ricorso proposto dal sig. ******* al fine di vedere completato il procedimento finalizzato al proprio inserimento lavorativo presso la Regione Campania, e pertanto pronunciata la condanna delle Amministrazioni intimate, la suddetta Regione e la Provincia di Avellino, alla conclusione del procedimento concernente la sua immissione in servizio.
Il ricorrente proponeva in seguito ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania – Sezione di Salerno per ottenere l’esecuzione del relativo giudicato, rimasto inattuato.
Le due Amministrazioni menzionate si costituivano in resistenza alla domanda.
Il T.A.R., all’esito, con la sentenza n. 1235 del 4 luglio 2011, accoglieva il ricorso in ottemperanza, rilevando che la decisione del Tribunale di Avellino, nonostante il suo passaggio in giudicato e la notificazione di successivi atti di diffida, non era stata ancora concretamente eseguita.
Il T.A.R., dunque:
a) ordinava alle Amministrazioni intimate di dare piena esecuzione al giudicato entro il termine perentorio di giorni 60, decorrente dalla data di notificazione della pronuncia d’ottemperanza a cura della parte ricorrente;
b) conferiva al Prefetto di Avellino l’incarico di vigilare sulla puntuale esecuzione del giudicato, e, in caso di persistente inottemperanza, di assumere direttamente, ovvero di affidare ad un funzionario del suo Ufficio, i compiti di commissario ad acta, con compenso a carico delle Amministrazioni inadempienti;
c) condannava in solido le due Amministrazioni al pagamento in favore della ricorrente delle spese relative al giudizio di ottemperanza, che liquidava in € 700,00.
Avverso tale sentenza insorgeva in appello dinanzi a questo Consiglio la Provincia di Avellino, che si doleva di essere stata reputata inadempiente unitamente alla Regione Campania, e condannata con questa al rimborso delle spese processuali, e rivendicava di avere invece fatto, già a tempo debito, tutto quanto occorrente per parte sua al buon fine del procedimento, la cui mancata conclusione sarebbe stata quindi addebitabile in modo esclusivo alla condotta omissiva dell’Amministrazione regionale.
La Sezione con la sentenza n. 715 del 14 febbraio 2012 dichiarava l’appello provinciale irricevibile per tardività.
Tanto sulla base della seguente motivazione: “la sentenza appellata è stata notificata all’Amministrazione appellante il 19.7.2011 e il ricorso in appello è stato notificato l’11.11.2011, vale a dire quando il termine ultimo per la notifica dell’atto di gravame, tenendo conto della sospensione dei termini processuali, era ampiamente scaduto ( il termine suddetto scadeva infatti il 2.11.2011)”.
Ne seguiva la proposizione da parte della Provincia del presente ricorso per revocazione.
Con tale impugnativa si denunziava che la Sezione era incorsa in un errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c..
L’appello sarebbe stato dichiarato irricevibile solo in forza di un errore di percezione, per avere il Collegio ritenuto operante il termine c.d. breve per appellare, facendolo decorrere dalla data della notifica della sentenza del T.A.R., laddove tale notifica era stata effettuata presso la sede reale dell’Amministrazione provinciale in seguito appellante (Piazza Libertà, Palazzo Caracciolo, Avellino), mentre nel relativo giudizio di primo grado la stessa Provincia era elettivamente domiciliata in Salerno, alla via F. Manzo 53, presso lo studio ********* (come risulta dal testo della stessa sentenza del T.A.R.).
Ai fini della fase rescissoria del nuovo giudizio la Provincia insisteva per la parziale riforma, nei termini dianzi precisati, della sentenza oggetto del precedente appello, invocando a fondamento della propria domanda anche le considerazioni svolte nel frattempo dal commissario ad acta nella sua relazione conclusiva del 4 giugno 2012.
Si costituiva in resistenza al ricorso per revocazione il sig. C., che, mentre sulla sorte della domanda di revocazione si rimetteva al giudizio della Sezione, deduceva ad ogni modo l’infondatezza dei motivi a base dell’appello provinciale.
Alla pubblica udienza del 4 giugno 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.
Il ricorso è ammissibile e fondato.
1 Per semplicità espositiva si può cominciare subito con l’osservare che, come effettivamente risulta dal testo della sentenza oggetto del precedente appello, la Provincia di Avellino nell’ambito del relativo giudizio di primo grado era elettivamente domiciliata in Salerno, alla via F. Manzo 53, presso lo studio *********.
Ne consegue che la notifica di tale sentenza, per il fatto di essere stata eseguita presso il domicilio reale dell’Amministrazione provinciale, in Avellino, non poteva valere a far decorrere per questa il termine breve per la proposizione dell’appello.
E’ appena il caso di ricordare, invero, che l’art. 39 C.P.A. (“Rinvio esterno”) rinvia, per quanto non disciplinato dallo stesso Codice, a quello di procedura civile ; che tale fonte, a sua volta, con l’art. 285 (“Mododi notificazione della sentenza”), dispone che “La notificazione della sentenza, al fine della decorrenza del termine per l’impugnazione, si fa, su istanza di parte, a norma dell’articolo 170” ; che questo articolo (“Notificazioni e comunicazioni nel corso del procedimento”), infine, stabilisce che dopo la costituzione in giudizio tutte le notificazioni e le comunicazioni si fanno al procuratore costituito, salvo che la legge disponga altrimenti, mentre le notificazioni e le comunicazioni alla parte che si è costituita personalmente si fanno nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto.
In aderenza a queste regole, la giurisprudenza è pacifica nel senso che, nel caso in cui vi sia stata costituzione in giudizio della parte con esplicita elezione di domicilio richiamata in sentenza, la notificazione degli atti processuali e della sentenza deve avvenire presso il domicilio eletto per il giudizio (e mantenuto fino alla decisione), con la conseguenza che è dalla data della suddetta notifica che viene fatto decorrere il termine breve per l’impugnazione della sentenza (C.d.S., VI, 25 gennaio 1995, n. 76), mentre la notificazione effettuata, invece, presso il domicilio reale della parte non è idonea a far decorrere il medesimo termine (V, 19 marzo 1991, n. 305; III, 28 novembre 2011, n. 6276).
Per quanto precede, si deve riconoscere che la declaratoria di irricevibilità resa dalla Sezione è affetta dall’errore allegato, in quanto ai fini della decorrenza del termine breve per appellare è stata ritenuta senz’altro utile la notifica della sentenza di primo grado che era stata fatta alla Provincia di Avellino presso la sua sede reale.
2 Orbene, l’errore indicato integra un motivo di revocazione, in quanto errore di fatto ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c..
2a E’ opportuno ricordare, invero, che l’errore di fatto che può dar luogo alla revocazione si sostanzia in una falsa percezione, da parte del giudice, della realtà risultante dagli atti di causa, consistente in una svista materiale che lo abbia indotto ad affermare l’esistenza di un fatto incontestatamente inesistente, oppure a considerare inesistente un fatto la cui verità risulti, al contrario, positivamente accertata.
In ambo i casi ciò vale solo se il fatto (erroneo) sia stato un elemento decisivo della pronuncia revocanda : l’errata percezione deve, cioè, aver rivestito un ruolo determinante rispetto alla decisione, nel senso che occorre un rapporto di necessaria causalità tra l’erronea supposizione e la pronuncia stessa (cfr. **********, Sez. V : 20/10/2005, n. 5896; 31/7/2008, n. 3816; Sez. IV : 19/6/2009, n. 3296).
E vale purché il fatto non attenga ad un punto controverso sul quale la sentenza abbia pronunciato, perché in tale diverso caso sussisterebbe, semmai, un errore di diritto (C.G.A., 3 marzo 1999, n. 83), e con la domanda di revocazione si verrebbe a censurare, in sostanza, l’interpretazione e la valutazione delle risultanze processuali (Cons. Stato, Ad.Pl., n. 2 del 1752010).
L’errore rispondente a tali requisiti, inoltre, deve apparire con immediatezza ed essere di semplice rilevabilità, senza necessità di argomentazioni induttive o indagini ermeneutiche. Esso non può consistere, perciò, in un –preteso- inesatto od incompleto apprezzamento delle risultanze e documenti processuali, ovvero in un’anomalia del procedimento logico di interpretazione del materiale probatorio, vertendosi, in questo caso, in un’ipotesi di errore di giudizio attinente all’attività valutativa del giudice, che come tale esula dall’ambito della revocazione, pena la trasformazione dello strumento revocatorio in un inammissibile terzo grado di giudizio (cfr., tra le più recenti, Cons. St., Sez. V, 18 settembre 2008 n. 4495; 29 gennaio 2008, n. 241). Donde la pacifica inammissibilità anche della domanda di revocazione che si fondi sull’erroneo apprezzamento delle risultanze del fatto stesso, e quindi su di una inesatta sua valutazione o interpretazione (Cons. Stato, Ad. plen., 10 giugno 1980, n. 27, e 17 maggio 2010, n. 2; Sez. IV, 13/4/2005, n. 1735; per il giudizio civile v. Cass., 18 febbraio 1995, n. 1803 e Cass., 26 febbraio 1992, n. 2394, secondo cui l’errore che cade sull’apprezzamento delle risultanze processuali, in quanto errore di giudizio, non costituisce motivo di revocazione, ma integra piuttosto un motivo denunziabile in Cassazione sotto il profilo della contraddittoria o insufficiente motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c.).
In conclusione, perciò, come ha recentemente ricordato l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio (n. 1 del 10 gennaio 2013), l’errore di fatto idoneo a fondare la domanda di revocazione è configurabile solo nell’attività preliminare del giudice di lettura e percezione degli atti acquisiti al processo, quanto alla loro esistenza e significato letterale, e deve derivare da una pura e semplice errata od omessa percezione del loro contenuto meramente materiale.
2b Tanto premesso in via generale, quel che nella fattispecie è accaduto è che il giudicante, senza che vi fosse controversia sul punto, e senza svolgere alcuna attività valutativa (né in fatto, né in diritto), ha trattato sic et simpliciter una notifica eseguita presso la sede reale dell’Amministrazione come se la stessa fosse stata effettuata presso il domicilio eletto dall’Amministrazione per il giudizio. Travisamento, questo, che non può che risalire, in concreto, ad una mera svista materiale, verosimilmente scaturita dalla mancata percezione del fatto storico dell’avvenuta costituzione della Provincia (anche con elezione di domicilio) nell’ambito del giudizio di primo grado.
E’ evidente, inoltre, sia l’immediata rilevabilità della suddetta svista dalla lettura degli atti di causa, sia il ruolo determinante rivestito da tale errore nella decisione di irricevibilità dell’appello.
2c La domanda di revocazione in esame merita, pertanto, di essere accolta, con la conseguente necessità di revocare la declaratoria di irricevibilità dell’appello dell’Amministrazione provinciale.
3 La Sezione, passando ad occuparsi della fase rescissoria, ritiene che la censura mossa dalla Provincia, con il suo appello, alla decisione del Giudice d’ottemperanza di prime cure colga nel segno.
L’appellante si duole di essere stata reputata inadempiente unitamente alla Regione Campania, e condannata con questa al rimborso delle spese processuali.
Essa rivendica, infatti, di avere compiuto già a tempo debito tutto quanto per parte sua occorrente al buon fine del procedimento, la cui mancata conclusione sarebbe stata pertanto addebitabile in modo esclusivo alla condotta della Regione, cui sola spettava ultimare il procedimento di inserimento lavorativo dell’interessato.
Le affermazioni della Provincia, dalla Regione non contraddette (almeno in grado di appello), hanno trovato una decisiva conferma nelle considerazioni svolte dal commissario ad acta nella sua relazione conclusiva del 4 giugno 2012, dalla cui approfondita ricostruzione non emerge alcuna omissione ascrivibile all’Ente appellante.
Tant’è che di lì a poco lo stesso T.A.R. a quo, all’atto di addebitare l’onere economico corrispondente al compenso per il medesimo commissario ad acta, con la sua ordinanza del 28 settembre 2012 ha posto tale compenso a carico della sola Regione, definendola appunto quale “unica responsabile dell’inadempimento e delle difficoltà frapposte all’esecuzione del giudicato”.
4 In conclusione, il ricorso in revocazione va accolto, e quindi revocata la precedente declaratoria di irricevibilità. Ed il precedente appello della Provincia di Avellino va parimenti accolto, e per l’effetto, in parziale riforma della sentenza appellata, l’originario ricorso in ottemperanza deve essere respinto nella parte in cui era stato proposto anche a carico della Provincia.
Le spese maturate nel doppio grado di giudizio tra Provincia e originario ricorrente possono essere equitativamente compensate; la Regione Campania, dal canto suo, ne resta gravata per l’intero ammontare già liquidato dal primo Giudice; le spese tra le due Amministrazioni vanno infine compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso per revocazione in epigrafe, lo accoglie, e, per l’effetto, revocata la sentenza così impugnata, in parziale riforma della sentenza di primo grado appellata respinge l’originario ricorso in ottemperanza nella parte in cui proposto a carico della Provincia di Avellino.
Compensa integralmente le spese processuali del doppio grado tra la Provincia ed il sig. *******, e tra la prima e la Regione Campania; conferma la liquidazione di euro cinquemila, oltre accessori e compenso commissariale, operata in primo grado, che resta a carico della sola Regione Campania.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 4 giugno 2013

Redazione