L’avvocato indagato per truffa non può chiedere il dissequestro dei documenti prelevati nel suo studio (Cass. pen. n. 39837/2012)

Redazione 09/10/12
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Svolgimento del processo

1.1) – Nell’ambito di indagini finalizzate all’accertamento del reato di associazione per delinquere, finalizzata alla consumazione di truffe e falsi, il PM presso il Tribunale di Napoli disponeva procedersi a perquisizione presso lo studio legale dell’indagato;

C.N..

al fine di procedere al sequestro di: “tutta la documentazione relativa alle istruttorie in itinere e a quelle già concluse, da cui si rileva l’effettivo utilizzo degli atti falsi, provenienti proprio dai medici e dai procacciatori d’affari emersi nel corso delle indagini ed appartenenti al sodalizio”.

Nel corso della perquisizione gli agenti di PG sequestravano nello studio dell’Avv. C. tutti gli elaboratori elettronici e l’intero archivio dello studio legale relativo, però, anche ad altri avvocati che collaboravano con l’avv. C. e dei quali solo uno, l’avv. Co.Ma., era sottoposto ad indagini;

1.2) – il Tribunale per il riesame, con provvedimento del 30.05.2011, respingeva il reclamo;

1.3) – ricorre per cassazione l’avv. C., deducendo:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c).

2.1) – Con il primo motivo il ricorrente censura l’ordinanza per violazione di legge ed in particolare degli artt. 103 e 253 c.p.p. deducendo che:

a) – per un verso, la misura non era stata diretta a ricercare la prova di notizie di reato riguardanti delitti di truffa già a conoscenza degli inquirenti, bensì era stata impiegata per acquisire direttamente dagli atti assistenziali e difensivi custoditi preso lo studio legale notizia di reati di truffa non ancora conosciuti, il tutto in violazione dell’art. 253 c.p.p. che consente il sequestro del corpo del reato o di cose pertinenti ad un reato già individuato;

b) – per altro verso, la PG delegata aveva proceduto ed il PM aveva convalidato un sequestro indiscriminato di atti difensivi con la conseguenza così di acquisire e di conoscere atti, eventualmente relativi ad altri procedimenti che l’indagato e, soprattutto il suoi collaboratori estranei all’indagine, avevano il diritto di mantenere segreti;

c) – infine, l’ordinanza era da censurare per non avere riconosciuto la violazione dell’art. 103 c.p.p. atteso che il sequestro era stato delegato alla PG mentre avrebbe dovuto procedervi direttamente il PM previa autorizzazione del Gip, con avviso all’Ordine degli avvocati di Nola, specie in considerazione del fatto che lo studio professionale era composto anche da altri avvocati, non indagati;

CHIEDE l’annullamento del provvedimento impugnato;

Motivi della decisione

3.0) – I motivi di ricorso sono infondati.

3.1) – Non ricorre la violazione dell’art. 253 c.p.p. atteso che il decreto del PM non riguardava indiscriminatamente tutti gli atti esistenti presso lo studio legale in esame bensì era specificamente diretto al sequestro della documentazione da cui poteva rilevarsi l’effettivo utilizzo degli atti falsi, provenienti proprio dai medici e dai procacciatori d’affari emersi nel corso delle indagini ed appartenenti al sodalizio;

– è evidente dunque che il PM aveva disposto solo il sequestro di atti, anche difensivi, nei quali però fossero stati utilizzati documenti falsi e provenienti dai soggetti già indagati;

– l’ordinanza impugnata non è perciò suscettibile di censura atteso che è ammissibile il sequestro probatorio di beni presenti in uno studio professionale, ma solo su quelli che costituiscono il corpo del reato o su quelli strettamente connessi all’affare illecito oggetto d’inchiesta. La scelte delle cose utili alla prova è dunque a monte del sequestro di ciascuna per fine probatorio. (Cassazione penale, sez. 5, 10/12/2010, n. 3692);

– Nella specie, invero, già “a monte” il PM aveva circoscritto il sequestro a fascicoli contenenti atti falsi (corpo di reato) provenienti da soggetti già pienamente individuati perchè indagati.

– Nè può sostenersi che gli atti da sequestrare non erano chiaramente predeterminati atteso che in tema di sequestro probatorio, il “corpo del reato” è costituito dalle cose che sono in rapporto diretto ed immediato con l’azione delittuosa, mentre tra le “cose pertinenti al reato” rientrano tutte quelle che sono in rapporto indiretto con la fattispecie criminosa concreta e risultano strumentali all’accertamento dei fatti, ed alla determinazione delibante factum” e del “post factum” comunque ricollegabili al reato, pur se esterni allo “iter criminis”, purchè funzionali all’accertamento del fatto ed all’individuazione dell’autore. (Cassazione penale, sez. 4, 17/11/2010, n. 2622).

In questo ambito risulta legittimo perciò il sequestro della documentazione in questione, in quanto rientrante nel concetto di corpo del reato ovvero di cose pertinenti al reato e finalizzato all’accertamento dei fatti oggetto della contestazione provvisoria.

3.2) – Ugualmente infondata è la censura sulla violazione dell’art. 103 c.p.p., atteso che le guarentigie previste dall’art. 103 c.p.p., non possono essere invocate dall’Avv. C. in quanto volte a tutelare non chiunque eserciti la professione legale e non possono trovare applicazione qualora gli atti indicati nel citato art. 103 c.p.p. debbano essere compiuti nei confronti di esercente la professione legale che sia egli stesso la persona sottoposta a indagine (nella specie, l’Avv. C. è indagato per i reati sopra menzionati) (Cassazione penale, sez. 2, 16/05/2006, n. 31177).

3.4) – Quanto all’estensione delle guarentigie dell’art. 103 c.p.p. agli altri avvocati presenti nello studio, è necessario distinguere tra collaboratori (come sembra essere nel caso di specie) e studi associati ovvero comunque riconducibili a più professionisti titolari, atteso che l’avviso al Consiglio dell’Ordine Forense territorialmente competente previsto dall’art. 103 c.p.p., comma 3 (la cui omissione è sanzionata da una esplicita e tassativa nullità) è dovuto sia nel caso in cui il titolare dello studio legale all’interno del quale debbano essere eseguite operazioni di perquisizione, ispezione e sequestro non sia ancora iscritto nel registro degli indagati (a nulla rilevando che l’iscrizione intervenga in data successiva), sia nel caso in cui lo studio legale risulti cointestato anche ad altro avvocato non coinvolto nelle indagini. (Cassazione penale, sez. 2, 08/11/2007, n. 6002) – Al riguardo l’Avv. C. lamenta che siano stati sequestrati atti pertinenti anche ad altri avvocati, ma si tratta di un motivo generico, in quanto puramente enunciativo e formulato: – senza indicare il ruolo e l’autonomia di tali professionisti rispetto all’avv. C.; – senza indicare alcuno di tali atti e senza dimostrare che gli stessi fossero relativi a pratiche non riconducibili all’indagato avv. C..

3.5) – Il ricorrente trascura di considerare che, ove gli atti sequestrati fossero pertinenti ad altri avvocati presenti nello studio e non riconducibili alla sua persona e qualità di avvocato, egli sarebbe carente di legittimazione al ricorso atteso che, a norma dell’art. 257 c.p.p. legittimato a proporre richiesta di riesame, nel caso si tratti di persona non indagata, è solo la persona alla quale le cose sono state sequestrate o quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.

Infatti, il fatto che l’imputato sia, in linea di principio, legittimato a proporre richiesta di riesame avverso il provvedimento impositivo del vincolo ed a ricorrere per cassazione avverso la decisione adottata dal Tribunale su detta richiesta non implica che non debba comunque verificarsi, ai fini dell’ammissibilità tanto della richiesta quanto del ricorso, la sussistenza, del requisito costituito, secondo la regola generale dettata dall’art. 568 c.p.p., comma 4, dall’interesse ad impugnare; interresse che dev’essere escluso qualora l’imputato (Cassazione penale, Sez. 5, 01/10/2008, n. 40560).

Consegue il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente alle spese processuali giusto il disposto dell’art. 616 c.p.p..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione