L’antennista che si riprende l’antenna e, per ritorsione, toglie anche i cavi condominiali deve risarcire (Cass. n. 11295/2013)

Redazione 10/05/13
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

Con atto notificato in data 18.3.2002 il Condominio di via (omissis), evocava in giudizio avanti al G.d.P di Monza la Tecnoimpianti snc di ******* e ******** per sentirla condannare al risarcimento dei danni cagionati dalla stessa convenuta che era stata incaricata dal condominio a procedere all’installazione dell’antenna centralizzata dell’impianto televisivo. Assumeva infatti il condominio che la ditta convenuta, essendo sorte delle contestazioni circa la funzionalità dell’impianto da essa installato, rimuoveva arbitrariamente l’antenna che aveva montata, danneggiando inoltre volontariamente il preesistente impianto.
Si costituiva la Tecnoimpianti snc di ******* e ******** che contestava la domanda avversaria di cui chiedeva il rigetto e formulava domanda riconvenzionale per il pagamento della somma che assumeva dovutale a seguito del lavoro svolto.
Il Giudice di Pace con sentenza n. 144/03 del 18.01.2003 rigettava sia la domanda principale che quella riconvenzionale. Avverso tale sentenza proponeva appello il Condominio lamentando che il giudice di prime cure non avesse adeguatamente valutato le prove assunte circa l’esistenza del danno lamentato. Si costituiva la Tecnoimpianti snc chiedendo il rigetto dell’appello.
Il tribunale di Monza, con sentenza n. 3428/05, depos. in data 15.12.2005, in accoglimento dell’impugnazione proposta, condannava la Tecnoimpianti al pagamento della somma di Euro 1.859,24, oltre interessi legali, nonché al pagamento delle spese del doppio grado. Riteneva il tribunale che i danni lamentati erano stati provati ed erano costituiti da quanto corrisposto dal condominio ad altra ditta per il ripristino del preesistente impianto d’antenna centralizzato, volutamente danneggiato dalla Tecnoimpianti in occasione della rimozione arbitraria dell’antenna e della centralina che aveva essa stessa installate.
Per la cassazione della sentenza ricorre la Tecnoimpianti sulla base di n. 3 mezzi; resiste con controricorso l’intimato Condominio.

Motivi delle decisione

I – Con il primo motivo la Tecnoimpianti snc denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. deducendo la mancata prova dei danni da parte del condominio intimato.
Secondo la ricorrente il condominio non avrebbe soddisfatto l’onere di provare: 1) l’esclusione dall’appalto dei cavi di distribuzione e comunque la loro utilizzabilità nonostante l’affermazione dell’amministratore che il vecchio i,pianto non funzionava in quanto vetusto e la deposizione del teste V. circa il cattivo funzionamento dei cavi interni; 2) la recisione dei cavi di distribuzione da parte dell’appaltatore; infine 3) la mancata esecuzione dei lavori a regola d’arte.
Il motivo non è fondato.
La doglianza in effetti si risolve in una inammissibile critica alla valutazione delle emergenze istruttorie da parte del giudice e dunque introduce questioni di fatto rientrati nel suo potere discrezionale di vagliare le prove acquisite, con motivazione logica e coerente. La sentenza ha affermato infatti che nel preventivo dei lavori non vi era menzione della sostituzione dei “vecchi” cavi della distribuzione dell’impianto centralizzato d’antenna. Peraltro non appare autosufficiente il richiamo alla deposizione del teste V. . Inoltre costituisce questione nuova che i vecchi cavi di distribuzione non fossero efficienti e non funzionassero, ciò che d’altra parte avrebbe reso del tutto inutile l’intervento della ditta diretti alla sola sostituzione dell’antenna e della centralina. In effetti, secondo la sentenza, non era affatto pacifico che il lavoro fosse stato eseguito a regola d’arte né era contestato l’avvenuta rimozione dei cavi preesistenti unitamente all’antenna ed alla centralina.
2. Con il 2 motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1455 c.c.; assume che il contratto non poteva essere risolto in presenza di un inadempimento di scarsa importanza: invero i lavori per l’installazione dell’antenna sarebbero stati eseguiti a regola d’arte perché c’era solo un condomino che lamentava di non vedere la televisione. Tutt’al più il condominio avrebbe potuto limitarsi a chiedere una riduzione del prezzo ex art. 1668 c.c.; d’altra parte la ditta aveva pur diritto di riprendersi il materiale impiegato per la realizzazione dell’opera in conseguenza del mancato pagamento pattuito.
La doglianza non è fondata.
La ricorrente non coglie invero la ratio decidendi della sentenza.
Premesso che non era stato appellato il rigetto della domanda relativa al pagamento del prezzo per i lavori eseguiti dalla Tecnoimpianti, il giudice di merito ha ravvisato nella rimozione dell’impianto la mancata realizzazione dell’opera ed ha liquidato il danno subito dal condominio non in relazione a tale inadempimento, ma al fatto illecito della rimozione dei cavi di distribuzione di proprietà condominiale, che aveva comportato un costo ed un tempo di ripristino pregiudizievoli per il condominio e per i singoli condomini. Il danno dunque non derivava da inadempimento del contratto ma era conseguente al danneggiamento volontario dell’impianto preesistente, fatto dalla ditta per “ritorsione”, quando aveva smontato l’impianto da lei installato.
3) Con il 3 motivo l’esponente eccepisce la violazione dell’art. 91 e 92 c.p.c. in relazione alla propria condanna alle spese del doppio grado, che a suo avviso andavano compensate, con riferimento al fatto che essa società in appello non aveva più riproposto al domanda riconvenzionale rigettata in primo grado, dimostrando così un comportamento processuale corretto perché “per porre fine alla vertenza ha addirittura rinunciato alla domanda riconvenzionale”.
La doglianza è infondata, perché la condanna alle spese è stata correttamente comminata sulla base del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c.. Peraltro l’eventuale compensazione delle spese rientra nella discrezionalità del giudice.
Il ricorso dev’essere dunque rigettato.
Per il principio della soccombenza le spese processuali sono poste a carico della ricorrente.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 1.800,00, di cui Euro 1.600,00 per compensi, e Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Redazione