L’aggiudicazione provvisoria di un appalto pubblico è inidonea a produrre la definitiva lesione del soggetto non risultato aggiudicatario, che si verifica solo con l’aggiudicazione definitiva (Cons. Stato n. 5844/2012)

Redazione 19/11/12
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FATTO e DIRITTO

La Società ************, avendo preso parte alla procedura di gara indetta dal Comune di Manduria per l’affidamento, per la durata di sette anni, del servizio di gestione, accertamento e riscossione di tributi locali ed altre entrate, classificandosi seconda, impugnava l’aggiudicazione provvisoria del servizio disposta a favore della società Censum s.r.l., nonché “l’eventuale provvedimento di aggiudicazione definitiva” alla medesima.

A sostegno del gravame venivano dedotti i seguenti motivi:

a) violazione e falsa applicazione del disciplinare di gara (pagg. 4 e 5, nn. 1, 2, 3 e 4, pag. 7) e degli artt. 38, comma 1, lett. m-quater), 48, 51 e 75 del d.lgs. n. 163/2006, dell’art. 2557 c.c., dell’art. 32, comma 7 bis, del d.l. n. 185/2008, come modificato dall’art. 1 della l. n. 2/2009 e dal d.l. n. 40/2010, carenza dei requisiti di idoneità professionale, di qualificazione, economico-finanziari e tecnico-professionali, false dichiarazioni in gara;

b) eccesso di potere per errore nei presupposti di fatto e di diritto, carenza istruttoria, irragionevolezza manifesta.

La ricorrente proponeva, altresì, domanda di subentro nel contratto e di risarcimento del danno.

Resisteva all’impugnativa l’aggiudicataria, che eccepiva l’inammissibilità e/o improcedibilità del ricorso e concludeva, in subordine, per il suo rigetto.

Nelle more del giudizio, con verbale del 28 dicembre 2011 il servizio veniva consegnato dal Comune in via d’urgenza all’aggiudicataria, che prendeva ad esercitarlo dal 1° gennaio successivo; il 28 giugno 2012 seguiva la sottoscrizione del relativo contratto.

Il Tribunale adìto, in accoglimento della conforme eccezione sollevata dalla controinteressata, con la sentenza in epigrafe dichiarava il ricorso inammissibile, sul rilievo che la ricorrente, pur avendo gravato l’aggiudicazione provvisoria, aveva poi omesso di impugnare quella, definitiva, intervenuta con determinazione n. 993 del 17 novembre 2011, che le era stata comunicata a mezzo fax il giorno successivo.

Avverso tale decisione la ricorrente insorgeva allora dinanzi a questa Sezione con il presente appello, con il quale contestava la ragione di inammissibilità riscontrata dal primo Giudice e riproponeva le proprie censure avverso l’aggiudicazione ottenuta dalla concorrente.

Si costituivano in giudizio in resistenza all’appello sia l’Amministrazione comunale che la controinteressata, che difendevano la correttezza della pronuncia appellata e deducevano, comunque, l’infondatezza delle doglianze mosse dall’avversaria alla procedura di gara.

L’appellante con una conclusiva memoria insisteva nei propri rilievi alla sentenza appellata, e richiamava le proprie critiche di legittimità avverso l’aggiudicazione.

Anche la controinteressata depositava uno scritto difensivo di replica.

All’udienza pubblica del 16 ottobre 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

L’appello è infondato.

La conclusione del primo Giudice circa l’inammissibilità dell’originaria impugnativa è infatti immune dai vizi dedotti.

1 Una prima puntualizzazione da fare riguarda l’indeclinabile necessità che l’aggiudicazione definitiva di una procedura formi oggetto d’impugnativa, indipendentemente dal fatto che un gravame sia stato eventualmente già esperito avverso quella provvisoria.

La giurisprudenza ha abbondantemente chiarito, invero, che è la prima, e non la seconda, l’atto da impugnare da parte di chi intenda contestare l’esito di una gara

L’aggiudicazione provvisoria di un appalto pubblico ha natura di atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili e del tutto interinali, sicché è inidonea a produrre la definitiva lesione del soggetto non risultato aggiudicatario, che si verifica solo con l’aggiudicazione definitiva. Quest’ultima, d’altra parte, non costituisce un atto meramente confermativo del precedente, ed è l’unico provvedimento in riferimento al quale va verificata la tempestività del ricorso (C.d.S., V, 20 giugno 2011, n. 3671; in termini cfr. anche, tra le più recenti, V, 11 gennaio 2011, n. 80; III, 11 marzo 2011, n. 1581; VI, 20 ottobre 2010, n. 7586).

Questa linea interpretativa ha trovato definitivo suggello nella recente pronuncia dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio n. 31 del 31 luglio 2012.

Guardando alla più recente produzione normativa è stato notato, da un lato, che “il comma 5 dell’art. 79 è stato oggetto di modifica per opera del decreto legislativo 20 marzo 2010, nr. 53 (“Attuazione della direttiva 2007/66/CE che modifica le direttive 89/665/CEE e 92/13/CEE per quanto riguarda il miglioramento dell’efficacia delle procedure di ricorso in materia d’aggiudicazione degli appalti pubblici”), con l’introduzione dell’espressa precisazione che oggetto della comunicazione debba essere l’aggiudicazione “definitiva”; dall’altro lato, (che) l’art. 120, comma 5, cod. proc. amm. ha espressamente ancorato il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione alla comunicazione de qua.”

L’Adunanza Plenaria ha peraltro osservato che entrambe le innovazioni legislative sono espressione di principi validi già nell’assetto normativo previgente.

“Innanzi tutto, se si conviene nel ritenere che la ratio delle comunicazioni disciplinate dal più volte citato art. 79 sia quella di realizzare un effetto di conoscenza legale delle determinazioni rilevanti adottate dal seggio di gara – e, per quanto qui rileva, dell’aggiudicazione – in capo ai concorrenti, ne discende che, già prima e indipendentemente dalle precisazioni introdotte dalla novella del 2010, l’oggetto della previsione di cui alla lettera a) del comma 5 della norma non potesse non essere proprio l’aggiudicazione definitiva, in quanto unico atto conclusivo della procedura selettiva in relazione al quale sorge un onere di tempestiva impugnazione da parte dei concorrenti non aggiudicatari.

Tale conclusione, del resto, è coerente con il consolidato indirizzo che ha sempre qualificato l’aggiudicazione provvisoria come un mero atto endoprocedimentale, la cui autonoma impugnabilità si riconnette a una mera facoltà, e giammai a un onere, del concorrente nonaggiudicatario (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. III, 4 novembre 2011, n. 5866; Cons. Stato, sez. V, 20 giugno 2011, n. 3671; id., 6 luglio 2002, n. 3717; id., 7 ottobre 2008, n. 4854), ed è comunque condizionata, ai fini della sua procedibilità, alla tempestiva impugnazione con motivi aggiunti anche dell’aggiudicazione definitiva che successivamente intervenga (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 aprile 2011, n. 2482; Cons. Stato, sez. V, 26 novembre 2008, n. 5485; Cons. Stato, sez. VI, 18 marzo 2003, n. 1417).” (Ad. Pl. n. 31/2012 cit.).

Per quanto precede, non vi è dubbio che sull’attuale appellante incombesse l’onere di impugnare l’aggiudicazione definitiva della procedura.

2 La seconda puntualizzazione occorrente attiene alla necessità che l’onerata facesse luogo all’impugnativa dell’aggiudicazione definitiva già durante il primo grado di giudizio, non potendo la relativa contestazione essere proposta per saltum direttamente in grado di appello, come è invece avvenuto, senza incorrere nella sanzione processuale dell’inammissibilità, stante la preclusione tradizionalmente vigente per le domande nuove in appello che si trova ribadita dall’art. 104 c. 1 C.P.A..

A completamento di quest’ultima osservazione, non guasta estendere il discorso ai precisi limiti entro cui sono ammessi i motivi aggiunti spiegati direttamente in appello.

Anche prima dell’avvento del vigente Codice del processo amministrativo, l’interpretazione giurisprudenziale della disciplina processuale ammetteva la possibilità di dedurre motivi aggiunti anche direttamente in grado di appello allorché si trattasse, però, di far valere dei vizi degli stessi provvedimenti impugnati non noti all’epoca del primo grado, in quanto emersi solo a seguito della conoscenza di nuovi documenti. Veniva invece esclusa tale possibilità allorché i motivi aggiunti da proporre direttamente in appello dovessero investire atti sopravvenuti in corso di giudizio, non venendo ritenuta applicabile in sede di appello (ma solo in primo grado) la disposizione dell’art. 1, comma 1, l. 21 luglio 2000 n. 205, secondo la quale tutti i provvedimenti adottati in pendenza del giudizio e connessi all’oggetto del ricorso andavano impugnati mediante la proposizione di motivi aggiunti (v. ad es. C.d.S., V, 28 settembre 2007, n. 5024; VI, 4 aprile 2008 n. 1442 e 25 luglio 2006 n. 4648).

Il sopraggiunto art. 104, comma 3, C.P.A., che consente la proposizione di motivi aggiunti in appello “qualora la parte venga a conoscenza di documenti non prodotti dalle altre parti nel giudizio di primo grado da cui emergano vizi degli atti o provvedimenti amministrativi impugnati”, ha appunto codificato il pregresso orientamento giurisprudenziale, ammettendo i motivi aggiunti in grado d’appello al solo fine di dedurre ulteriori vizi degli atti già censurati in primo grado (evenienza nella quale non ci si trova tanto in presenza di una “domanda nuova”, quando di un’articolazione della domanda già proposta in primo grado), e non anche nella diversa ipotesi in cui con i detti motivi si intendano impugnare nuovi atti sopravvenuti alla sentenza di primo grado (IV, 16 giugno 2011, n. 3662; V, 13 maggio 2011, n. 2892; VI, 12 aprile 2011, n. 2257).

Ne consegue che il provvedimento sopravvenuto non è ricorribile per saltum né mediante appello, né a mezzo di motivi aggiunti proposti direttamente nel secondo grado di giudizio.

3 Fatte queste premesse, occorre ricordare che la *****, secondo le valutazioni del primo Giudice, ha mancato di insorgere contro l’aggiudicazione definitiva durante il primo grado di giudizio.

La constatazione fatta sul punto dal Tribunale non ha formato oggetto di condivisibili critiche da parte dell’appellante.

La ***** non insiste più, in questa sede, sulla presenza, nell’epigrafe del proprio originario gravame, della clausola che lo configurava come avversante anche “l’eventuale provvedimento di aggiudicazione definitiva” ; né argomenta in qualsiasi modo per tentare di giustificare l’utilità di una simile clausola, richiamandosi magari all’eventuale possibilità di considerare la (allora) futura aggiudicazione definitiva come un atto in corso, o similia.

D’altra parte, se è esatto che il sopravvenuto provvedimento dell’Amministrazione del 17 novembre 2011 recava, a rigore, solo una presa d’atto di un’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria già formatasi per silentium, in forza dell’art. 12, comma 1, del Codice dei contratti pubblici, non è meno vero che anche la relativa fattispecie provvedimentale silenziosa si sarebbe formata solo il 15 ottobre 2011, vale a dire pur sempre dopo l’avvio alla notifica dell’atto introduttivo della *****.

Non vale poi l’asserto che il provvedimento sopravvenuto fosse stato assunto in spregio dell’ordinanza cautelare del TAR n. 744 del precedente 28 ottobre, posto che con questa il primo Giudice, senza disporre misure sospensive dell’aggiudicazione provvisoria, o assumere altre prescrizioni atte ad incidere sulle prerogative dell’Amministrazione, si era limitato alla fissazione dell’udienza pubblica di discussione.

Né l’esistenza di un onere dell’impugnativa avverso l’aggiudicazione definitiva può essere contestato, in concreto, adducendo che il ricorso già proposto aveva investito soprattutto il verbale (n. 2 del 22 marzo 2011) di seduta recante l’ammissione alla procedura della controinteressata.

La ***** sostiene che ciò avrebbe comportato, in caso di accoglimento del ricorso, l’automatico travolgimento anche dell’aggiudicazione definitiva.

In contrario è però facile obiettare che una simile posizione pretenderebbe di ribaltare, senza nemmeno l’ausilio di alcuna particolare motivazione, la consolidata costruzione giurisprudenziale -sopra ricordata- sull’onere di impugnativa dell’aggiudicazione definitiva. E questo, per giunta, ponendo al centro del sistema di tutela il ricorso contro un atto, l’altrui ammissione alla gara, rispetto al quale la giurisprudenza esclude addirittura l’esistenza di un onere di immediata impugnazione, trattandosi di atto meramente endoprocedimentale e sprovvisto ex se di portata lesiva, la quale potrebbe essere rinvenuta solo nella successiva ed eventuale conclusione del procedimento recante aggiudicazione ad un concorrente (la giurisprudenza, difatti, è uniforme nel senso che, salvo che per le previsioni che incidano immediatamente sull’ interesse a partecipare alla gara, tutti i vizi degli atti del procedimento di scelta del contraente vanno fatti valere in occasione dell’impugnazione dell’atto finale di aggiudicazione, con il quale solo la lesione lamentata acquista carattere di definitività : v. ad es. C.d.S., VI, 22 aprile 2008, n. 1854).

4 ***** non è dunque insorta nel giudizio di primo grado contro l’aggiudicazione definitiva: e ciò nonostante fossero maturate condizioni tali da onerarla della proposizione di un’impugnativa avverso tale specifico atto, del quale aveva anche acquisito piena cognizione.

Vero è che l’uso del fax non era stato da ***** espressamente autorizzato, come richiesto dall’art. 79, comma 5 bis, Codice dei contratti pubblici, e pertanto non avrebbe potuto fondare una conoscenza legale dell’atto in tal forma comunicato.

Ciò non toglie, però, che la società avesse acquisito piena conoscenza dell’intervenuta aggiudicazione definitiva attraverso la spedizione via fax (con report positivo) del testo del provvedimento, eseguita al numero che essa stessa aveva indicato come proprio recapito nel contesto della propria offerta: conoscenza che la ***** non ha mai messo in discussione neppure con mere formule di stile, lasciandola praticamente incontestata.

Occorre poi appena ricordare che l’art. 120, comma 5, CPA ancora comunque il termine per ricorrere, in assenza della formale comunicazione prevista dall’art. 79 del Codice dei contratti, alla conoscenza dell’atto. E che anche nel presente giudizio la *****, al cospetto dell’eccezione delle appellate circa la piena conoscenza del provvedimento che da parte sua era stata acquisita, non ha fatto alcuna reale obiezione.

5 Né la ricorrente può essere seguita allorché si duole della mancata concessione da parte del primo Giudice del beneficio della rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell’art. 37 C.P.A..

5a L’articolo, nella parte in cui consente la rimessione in termini in presenza di oggettive ragioni d’incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto, è norma di stretta interpretazione, non essendo sufficienti per la concessione del beneficio (che integra un istituto di carattere eccezionale : C.d.S., VI, 13 dicembre 2011, n. 6531) la buona fede e l’esistenza di fattori soggettivi del ricorrente. Un uso eccessivamente ampio della discrezionalità del giudicante, ben lungi dal rafforzare l’effettività della tutela giurisdizionale, potrebbe risolversi in un grave vulnus del pariordinato principio di parità delle parti, espressamente richiamato dall’art. 2, comma 1, C.P.A.. sul versante del rispetto dei termini perentori stabiliti dalla legge processuale (C.d.S., IV, 16 aprile 2012, n. 2155; VI, 15 novembre 2011, n. 6018; V, 8 ottobre 2011, n. 5496).

Il beneficio dell’errore scusabile non può quindi essere concesso quando vengano in rilievo disposizioni processuali sanzionate con la decadenza e non esistano difficoltà interpretative della norma (C.d.S., V, 8 ottobre 2011, n. 5496), ma deve essere rigorosamente ancorato ad oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto (IV, 28 febbraio 2012, n. 1127).

Più in particolare, l’istituto è suscettibile di trovare applicazione quando siano ravvisabili situazioni di obiettiva incertezza normativa connesse a difficoltà interpretative o ad oscillazioni giurisprudenziali, oppure quando si sia di fronte a comportamenti, indicazioni o avvertenze fuorvianti provenienti dalla medesima Amministrazione, da cui possa conseguire difficoltà nella domanda di giustizia (C.d.S., VI, 13 dicembre 2011, n. 6531).

5b Orbene, a sostegno della concedibilità del beneficio nel caso concreto la ricorrente adduce fondamentalmente una supposta ambiguità proprio del testo dell’atto di aggiudicazione definitiva, che l’avrebbe indotta in errore.

Come la stessa appellante osserva (pag. 8 appello), peraltro, tutto quel che può ammettersi è che con la particolare clausola di riserva apposta all’atto la Stazione appaltante avesse manifestato la volontà di conformarsi alla futura decisione giurisdizionale, “revocando il provvedimento di aggiudicazione definitiva nella misura in cui detta decisione avesse confermato la illegittimità dell’aggiudicazione provvisoria”.

La clausola, però, non valeva in alcun modo a conferire natura condizionale all’aggiudicazione, nulla togliendo alla sua definitività. E, d’altra parte, l’imminente giudizio non avrebbe potuto svolgersi che nel rispetto delle regole innanzitutto processuali sue proprie, laddove l’Amministrazione non avrebbe certo potuto, in ipotesi, esonerare l’impresa dal ricorrere in giudizio contro l’aggiudicazione definitiva, né quindi sottrarla alle naturali conseguenze processuali discendenti dall’inadempimento del relativo onere.

Da tutto ciò si desume l’immunità della clausola dalla censura di ambiguità rivoltale, e la sua inidoneità a giustificare la concessione del beneficio richiesto.

6 In conclusione, l’appello deve essere nel suo insieme respinto.

Si ravvisano, tuttavia, ragioni tali da giustificare anche per questo grado di giudizio la compensazione delle spese processuali.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.

Compensa tra le parti le spese processuali di questo grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2012 

Redazione