L’accordo di programma, una volta stipulato, è vincolante per i sottoscrittori (Cons. Stato n. 928/2013)

Redazione 15/02/13
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FATTO

La Regione Puglia promuoveva la realizzazione di Programmi di recupero urbano e il Comune di Bisceglie proponeva un siffatto piano di intervento per il quartiere popolare denominato “**********” che la stessa Regione con deliberazione giuntale n. 1484/2000 dichiarava ammissibile .

L’Amministrazione comunale e la Regione procedevano alla stipula dell’accordo di programma di attuazione del PRU, approvato in via definitiva con decreto del Presidente della Giunta Regionale n.525 del 30/7/2003 con cui, tra l’altro, veniva dichiarata la pubblica utilità , indifferibilità ed urgenza delle opere a farsi.

Il Comune adottava con determinazione dirigenziale n.199 dell’11/11/2005 il relativo piano particellare di esproprio relativo agli immobili ricadenti nel c.d. “ Comparto 4”, in cui insistono anche le aree già edificate di proprietà degli appellati e con decreto del 14/11/2005 veniva disposta ex art.22 bis del DPR n.327/2001 l’occupazione d’urgenza degli immobili.

Gli interessati impugnavano con apposito ricorso il provvedimento di occupazione d’urgenza e il Comune, dopo che il Tar aveva concessa la chiesta misura cautelare, confermata dal Consiglio di Stato, con determinazione dirigenziale n.149 del 4/6/08 revocava in autotutela il suindicato decreto di occupazione e dava corso all’”ordinario procedimento espropriativo” .

Quindi l’Amministrazione comunale con nota prot. n. 13430 del 14/4/2008 faceva richiesta alla Regione Puglia di una proroga di due anni del termine per l’emissione dei decreti di esproprio relativi all’acquisizione degli immobili compresi nel PRU del quartiere ********* e la Regione con decreto presidenziale n.692 del 30/6/2008 concedeva la chiesta proroga di due anni, spostando alla data del 6/8/ 2010 i termini fissati per il compimento della procedura espropriativa.

Con specifico ricorso gli attuali appellati, sigg.ri (omissis) impugnavano innanzi al Tar della Puglia tale provvedimento di proroga e gli atti presupposti e con successivi motivi aggiunti interponevano gravame avverso il sopravvenuto decreto di esproprio datato 1/2/2010 .

Con sentenza n. 1413/2011 l’adito Tribunale territoriale accoglieva il proposto gravame, con annullamento degli atti impugnati e con condanna del Comune di Bisceglie al risarcimento dei danni derivanti ai ricorrenti dall’occupazione delle aree di loro proprietà, sulla scorta dei criteri e delle modalità stabilite in parte motiva, secondo la procedura di cui all’art.35 c.4 c.p.a.

Avverso tale decisum, ritenuto errato ed ingiusto, è insorto il Comune di Bisceglie con l’appello all’esame, a sostegno del quale vengono dedotti i seguenti motivi:

1) violazione ed omessa applicazione art.35 comma 1 lett. B) c.p.a. Eccesso di potere per ingiustizia manifesta; erronea presupposizione e travisamento dei fatti. Error in iudicando ;

2) violazione ed erronea applicazione degli art.34 del dlgs n.267/2000 e degli artt.9,12 e 13 del DPR n.327/2001; eccesso di potere per erronea presupposizione e travisamento dei fatti;

3) violazione ed omessa applicazione dell’art.3 della legge n.241/90 e succ. mod. ; eccesso di potere per ingiustizia manifesta ed erronea presupposizione;

4) violazione ed omessa applicazione degli artt.7 e 21 octies della legge n.241/90 e succ. mod. ; eccesso di potere per ingiustizia manifesta ed erronea presupposizione;

5) Erroneità del valore di mercato assegnato dalla sentenza appellata al suolo espropriato ; eccesso di potere per erronea presupposizione ed ingiustizia manifesta.

Si sono costituiti in giudizio i sigg.ri (omissis) che hanno contestato la fondatezza dei motivi dell’appello chiedendone la reiezione.

Con altri scritti difensivi le parti hanno ulteriormente illustrato le loro argomentazioni.

All’odierna udienza pubblica la causa viene introitata per la decisione

 

DIRITTO

L’appello è infondato, meritando l’impugnata sentenza integrale conferma.

Col primo mezzo d’impugnazione parte appellante critica la statuizione del giudice di prime cure che ha respinto l’eccezione di inammissibilità del ricorso per carenza di interesse sollevata dalla resistente Amministrazione comunale

L’Ente nel reiterare l’eccezione rileva anche in questa sede che l’inserimento delle aree de quibus nel PRU comporta un incremento di valore delle stesse atteso che i suoli in questione nel previgente regime giuridico avevano la destinazione di standard ex art.3 del D.M. n.1444/68 : il Tar ha nella specie censurato l’avvenuta compressione dello jus aedificandi dei ricorrenti proprietari omettendo però di considerare che la precedente destinazione degli immobili non era suscettiva di edificazione, sicchè il convincimento del primo giudice poggerebbe su u erroneo presupposto ( la previgente edificabilità)

L’assunto difensivo non appare condivisibile.

Invero, oggetto di contestazione giudiziale sono gli atti delle procedura ablatoria posti in essere dal Comune di Bisceglie ( l’occupazione dei suoli prima e l’espropriazione degli stessi poi ) e non già la diversa destinazione urbanistica impressa alle aree, di talchè, avuto riguardo al petitum formale e sostanziale che contrassegna la controversia, appare innegabile il carattere lesivo delle determinazioni oggetto di impugnativa, con piena legittimazione ad agire da parte dei soggetti che si vedono negativamente inciso il loro diritto di proprietà .

Insomma, venendo in rilievo la legittimità o meno di vincoli espropriativi, deve necessariamente affermarsi l’ammissibilità del ricorso da parte dei proprietari delle aree destinatarie delle determinazioni comunali sussistendo indiscutibilmente un interesse sostanziale e processuale a difendersi giudizialmente nei confronti di provvedimenti che tali effetti ablatori impongono (Cons. Stato Sez. IV 5 febbraio 2009 n. 656).

Passando alla disamina delle censure che evidenziano il nucleo contenzioso della vicenda, con il secondo motivo viene sollevata la quaestio iuris relativa al rispetto o meno dei termini fissati per il compimento della procedura espropriativa finalizzata all’acquisizione delle aree qui in rilievo.

Il TAR, in accoglimento delle doglianze dei ricorrenti originari, ha dichiarato l’illegittimità dell’atto regionale di proroga di due anni dei termini in questione, essendo detta proroga inutilmente intervenuta allorquando il provvedimento su cui essa incide ( l’Accordo di Programma ) era scaduto, essendo venuta meno la dichiarazione di pubblica utilità delle opere in tale atto pure contenuta.

Al riguardo l’appellante Comune deduce la erroneità di tale statuizione, atteso che in assenza di specifica previsione nell’accordo di programma di un diverso termine, l’efficacia della dichiarazione di pubblica utilità coincide con il termine quinquennale accordato in virtù della previsione recata dall’art.13 comma 5 del DPR n.327/2001, con conseguente piena legittimità della proroga in contestazione.

La tesi dell’Amministrazione non convince.

Nel ricostruire l’iter procedurale che ha contrassegnato la vicenda all’esame, rileva che in data 1 aprile 2003 veniva stipulato tra la Regione Puglia e il Comune di Bisceglie un Accordo di programma per l’attuazione del Programma di recupero urbano ex art.11 della legge n.493 del 4/1/1993 del quartiere *********, composto da vari comparti tra cui il comparto n.4 in cui sono inserite le aree degli appellati.

L’ Accordo era stipulato ai sensi e con le modalità di cui all’art.34 del dlgs n.267/2000 e con gli effetti previsti dall’art.81 del DPR n.616/77 e dall’art.8, 9° comma del d.l. n.626/79 convertito dalla legge n.25/80, con l’espressa previsione ( punto 5) che il programma di attuazione degli interventi e delle opere “dovrà essere realizzato secondo quanto previsto dal protocollo d’intesa” sottoscritto tra il Comune di Bisceglie e i soggetti attuatori in data 9 luglio 2001.

L’Accordo di programma ratificato dal Comune con deliberazione n.51 del 16 aprile 2004, veniva approvato con decreto del Presidente della Giunta Regionale della Puglia n.525 del 30 luglio 2003, pubblicato sul B.U.R. del 7 agosto 2003.

Ciò detto, si rende necessario un qualche accenno in ordine alla natura giuridica e al contenuto dell’accordo di programma come configurato dall’art.34 del dlgs n.267/2000 .

Esso si colloca nell’alveo degli accordi organizzativi ex art.25 della legge n.241/90 di cui è una species e può essere concluso sia per la programmazione che per la concreta attuazione di opere ed interventi pubblici.

L’accordo di programma qui in rilievo ha dunque ad oggetto un progetto di opera pubblica, sub specie di interventi di recupero di aree urbanistiche, situazione per la quale soccorre l’ipotesi legislativa di cui al comma 6 del citato art.34 comportante, quanto alla sua approvazione, effetti in relazione alle variazioni degli strumenti urbanistici e alla dichiarazione di pubblica utilità da imprimere alle opere oggetto di stipula dell’accordo

Così il citato decreto del Presidente della G.R. Puglia n.525/2003 , come da esso espressamente riportato “ha valore di pubblica utilità , indifferibilità ed urgenza per le opere previste”, con l’ulteriore precisazione che “nel caso in cui l’Accordo di Programma non abbia attuazione… le determinazioni assunte si intendono caducate”.

Ora, quale che sia la natura giuridica dell’istituto ( atto negoziale o provvedimento ), l’accordo di programma, una volta stipulato, è vincolante per i sottoscrittori, con l’impegno per le Amministrazioni che lo hanno sottoscritto di dare ad esso attuazione a mezzo di atti preordinati al perseguimento dei fini oggetto dell’accordo stesso ( Cons. Stato Sez. IV 27/3/2008 n.1238 ).

Tornando al caso di specie, l’accordo reca una dettagliata regolamentazione delle modalità e dei tempi di attuazione degli interventi a farsi, con la espressa previsione ( punto 6 della parte negoziale ) che : “ il Programma sarà attuato nel periodo massimo di 36 mesi , a pena di decadenza del presente accordo …a decorrere dalla data di pubblicazione del presente accordo e avrà scansioni temporali , riferite alle diverse opere da realizzarsi, fissate nel protocollo d’intesa” ; segue , tra le altre prescrizioni, quella ( già sopra ricordata ) di tipo comminatorio per cui ( punto 14 ) in caso di “non attuazione dell’accordo le determinazioni assunte si intendono caducate”

Nel predetto atto si rinviene quindi una disciplina puntuale quanto alla tempistica degli interventi, con una norma di chiusura avente contenuto decadenziale, di guisa che tenuto conto della natura giuridica dello strumento utilizzato e del carattere precettivo delle previsioni in esso recate, l’accordo quanto alla normazione da essa dettata, si riferisce non ad un solo segmento, bensì all’intero iter procedimentale di esecuzione del progetto degli interventi urbanistici oggetto dell’accordo stesso.

Se così è, va dato atto che le Amministrazioni contraenti hanno fissato in 36 mesi il termine di efficacia della dichiarazione di pubblica utilità, decorrente dalla data di pubblicazione del decreto di approvazione dell’accordo, con scadenza il 7 agosto 2006 e tale circostanza non può non incidere anche in ordine al compimento finale della procedura ablatoria volta all’acquisizione delle aree interessate all’attuazione degli interventi di recupero.

In altri termini, secondo quanto concordato tra le Amministrazioni, i trentasei mesi costituiscono il termine ultimo entro cui compiere validamente tutti gli atti necessari all’attuazione dell’accordo e questo sta a significare che la proroga accordata, in accoglimento della relativa richiesta formulata ai sensi dell’art.13 comma 5 del DPR n.327/01 in data 14 aprile 2008, per l’emissione dei decreti di esproprio degli immobili compresi nel PRU del quartiere ********* è intervenuta tardivamente, allorchè la dichiarazione di pubblica utilità aveva perso la sua efficacia , con la conseguenza che in assenza del relativo presupposto ( la perdurante efficacia della dichiarazione di pubblica utilità ) il decreto regionale n.602/2008 con cui vengono prorogati i termini fissati per il compimento delle procedure espropriative, è da ritenersi illegittimo .

Nè può giovare a far salve le determinazioni volte a legittimare l’acquisizione degli immobili l’argomentazione ermeneutica di parte appellante secondo cui nella specie soccorre a sostegno della legittimità dell’operato delle Amministrazioni, il termine legale quinquennale previsto dal DPR n.327/01 nel caso in cui manca espressamente il termine finale entro cui adottare l’atto ablatorio.

Invero, il criterio sostitutivo contemplato in via generale interviene, ragionevolmente, solo nelle ipotesi dell’assenza di una puntuale disciplina, circostanza nella specie, come sopra evidenziato, non rinveniente, attesa la dettagliata disciplina dettata dall’accordo stesso in ordine alla tempistica da osservarsi circa l’attuazione di quanto convenuto tra le Amministrazioni stipulanti, tenuto conto , in ogni caso, che la richiesta di proroga interviene dopo che la dichiarazione di pubblica utilità delle opere, in ragione del termine triennale di efficacia della stessa ( i trentasei mesi fissati dall’Accordo decorrenti dal 7 agosto 2003 ) aveva esaurito i suoi effetti.

Le considerazioni sopra esposte rivestono carattere assorbente e di per sè evidenziano la illegittimità dell’impugnato provvedimento di proroga, sì da rendere ininfluenti le censure di appello dedotte col terzo e quarto motivo con cui vengono sollevate le questioni inerenti la sufficienza motivazione addotta a sostegno della proroga biennale e la non necessarietà della partecipazione degli interessati allo stesso procedimento di proroga.

Vale solo qui ribadire, quanto alla prima delle suddette questioni, che , come già correttamente affermato dal primo giudice, la proroga in quanto consentita “per casi di forza maggiore o per altre giustificate ragioni” è ipotesi di carattere eccezionale , richiedendosi all’uopo la sussistenza di ragioni del tutto indipendenti dalla volontà dell’Amministrazione ( cfr Cons. Stato Sez. IV 3/9/2008 n.4112), il che non è dato nella fattispecie all’esame riscontrare.

Infine, prive di pregio si appalesano le doglianze di cui al quinto ed ultimo motivo di gravame inerenti la domanda risarcitoria fatta valere in primo grado dagli attuali appellati e riconosciuta fondata dal Tar .

Parte appellante rileva la erroneità del valore del suolo degli appellati, come quantificato nella sentenza impugnata, ma le censure sul punto appaiono genericamente formulate a fronte di una valutazione del Tribunale territoriale che appare congrua con riferimento sia ai presupposti che alla prese conclusioni.

In forza delle suesposte considerazioni, l’appello è infondato e va, pertanto, respinto.

Avuto riguardo alle questioni ermeneutiche trattate, le spese del presente grado del giudizio possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo Rigetta.

Compensa tra le parti le spese e competenze del presente grado del giudizio

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2012

Redazione