Iva: è sottrazione fraudolenta la riorganizzazione aziendale fingendo crediti (Cass. pen. n. 45730/2012)

Redazione 22/11/12
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Svolgimento del processo

Con la impugnata ordinanza il Tribunale di Varese ha confermato il decreto di sequestro preventivo emesso dal G.I.P. del Tribunale di Busto Arsizio in data 08/02/2012 nei confronti dei beni delle società Pegaso Holding S.r.l. della Chiaravalli Group S.p.A., della GMC S.r.l. e della LMC S.r.l. in relazione al reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, di cui sono indagati C.M. quale legale rappresentante delle prime due società, P.L. quale legale rappresentante della GMC e I.G. quale legale rappresentante della LMC. Secondo l’ipotesi dell’accusa gli indagati, nelle rispettive qualità, allo scopo di sottrarre la società ******************************* al pagamento dell’IVA e delle sanzioni amministrative accertate dall’Agenzia delle Entrate per gli anni di imposta 2006 e 2007 per un ammontare di 27.904.058,00 Euro avevano alienato simulatamente i beni della predetta società o compiuto atti fraudolenti idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.

L’ordinanza ricostruisce la vicenda tributaria, rilevando che la ******************************* negli anni 2006 e 2007 aveva creato un credito IVA inesistente per un ammontare di Euro 7.000.000,00 mediante una serie fittizia di preliminari di vendita, mai sfociati in contratti definitivi, intercorsi tra le società del Gruppo Chiaravalli aventi ad oggetto il medesimo complesso immobiliare che veniva di volta in volta artificiosamente rivalutato. Successivamente agli accertamenti della GG.FF. effettuati nel marzo e nel giugno 2009, con il pretesto di un’apparente riorganizzazione aziendale del gruppo e con una serie di negozi di trasferimento tra le società che ne facevano parte, simulati o comunque fraudolenti, la ************************ era stata svuotata di ogni sua attività in favore di soggetti riconducibili all’originaria proprietà del gruppo in modo da lasciare residuare in capo alla prima quale unico rapporto giuridico pendente il debito fiscale. Nel prosieguo dell’ordinanza vengono analiticamente decritti i vari atti di conferimento, trasferimento ed altro tra le società del gruppo che avevano portato allo svuotamento della ************************, da ultimo ceduta a due soggetti ottantenni e subito dopo messa in liquidazione.

Il Tribunale ha ravvisato, attraverso la analitica ricostruzione dei vari passaggi societari, l’esistenza del fumus del reato ed affermato le esigenze cautelari, potendo la libera disponibilità dei beni appartenenti alle società di cui sono rappresentanti gli indagati far venir meno le garanzie di un’efficace riscossione dei tributi da parte dell’erario.

2. Avverso la sentenza hanno proposto analoghi ricorsi per cassazione gli istanti per il riesame.

2.1 I ricorrenti, in estrema sintesi, deducono, che la pretesa dell’Agenzia delle Entrate, che si definisce abnorme, a fronte di un presunto credito di imposta di 7.000.000,00 di Euro, è stata preceduta da altri atti di accertamento, conclusisi in sede di giudizio tributario in termini favorevoli per i ricorrenti C.M. ed A.. Nella sostanza si deduce che non può essere posta a fondamento del fumus commissi delicti una pretesa fiscale che non sia stata sottoposta al vaglio di un soggetto terzo.

Sul punto si allega una sentenza della commissione tributaria relativa a redditi non dichiarati da C.A. e C.M. per plusvalenze redistribuite come utili extra bilancio per l’anno di imposta 2006.

2.2 Nel prosieguo si denuncia il mancato esame da parte del Tribunale delle argomentazioni difensive, con le quali si dava conto della effettività delle operazioni di ristrutturazione aziendale, determinate dalle esigenze produttive e di mercato, poste in essere dalle società facenti parte del gruppo; operazioni che non potevano essere dettate dal fine di sottrarre beni alle pretese dell’erario, sia in considerazione dei costi di tali operazioni, sia perchè effettuate proprio mentre erano in corso gli accertamenti della GG.FF..

2.3 Si contesta, infine, l’esistenza delle esigenze cautelari, che devono essere accertate in concreto e non su basi presuntive.

Sul punto si osserva che le operazioni di riassetto industriale non hanno determinato il venir meno delle garanzie per l’erario sui beni del gruppo *********** e che il pericolo di dispersione degli stessi costituisce un assunto meramente ipotetico a fronte della solidità e operatività da moltissimo tempo del predetto gruppo societario.

2.4 I ricorrenti I. e P. aggiungono rilievi in ordine alla loro estraneità ai fatti in quanto liberi professionisti, non legati da alcun vincolo di parentela con i C., avendo operato solo nell’interesse delle società di cui sono rispettivamente amministratori ed ignorato le iniziative assunte dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della ********************************

Motivi della decisione

1. I ricorsi non sono fondati.

2.1 E’ opportuno precisare in ordine alla natura della misura cautelare che il decreto del G.I.P. di applicazione della stessa ha ravvisato nei beni aziendali, oggetto di cessione tra le varie società indicate nel provvedimento, lo strumento attraverso il quale è stato commesso il reato, con la conseguente confiscabilità degli stessi ex art. 240 c.p., e le esigenze cautelari nella necessità di impedire che detti beni possano formare oggetto di ulteriori dismissioni.

2.2 Tanto precisato, osserva il Collegio che secondo l’ormai consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte è reato di pericolo e non di danno, sicchè, ai fini del perfezionamento, non è richiesta la sussistenza di una procedura di riscossione in atto. (sez. 3, Sentenza n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251076; sez. 5, Sentenza n. 7916 del 10/01/2007, *******, Rv. 236053; sez. 3, Sentenza n. 14720 del 06/03/2008, P.M. in proc. *******, Rv. 239971; n. 17071 del 2006 Rv. 234322).

Nella previsione del D.Lgs. n. 74 del 2000, vigente art. 11 il riferimento a tale procedura appartiene al momento intenzionale e non alla struttura del fatto e non vi è alcun riferimento alle condizioni previste precedentemente dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 97, comma 6, come modificato dalla L. n. 413 del 1991, art. 15, comma 4, (ovvero alla avvenuta effettuazione di accessi, ispezioni o verifiche, o alla preventiva notificazione, all’autore della condotta fraudolenta, di inviti, richieste o atti di accertamento).

Pertanto, ai fini del perfezionamento del reato in questione, è richiesto soltanto che l’atto simulato di alienazione o gli altri atti fraudolenti sui beni siano idonei ad impedire il soddisfacimento totale o parziale del fisco.

2.3 Orbene, l’ordinanza, previa ricostruzione sintetica della vicenda relativa alla creazione del fittizio credito IVA, ha analiticamente indicato i vari passaggi societari attraverso i quali si è pervenuti allo svuotamento della *******************************, che neppure vengono confutati dai ricorrenti, limitandosi i ricorsi a prospettare una diversa valutazione di tali risultanze, ovvero vizi di motivazione, anche con riferimento alla tempistica delle operazioni poste in essere, inammissibili in sede di legittimità ex art. 325 c.p.p..

In particolare, l’ordinanza ha evidenziato, sul piano indiziario, “che il preteso obiettivo di riorganizzazione aziendale, anzichè essere perseguito attraverso il decentramento di solo una parte delle attività facenti capo alla società accertata – mantenendo la stessa vitale e florida – sia stato invece attuato attraverso il totale prosciugamento patrimoniale della ******************************* che, gravata da una passività tributaria onerosa, è stata dapprima resa del tutto incapiente, poi dismessa a favore di terzi, quindi posta in liquidazione e successivamente dichiarata cessata”.

Ed ancora si osserva nel provvedimento impugnato come “la presunta riorganizzazione societaria sia stata effettuata attraverso negozi di conferimento e di trasferimento patrimoniale a fronte dei quali non è intervenuto alcun flusso finanziario in favore della società dante causa, che materialmente nulla ha ricevuto nè a titolo di corrispettivo monetario nè in termini di vantaggi di altra natura…”.

Non può, peraltro, formare oggetto di esame in sede cautelare l’asserita eccessività della pretesa tributaria dell’erario, peraltro riferentesi anche alla applicazione di sanzioni ed interessi, dovendone essere riservata la compiuta valutazione alla sede di merito.

L’ordinanza inoltre ha esaminato le deduzioni dei ricorrenti in ordine all’esito dei giudizi tributari già definiti, osservando che gli stessi non si riferiscono all’oggetto della pretesa fiscale di cui al presente procedimento.

Egualmente si palesa relativa ad altra vicenda tributaria la sentenza allegata al ricorso.

Quanto alla posizione di soggetti terzi dei ricorrenti I. e P. rispetto alla pretesa tributaria ed al reato la stessa è, in ogni caso, irrilevante con riferimento al provvedimento di sequestro cautelare dei beni già facenti parte della ************************ e transitati nelle altre società del gruppo, che costituiscono, secondo l’ipotesi accusato ria, corpo del reato.

I ricorsi, pertanto, devono essere rigettati con le conseguenze di legge.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti^ pagamento delle spese processuali.

Redazione