Requisiti e cittadinanza italiana (Tar Lazio, Roma n. 9266/2011)

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Massima

L’Amministrazione gode di un’ampia discrezionalità circa la possibilità di concedere o meno la cittadinanza italiana, con valutazioni che si estendono anche in ordine all’assenza di ” vulnus” per le condizioni di sicurezza dello Stato.

 

 

1. Premessa

 

La pronuncia in esame riguarda l’art. 9 della L. 92/1991, che così dispone: “La cittadinanza italiana può essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’Interno:

a) allo straniero del quale il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati cittadini per nascita, o che è nato nel territorio della Repubblica e, in entrambi i casi, vi risiede legalmente da almeno tre anni, comunque fatto salvo quanto previsto dall’articolo 4, comma 1, lettera c);

b) allo straniero maggiorenne adottato da cittadino italiano che risiede legalmente nel territorio della Repubblica da almeno cinque anni successivamente alla adozione;

c) allo straniero che ha prestato servizio, anche all’estero, per almeno cinque anni alle dipendenze dello Stato;

d) al cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee se risiede legalmente da almeno quattro anni nel territorio della Repubblica;

e) all’apolide che risiede legalmente da almeno cinque anni nel territorio della Repubblica;

f) allo straniero che risiede legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica. Con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri, la cittadinanza può essere concessa allo straniero quando questi abbia reso eminenti servizi all’Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato”.

La costante giurisprudenza amministrativa ha affermato, in subiecta materia, che “il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana allo straniero che sia legalmente residente in Italia da oltre dieci anni, ai sensi dell’art. 9 comma 1 lett. f), l. 5 febbraio 1992 n. 91, è atto ampiamente discrezionale, in ordine al cui rilascio si possono forse ravvisare aspettative giuridicamente tutelate, ma non certo diritti soggettivi” (1). Ciò perché si è condivisibilmente affermato che “l’amministrazione, dopo aver accertato l’esistenza dei presupposti per proporre la domanda di cittadinanza, deve effettuare una valutazione ampiamente discrezionale sulle ragioni che inducono lo straniero a chiedere la nazionalità italiana e delle sue possibilità di rispettare i doveri che derivano dall’appartenenza alla comunità nazionale, ivi compresi quelli di solidarietà economica e sociale. Pertanto, non è illegittimo, ai sensi dell’art. 9 della L. 5 febbraio 1992 n. 91, il provvedimento con il quale è negata la cittadinanza italiana sulla base di considerazioni di carattere economico patrimoniale, relative al possesso di adeguate fonti di sussistenza” (2).

La sintesi che può trarsi da tali principi, è quella per cui l’inserimento dello straniero nella comunità nazionale (atto tradizionalmente rientrante, secondo l’uniforme interpretazione della dottrina tra quelli di “alta amministrazione”, cui consegue un altissimo grado di discrezionalità in capo all’amministrazione) è legittimo allorquando l’amministrazione ritenga che quest’ultimo possieda ogni requisito atto ad inserirsi in modo duraturo nella comunità, mediante un giudizio prognostico che escluda che il richiedente possa successivamente creare inconvenienti o, addirittura, commettere fatti di rilievo penale.

 

Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato

 

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(1) Si veda, da ultimo, Consiglio Stato, sez. VI, 1 ottobre 2008, n. 4748.
(2) Consiglio Stato, sez. IV, 16 settembre 1999, n. 1474.

 

Sentenza collegata

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Staiano Rocchina

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