Irragionevole durata del processo – Giudizio di equa riparazione – Liquidazione parcella avvocato (Cass. n. 724/2013)

Redazione 14/01/13
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Fatto e diritto

Ritenuto che C.I., con ricorso del 30 ottobre 2010, ha impugnato per cassazione – deducendo un unico motivo di censura, illustrato con memoria, nei confronti del Ministro dell’economia e delle finanze, il decreto della Corte d’Appello di Messina depositato in data 17 settembre 2009, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso della I. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2, comma 1, della legge 24 marzo 2001, n. 89 -, in contraddittorio con il Ministro dell’economia e delle finanze – il quale ha concluso per l’inammissibilità o per l’infondatezza del ricorso -, ha condannato il resistente a pagare alla ricorrente la somma di Euro 6.000,00, a titolo di equa riparazione;
che resiste, con controricorso, il Ministro dell’economia e delle finanze;
che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 31 luglio 2008, era fondata sui seguenti fatti: a) la I., asseritamente titolare del diritto ad un diverso inquadramento nell’ambito della U.S.L. n. (omissis) di (omissis) e creditrice di differenze retributive, aveva adito il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione staccata di Catania, con ricorso del 12 aprile 1994; b) il Tribunale adito non aveva ancora deciso tale ricorso, alla data del deposito del ricorso per equa riparazione;
che la Corte d’Appello di Messina, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in quattordici anni e tre mesi la durata complessiva del processo presupposto -, ha determinato il periodo eccedente la ragionevole durata in sei anni, liquidando l’indennizzo di Euro 6.000,00, sulla base di un parametro annuo di Euro 1.000,00;
che il Collegio, all’esito della odierna Camera di consiglio, ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.
Considerato che, con i motivi di censura, il ricorrente critica il decreto impugnato, anche sotto il profilo dei vizi di motivazione, sostenendo che i Giudici a quibus hanno immotivatamente considerato, ai fini dell’equa riparazione, il solo periodo di sei anni eccedente la ragionevole durata del processo presupposto, anziché l’intera durata di esso e, conseguentemente, hanno erroneamente liquidato l’indennizzo;
che la censura è fondata;
che i Giudici a quibus hanno violato il prevalente e consolidato orientamento di questa Corte che, sussistendo il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui all’art. 2 della legge n. 89 del 2001 considera equo, in linea di massima, l’indennizzo di Euro 500,00 per ciascuno degli anni di durata complessiva del processo presupposto;
che, pertanto, il decreto impugnato deve essere annullato in relazione alle censure accolte;
che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ.;
che il processo presupposto de quo ha avuto una durata complessiva di quattordici anni e tre mesi circa (dal 12 aprile 1994, data del ricorso introduttivo del processo presupposto, al 31 luglio 2008, data del deposito del ricorso per equa riparazione);
che, nella specie, sulla base dei criteri adottati da questa Corte e dianzi richiamati il diritto all’equa riparazione per il danno non patrimoniale di cui all’art. 2 della legge n. 89 del 2001, va determinato in Euro 7.150,00, oltre gli interessi a decorrere dalla proposizione della domanda di equa riparazione e fino al saldo;
che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate;
che a tal fine rileva, per le spese del giudizio di merito, la disciplina del D. m. (Giustizia) 8 aprile 2004, n. 127;
che in particolare, ai fini della liquidazione delle spese processuali, il processo camerale per l’equa riparazione del diritto alla ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, né rientra tra quelli speciali di cui alla tabelle A) e B) allegate al citato Decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004, n. 127 (rispettivamente voce 50, paragrafo 7 e voce 75, paragrafo 3), per tali dovendo intendersi, ai sensi dell’art. 11 della tariffa allegata a detto decreto ministeriale, i procedimenti in camera di consiglio ed in genere i procedimenti non contenziosi (cfr., ex plurimis, la sentenza n. 25352 del 2008);
che, conseguentemente, le spese processuali del giudizio a quo debbono essere nuovamente liquidate – sulla base delle tabelle A, paragrafo IV, e B, paragrafo I, allegate al Decreto del Ministro della giustizia 8 aprile 2004, n. 127, relative ai procedimenti contenziosi – in complessivi Euro 1.140,00, di cui Euro 50,00 per esborsi, Euro 600,00 per diritti ed Euro 490,00 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge;
che le spese del presente grado di giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo;
che, a tal fine, rileva invece il D.m. (Giustizia) 20 luglio 2012, n. 140, giacché il suo art. 41 prevede che “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore” (cioè al 23 agosto 2012, giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, come stabilito dall’art. 42 dello stesso decreto), armonizzandosi con la norma, di rango legislativo, di cui all’art. 9, comma 3, del d.l. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 marzo 2012, n. 27, secondo la quale le “tariffe vigenti alla data di entrata in vigore del presente continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, fino alla data di entrata in vigore dei decreti ministeriali di cui al comma 2?, cioè, segnatamente, del decreto del Ministero della giustizia che, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, stabilisce i parametri per la determinazione del compenso del professionista, ciò in quanto lo stesso art. 9 del citato d.l. n. 1 del 2012 ha abrogato tutte “le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico” (comma 1), nonché “le disposizioni vigenti che, per la determinazione del compenso del professionista, rinviano alla tariffe di cui al comma 1″ (comma 5);
che pertanto, tenuto conto della tabella A – Avvocati, richiamata dall’art. 11 del citato D. m. n. 140 del 2012, del valore della controversia (pari ad Euro 7.150,00) e, quindi, dello scaglione di riferimento fino a Euro 25.000,00 per i giudizi dinanzi alla Corte di cassazione, nonché applicata (in ragione della minima complessità della controversia, alla stregua della ponderazione richiesta dall’art. 4 dello stesso D. m.) la diminuzione massima indicata all’interno di detto scaglione per ciascuna fase e ridotto il compenso così risultante del 50% ai sensi dell’art. 9 del medesimo d.m. n. 140 del 2012, trattandosi di causa avente ad oggetto l’indennizzo da irragionevole durata del processo, spetta ai ricorrenti la somma di Euro 180,00 per la fase di studio, Euro 112,50 per la fase: introduttiva, ed Euro 213,25 per la fase decisoria e così complessivamente la somma di Euro 505,75.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo la causa nel merito, condanna il Ministro dell’economia e delle finanze al pagamento, in favore della ricorrente, della somma di Euro 7.150,00, oltre gli interessi dalla domanda, condannandolo altresì al rimborso, in favore della parte ricorrente, delle spese del giudizio, che determina, per il giudizio di merito, in complessivi Euro 1.140,00, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge, e, per il giudizio di legittimità, in complessivi Euro 505,75, oltre agli accessori come per legge, spese tutte da distrarsi in favore dell’Avv. F. M., dichiaratosene antistatario.

Redazione