Invalidità permanente: sorge quando si stabilizzano i postumi e non nel momento del fatto (Cass. n. 10303/2012)

Redazione 21/06/12
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Svolgimento del processo

In data (omissis) Pa.Lu., mentre partecipava, come ciclista dilettante, ad una cronoscalata individuale da (omissis) a (omissis), organizzata dall’A. S. “Pedale Umbro”, andava a collidere con un’autovettura che transitava nell’opposta corsia, riportando gravissime lesioni.

All’esito del procedimento penale conclusosi con l’assoluzione del conducente dell’autovettura, venivano imputati del reato di lesioni:

il vice questore di Viterbo, dott. L.P.F., per non avere dato esecuzione all’ordinanza prefettizia di chiusura del traffico;

l’ispettore di Polizia di Stato, ******, incaricato della direzione del servizio di scorta ai ciclisti durante la gara, il presidente dell’A.S. “Pedale Umbro”, P.C., organizzatore della gara e direttore di corsa, i direttori di corsa L.N. e B.C., tutti e quattro per non essersi assicurati che, in esecuzione del provvedimento prefettizio, la strada rimanesse chiusa al traffico; l’agente scelto della Polizia di Stato, ****, addetto al servizio di scorta, per aver omesso di vigilare sulla sicurezza dell’attore in modo adeguato, precedendolo in tutto il percorso.

Con citazione notificata il 28.06.1999 Pa.Lu. ritenendo che dell’occorso fossero responsabili a vario titolo gli organizzatori (P. per la A.S. “Pedale *****”), il giudice di gara (M. F.), i direttori di gara (L. e B.), i funzionari di polizia (L.P. e Cr.) – conveniva innanzi al Tribunale di Perugia tutti costoro, unitamente alla A.S. “Pedale Umbro” e al Ministero dell’Interno per sentirli condannare al risarcimento dei danni a qualunque titolo subiti nell’incidente.

Mentre era ancora in corso il giudizio civile di primo grado interveniva sentenza del Tribunale di Viterbo in data 14.03.2002 che, assolti gli altri imputati, condannava C.P. per il reato di lesioni colpose e al pagamento di una provvisionale di Euro 150.000,00 in favore della parte civile; seguiva sentenza della Corte di appello di Roma del 21.11.2003 che, dichiarato prescritto il reato, confermava le statuizioni civili della sentenza di primo grado.

In esito a tali pronunce il Pa. con citazione notificata il 24.12.2004 conveniva innanzi al Tribunale di Perugia anche **** unitamente al Ministero dell’Interno per sentirli condannare al risarcimento dei danni, nella misura di Euro 2.000.000,00 oltre la provvisionale.

Le due cause erano riunite e decise nel contraddittorio anche della U.M.S. Generali *************, terza chiamata in garanzia, con sentenza in data 16.12.2006 con la quale il Tribunale di Perugia accoglieva la domanda nei confronti di C.P. e del Ministero dell’Interno e, accertata l’esclusiva responsabilità del primo, li condannava in solido al pagamento della somma di Euro 1.921,869,74, comprensiva di danno patrimoniale e non patrimoniale, oltre rivalutazione e interessi, sulla minor somma di Euro 264.989,74.

La decisione, gravata da impugnazione principale del Ministero e incidentale del C. e del Pa., era riformata dalla Corte di appello di Perugia, la quale con sentenza in data 03.12.2009 – per quanto ancora interessa in questa sede – in parziale accoglimento dell’appello proposto dal Ministero dell’Interno e da **** e, respinto l’appello incidentale di Pa.Lu., riconosceva nell’evento la corresponsabilità del Pa. nella misura del 15% e, riliquidato il complessivo danno da questi subito, condannava i suddetti appellanti, in solido, a rifondere al Pa. i danni subiti che determinava in Euro 446,478, 26 per danni patrimoniali e in Euro 877.098,00 per danni non patrimoniali, oltre interessi e rivalutazione come in motivazione.

Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’Interno e **** svolgendo due motivi.

Ha resistito Pa.Lu., depositando controricorso e svolgendo, a sua volta, ricorso incidentale condizionato, affidato ad unico motivo.

Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli altri intimati.

Motivi della decisione

1. Il ricorso principale attiene alla determinazione quantitativa del risarcimento, mentre quello incidentale riguarda la questione logicamente prioritaria della determinazione del sia pur limitato concorso della vittima; sennonchè, trattandosi di ricorso condizionato, va anteposto l’esame del ricorso principale, in quanto solo al verificarsi della condizione della fondatezza del ricorso principale, diventa attuale l’interesse alla decisione su quello incidentale.

1.1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 cod. civ. in relazione all’art. 32 Cost. (art. 360 c.p.c., n. 3) Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello abbia confermato il criterio seguito dal primo Giudice per la liquidazione del danno biologico permanente, prendendo in considerazione l’età del danneggiato al momento del sinistro ((omissis)) anzichè al momento della cessazione dell’inabilità temporanea ((omissis)). Secondo parte ricorrente ciò comporterebbe una duplicazione risarcitoria per il medesimo periodo (dall’incidente sino al (omissis)), rifondendo al danneggiato il medesimo danno, per il medesimo periodo, sia come danno biologico temporaneo che come danno biologico permanente.

1.2. La censura – che, contrariamente a quanto sembra supporre parte resistente, non pone in discussione la congiunta risarcibilità del danno biologico da permanente e da temporanea, quanto piuttosto la loro cumulabilità con riferimento allo stesso periodo temporale – è fondata.

Invero l’argomentazione, svolta nell’impugnata sentenza a sostegno del rigetto dell’analogo motivo di appello – secondo cui “il danno in considerazione si è verificato, nella sua componente di percentuale di invalidità permanente, fin dal momento dell’accadimento del fatto” (pag. 42 della sentenza) – contrasta con i principi medico – legali, secondo cui a qualsiasi lesione dell’integrità psico-fisica consegue sempre un periodo di invalidità temporanea, cui può seguire un’invalidità permanente, risultando, questa, esclusa in due casi: e cioè quando, decorso il periodo di malattia, la persona risulti completamente guarita, non essendo residuati postumi oppure quando la malattia abbia esito letale. In sostanza, se un significato utile vuole darsi all’argomento svolto dalla Corte di appello, questo può essere solo che “fin dall’accadimento del fatto” era prevedibile, attesa la gravità delle lesioni, che il Pa. avrebbe riportato postumi permanenti; ciononostante il rilievo non giustifica affatto la liquidazione del danno biologico da permanente con riferimento alla data dell’evento, dal momento che l’inabilità permanente postula che la malattia sia cessata e che i postumi si siano stabilizzati e, cioè, che l’organismo abbia riacquistato un equilibrio, per quanto alterato, stabile.

Va quindi riaffermato il principio – da cui si è discostata la decisione impugnata – secondo cui in tema di danno biologico, la cui liquidazione deve tenere conto della lesione dell’integrità psicofisica del soggetto sotto il duplice aspetto dell’invalidità temporanea e di quella permanente, quest’ultima è suscettibile di valutazione soltanto dal momento in cui, dopo il decorso e la cessazione della malattia, l’individuo non abbia riacquistato la sua completa validità con relativa stabilizzazione dei postumi. Ne consegue che il danno biologico di natura permanente deve essere determinato soltanto dalla cessazione di quello temporaneo, giacchè altrimenti la contemporanea liquidazione di entrambe le componenti comporterebbe la duplicazione dello stesso danno (Cass. 25 febbraio 2004, n. 3806).

Il motivo di ricorso va, dunque, accolto.

2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 329 e 346 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Al riguardo parte ricorrente si duole che la Corte di appello abbia riconosciuto sulla somma di Euro 877.098,00, liquidata a titolo di danno non patrimoniale, gli interessi legali da calcolarsi sulla somma devalutata all’epoca del sinistro e rivalutata anno per anno secondo indici ISTAT; osserva che la sentenza di primo grado aveva riconosciuto, per lo stesso titolo, al Pa. la somma di Euro 1.031.880,00 alla data della sentenza, espressamente senza aggiunta di rivalutazione e interessi; rileva, dunque, che – non avendo il Pa., nell’appello incidentale, censurato la decisione di prime cure sul punto del mancato riconoscimento degli interessi il giudice di appello non avrebbe potuto riformare la decisione impugnata, riconoscendo anche gli interessi a far data dal sinistro.

2.1. Il motivo è manifestamente infondato.

Innanzitutto l’assunto, su cui si basa il motivo di ricorso – e cioè che non vi sia stata alcuna istanza o censura nell’appello incidentale del Pa. sul punto della liquidazione degli accessori – è smentito dalle conclusioni, riportate nell’epigrafe della sentenza impugnata, da cui risulta che l’appellante incidentale aveva richiesto “di rivalutare in positivo”, tra l’altro, la determinazione quantitativa del danno non patrimoniale e di condannare gli odierni resistenti, anche in solido con gli altri originari convenuti, “al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti e subendi dall’attore nella misura che, anche in accoglimento dell’appello incidentale, di cui ai precedenti punti risulterà dovuto, sempre con gli interessi e la rivalutazione”, in tal modo espressamente sollecitando il riesame sulla liquidazione del complessivo contenuto del danno, ivi incluso quello da lucro cessante.

Non appare superfluo aggiungere che – secondo principio acquisito nella giurisprudenza di questa Corte – in tema di risarcimento del danno, dovendo la liquidazione essere effettuata in valori monetari attuali, non è necessaria l’espressa richiesta da parte dell’interessato degli interessi legali sulle somme rivalutate, la quale deve ritenersi compresa nella domanda di integrale risarcimento inizialmente proposta e se avanzata per la prima volta in appello non comporta una violazione dell’art. 345 c.p.c., atteso che nei debiti di valore il riconoscimento degli interessi c.d. compensativi costituisce una modalità liquidatoria del possibile danno da lucro cessante, cui è consentito al giudice di far ricorso con il limite dell’impossibilità di calcolarli sulle somme integralmente rivalutate alla data dell’illecito, e che l’esplicita richiesta deve intendersi esclusivamente riferita al valore monetario attuale ed all’indennizzo del lucro cessante per la ritardata percezione dell’equivalente in denaro del danno patito (Cass. 28 aprile 2010, n. 10193).

Il motivo va, dunque, rigettato.

3. L’accoglimento del primo motivo di ricorso principale realizza la condizione cui è subordinato il ricorso incidentale, imponendone l’esame.

3.1. Con l’unico e articolato motivo di ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 651 cod. proc. pen. (art. 360 c.p.c., n. 3) e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5).

3.1.1. Il motivo riguarda il punto della decisione impugnata, con il quale il giudice di appello, premessa l’esposizione dell’iter della vicenda penale – e segnatamente richiamate la sentenza del Tribunale di Viterbo in data 14.01.2002, di accertamento la responsabilità penale del C. a titolo di colpa, con contestuale condanna generica al risarcimento del danno e al pagamento della provvisionale in favore del Pa.; nonchè la sentenza della Corte di appello di Roma in data 21.11.2003 di non doversi procedere per intervenuta prescrizione, nei confronti del predetto C. con contestuale conferma delle statuizioni civili – ha evidenziato, da un lato, che la sentenza di proscioglimento non può avere efficacia di giudicato nè a favore, nè contro l’imputato e, dall’altro, che tale principio va coordinato in funzione dell’esistenza o meno della questione risarcitoria nel giudizio penale. In particolare la Corte territoriale ha rilevato – con specifico riferimento alla questione dell’ incidenza causale dell’eventuale condotta colposa del danneggiato – che “l’apoditticità della condanna alla provvisionale, emessa senza alcun approfondimento della questione civilistica” (cfr. pag. 19 della sentenza), nonchè la mancata partecipazione del Ministero al giudizio penale imponevano di rivalutare interamente e liberamente i fatti così come accertati anche in sede penale, avvalendosi degli elementi raccolti in quella sede e ritualmente acquisiti al presente processo.

In tale valutazione sono risultati determinanti: gli elementi raccolti nel giudizio penale nei confronti del C. e altri, in sede civile, nel primo grado del presente giudizio e sempre in sede penale nel giudizio innanzi al Pretore di Viterbo a carico di F.L.M. (conducente dell’autovettura, assolto) “nel quale il Pa. si costituì parte civile” (pag. 24 della sentenza) e segnatamente, quanto a quest’ultimo procedimento, gli elementi emergenti dalle dichiarazioni rese dal perito prof. G. in ordine all’individuazione del punto di impatto – derivandone, da un lato, la conferma della colpa del C. e dell’efficienza causale della relativa condotta nella produzione dell’evento e, dall’altro, l’affermazione di un pur limitato concorso della vittima, in ragione del 15%.

3.1.2. Al riguardo parte ricorrente deduce che la decisione impugnata si pone in parte qua in aperta violazione dell’art. 651 c.p.p., stante l’accertamento con sentenza del Tribunale di Viterbo della penale responsabilità del C., per violazione delle norme del codice della strada, per violazione di norme generiche di prudenza, per la prevedibilità dell’evento; la stessa decisione sarebbe altresì contraddittoria, perchè pur riconoscendo l’indubbia responsabilità del C., non avrebbe valorizzato gli elementi probatori che deponevano per un repentino cambio di corsia da parte del motociclista (costringendo il ciclista a spostarsi verso la corsia opposta) e, per converso, avrebbe riconosciuto efficacia probatoria alle dichiarazioni inopponibili nell’ambito del presente giudizio – rese dal perito prof. G..

3.2. Il motivo è infondato, sotto il profilo della violazione di legge e inammissibile, sotto quello del vizio motivazionale e va, dunque, rigettato.

Sotto il primo profilo le deduzioni del ricorrente incidentale ignorano un duplice passaggio argomentativo della decisione impugnata, laddove si evidenzia sia l’avvenuta riforma delle sentenza penale di condanna del C., per essere stato in appello il reato dichiarato estinto per prescrizione, sia la limitata valenza della contestuale declaratoria di responsabilità civile, avuto riguardo all’estraneità del Ministero al giudizio penale e all’apoditticità della conferma della condanna del C. al pagamento della provvisionale.

Ciò posto, è fuori luogo il richiamo all’art. 651 c.p.p., dovendosi, altresì, escludere qualsiasi efficacia extrapenale alla sentenza di proscioglimento. A tal riguardo le SS.UU. – nel ribadire il principio secondo cui la disposizione di cui all’art. 652 c.p.p. (così come quelle degli artt. 651, 653 e 654 c.p.p.) costituisce un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile sancito dal codice del 1988, in quanto tale soggetta ad un’interpretazione restrittiva – hanno affermato che, nel rapporto tra giudizio penale e giudizio civile per il risarcimento e le restituzioni, non può estendersi l’efficacia extrapenale della sentenza assolutoria pronunciata in seguito a dibattimento ex art. 652 cod. proc. pen. (cosi come quelle degli artt. 651, 653 e 654 c.p.p.) alle sentenze, pur irrevocabili, di non doversi procedere perchè il reato si è estinto per prescrizione o amnistia e ciò anche allorquando il giudice penale abbia accertato e valutato il fatto nella sua materialità (SS.UU. 2 6 gennaio 2011, n. 1768). Invero la limitazione dell’efficacia di giudicato nei giudizi di danno alle sole sentenze di condanna o di assoluzione, contro l’imputato o a favore dell’imputato, nei limiti specificati dagli artt. 651 e 652 c.p.p., e non anche alle sentenze di non luogo a procedere, per i fatti accertati ai fini della decisione, è una conseguenza della natura e della struttura delle sentenze di non luogo a procedere, che non contengono una decisione di merito positiva o negativa della responsabilità, ma solo di improcedibilità o di arresto della pretesa punitiva.

E ben vero che, nella specie, con la sentenza di proscioglimento vi è stata anche la conferma della condanna generica del C. al risarcimento del danno in favore del Pa.; e tuttavia – ferma l’incontestabilità (nei confronti dello stesso C.) della statuizione di condanna, estesa anche all’esistenza del pregiudizio risarcibile, avuto riguardo alla conferma della provvisionale – l’autonomia valutativa del giudice civile sul punto di concorso di colpa del danneggiato si giustifica, prima ancora che per la mancata partecipazione del Ministero al giudizio penale, in considerazione del rilevato mancato approfondimento della problematica, attesa la conferma della responsabilità civile del C. “indipendentemente da un ipotetico concorso di colpa” del ciclista (cfr. pag. 17 della sentenza impugnata) e considerata, altresì, qualche carenza motivazionale anche della sentenza di condanna emessa in primo grado dal Tribunale di Viterbo (cfr. pag. 22).

Invero costituisce ius reception nella giurisprudenza di questa Corte che la questione relativa ad un eventuale concorso di colpa del danneggiato, non risolta con effetto di giudicato nella sede penale, deve essere affrontata nel giudizio civile per il risarcimento del danno, posto che, in materia di condanna generica al risarcimento del danno, la serie causale inizia ma non si esaurisce con il fatto o il comportamento potenzialmente dannoso del debitore; essa si svolge, invece, in quel seguito d’accadimenti da accertare nel giudizio di liquidazione, che fanno assurgere quella potenzialità astratta ad attualità concreta, secondo le modalità e la misura da determinarsi caso per caso. Ne consegue che il giudicato di condanna generica del debitore non preclude nel successivo giudizio di liquidazione l’eccezione di concorso di colpa del creditore ed il relativo accertamento (Cass. 16 dicembre 2005, n. 27723).

3.3. Negata, per le suddette ragioni, l’estensibilità del giudicato penale all’accertamento della colpa esclusiva dell’imputato, non è censurabile neppure l’accertamento delle concrete modalità del fatto, sulla scorta (anche) degli atti del procedimento penale nei confronti dell’automobilista, posto che – per quanto si legge nella sentenza impugnata – il Pa. era costituito parte civile in quel procedimento.

Per il resto il motivo di ricorso incidentale, pur denunciando, apparentemente, un vizio di motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con i limiti del giudizio di legittimità) sollecita una nuova valutazione degli elementi di prova e delle risultanze fattuali (come definitivamente accertate in sede di merito) ad opera di questa Corte, onde trasformare surrettiziamente il giudizio di Cassazione in un terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella risultanza procedimentale, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate.

Si rammenta che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia, e non può invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perchè la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, all’uopo, valutarne le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436).

Nella fattispecie il tessuto motivazionale della sentenza censurata non presenta evidenti aporie di ragionamento che, sole, possono indurre a ritenere sussistente il vizio di assenza, contraddittorietà o illogicità di motivazione; nè le deduzioni dei ricorrenti rivelano alcun contrasto disarticolante tra le emergenze processuali e il ragionamento seguito.

Il motivo va, dunque, rigettato.

4. In definitiva va accolto il primo motivo di ricorso principale, rigettato il secondo; va altresì rigettato il ricorso incidentale;

la sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Perugia in diversa composizione, perchè provveda alla rideterminazione quantitativa del danno da inabilità permanente, facendo applicazione del principio sub 1.2. e decida anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, decidendo sui ricorsi riuniti, accoglie il primo motivo di ricorso principale; rigetta il secondo, nonchè il ricorso incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata in relazione e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte di appello di Perugia in diversa composizione.

Redazione