Interesse della parte civile ad impugnare la declaratoria di improcedibilità per mancanza di querela (Cass. pen. n. 35599/2012)

Redazione 17/09/12
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Ritenuto in fatto

1. Il Giudice di Pace di Benevento dichiarava non doversi procedere nei confronti di Di. Ma. ***** e Pa. F., imputate del reato di cui all’art. 595 cod. pen. per difetto di valida querela.
La parte civile Gi. E. appellava la sentenza di proscioglimento.
Il Tribunale di Benevento, quale giudice di appello, con ordinanza in data 24 gennaio 2011, dichiarava l’impugnazione inammissibile per carenza di interesse, sulla considerazione che la sentenza di non doversi procedere per mancanza di querela aveva natura esclusivamente penale, non era modificabile in assenza di impugnazione del Pubblico Ministero, non era suscettibile di effetti pregiudizievoli nell’ambito dell’eventuale successivo giudizio civile.
2. Il Gi. proponeva ricorso per cassazione facendo valere due motivi fondati sulla denuncia di violazione di legge in relazione agli artt. 591 e 605 cod. proc. pen..
Rilevava che l’ordinanza che aveva definito il grado di appello si palesava contraria alla disciplina processuale ed agli orientamenti giurisprudenziali. Difatti, la parte civile, dopo la legge 20 febbraio 2006, n. 46 che aveva abrogato l’art. 577 cod. proc. pen., pur non potendo proporre impugnazione agli effetti penali contro le sentenze nei procedimenti relativi ai reati di ingiuria e diffamazione, rimaneva portatrice della pretesa risarcitoria o restitutoria ex delicto e non aveva perso la facoltà di presentare appello nel giudizio penale.
Inoltre, evidenziava la sussistenza di vizio di forma, idoneo ad inficiare la legittimità della decisione di appello, consistente nella non corretta utilizzazione della forma dell’ordinanza per emettere il provvedimento conclusivo del processo di secondo grado.
3. Il ricorso veniva assegnato alla Quinta Sezione penale e trattato all’udienza del 4 aprile 2012.
4. La Quinta Sezione rilevava la sussistenza di un contrasto di giurisprudenza sulla questione concernente la ricorrenza o meno dell’interesse della parte civile a proporre ricorso avverso la declaratoria di improcedibilità per difetto di querela.
Secondo un primo orientamento, più risalente nel tempo, si riteneva inammissibile per difetto di interesse il ricorso per cassazione avanzato dalla parte civile allo scopo di rimuovere una pronuncia di improcedibilità per mancanza di querela, in quanto tale pronuncia, non coinvolgendo il merito dei rapporti patrimoniali tra le parti, non impediva al giudice civile di conoscere senza vincoli le conseguenze dannose derivanti dal fatto. Inoltre, la decisione oggetto del gravame, di carattere esclusivamente penale, non era modificabile senza l’impugnazione del P.M., né conteneva alcuna statuizione sull’azione civile.
Secondo altro orientamento più recente, si riteneva configurabile l’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di improcedibilità per mancanza di querela, atteso che la scelta di coltivare l’azione civile nel processo penale, spettante al danneggiato dal reato, rappresentava una determinazione che trovava tutela e riconoscimento nel vigente ordinamento giuridico, né a tal fine poteva rilevare in senso impeditivo la circostanza che la pronuncia di improcedibilità non fosse vincolante nell’eventuale giudizio civile. Difatti, sussisteva comunque l’interesse del querelante, costituitosi parte civile, a perseguire il proposito di chiedere nel procedimento penale l’affermazione del diritto al risarcimento del danno.
In particolare, Sez. 5, n. 238 del 14/10/2011, dep. 2012, D., aveva sottolineato che l’assenza di preclusione per il giudizio civile assumeva una valenza sottordinata rispetto ai principale interesse della parte civile a vedere affrontate nella sede penale le questioni di merito dalle quali dipendeva l’accoglimento della domanda di risarcimento. Al riguardo, si richiamava la motivazione della pronuncia delle Sezioni Unite n. 40049 del 29/05/2008, Guerra, la quale, in riferimento al caso dell’impugnazione della parte civile contro la decisione con la quale l’imputato era stato prosciolto con la formula “il fatto non costituisce reato”, aveva affermato che «non è sufficiente il fatto che la sentenza di assoluzione non abbia effetto preclusivo dell’azione civile davanti ai giudice civile per escludere automaticamente l’interesse della parte civile ad impugnarla per ottenere una pronuncia diversa e l’affermazione di responsabilità dell’imputato. Infatti, con la sua costituzione di parte civile nel giudizio penale, il danneggiato ha appunto inteso trasferire in sede penale l’azione civile di danno ed ha quindi interesse ad ottenere nel giudizio penale il massimo di quanto può essergli riconosciuto».
5. In considerazione del contrasto giurisprudenziale delineato, la Sezione Quinta rimetteva il ricorso alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen..
6. Con decreto del 17 maggio 2012 il Primo Presidente assegnava il ricorso alle Sezioni Unite fissandone la trattazione all’odierna udienza.

Considerato in diritto

1. La questione di diritto per la quale il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite è la seguente:«se sussista o meno l’interesse della parte civile a proporre impugnazione contro la declaratoria di improcedibilità per mancanza di querela».
2. L’orientamento, indicato come originariamente consolidato della Corte di Cassazione, ribadisce l’avviso analogo espresso dalla Suprema Corte sotto la vigenza del precedente codice di procedura penale del 1930, secondo cui «la parte civile non può ritenersi legittimata ad impugnare la pronuncia di improcedibilità per difetto di querela, che concerne esclusivamente l’azione penale e non incide sull’eventuale diritto al risarcimento dei danni. Non può in nessun caso essere ammesso un ricorso che sia volto a contestare esclusivamente la pronuncia di natura penale e non indichi un interesse di natura civile collegato al suo accoglimento».
La giurisprudenza che ha affrontato la questione dell’interesse della parte civile all’impugnazione sotto il vigore del nuovo codice di procedura penale e che ha riaffermato un avviso contrario alla ricorribilità, ha ulteriormente messo in luce che la decisione di non doversi procedere per difetto di querela non può spiegare effetti pregiudizievoli nell’ambito dell’eventuale giudizio civile. Si veda in tal senso, da ultimo, Sez. 5, n. 36639 del 26/04/2005, Di Sevo, Sez. 5, n. 5373 dell’11/01/2008, *********; Sez. 5, n. 13312 del 08/02/2008, ******; Sez. 4, n. 45498 del 14/10/2008, ********.
Per contro, l’orientamento più recente, favorevole all’impugnabilità della sentenza di proscioglimento in esame, è stato formulato con le decisioni di Sez. 5, n. 36640 del 27/04/2005, ********; Sez. 3, n. 26754 del 23/05/2008, ******; Sez. 2, n. 24824 del 25/02/2009, *********, oltre che con l’ultima già sopra citata della Sez. 5, *******.
3. Le Sezioni Unite ritengono di aderire all’indirizzo già manifestato dalla Corte di Cassazione in sede di applicazione del codice di rito previgente e confermato da parte della successiva giurisprudenza, sia pure tenendo conto di argomentazioni ulteriori.
4. La soluzione della problematica posta dalla Sezione Quinta impone, innanzitutto, l’individuazione dei caratteri qualificanti l’interesse a proporre impugnazione ai sensi dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., ad opera delle parti processuali, e nei caso della parte civile. Detto interesse deve essere apprezzabile non solo in termini di attualità ma anche di concretezza; esso deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste se il gravame sia idoneo a costituire, attraverso l’eliminazione del contesto pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa rispetto a quella determinatasi con la pronuncia giudiziale. D’altro canto, la concretezza dell’interesse è ravvisabile non solo quando l’impugnante, attraverso l’impugnazione, si riprometta di conseguire effetti processuali diretti vantaggiosi, ma anche quando miri ad evitare conseguenze extrapenali pregiudizievoli ovvero ad assicurarsi effetti extrapenali più favorevoli, come quelli che l’ordinamento fa derivare dal giudicato delle sentenze di condanna o di assoluzione dell’imputato nei giudizi di danno (artt. 651, 652 cod. proc. pen.) o in altri giudizi civili o amministrativi (art. 654 cod. proc. pen.). In altre parole, si palesano rilevanti, nei riguardi della parte civile ai fini dell’interesse ad agire, tutte le conseguenze configurabili, anche extrapenali, che possono comunque influire in modo a lei favorevole, nel giudizio di accertamento della responsabilità civile del prevenuto. In conclusione, l’impugnazione, per essere ammissibile, deve tendere all’eliminazione della lesione concreta di un diritto o di un interesse giuridico del proponente l’impugnazione. V. Sez. U, n. 42 del 03/12/1995 dep. 1996, Tampini; Sez. U, n. 40049 del 25/05/2008, Guerra.
5. Sotto altro profilo, vanno esaminati, al fini della configurazione dei caratteri propri della iniziativa della parte civile che interviene nel processo penale per esercitare l’azione civile per le restituzioni ed il risarcimento del danno, i rapporti in generale intercorrenti tra giudizio penale e giudizio civile, nonché le connotazioni del procedimento civile instaurato nel processo penale.
Tanto, appunto, per evidenziare i tratti peculiari dei poteri e comportamenti processuali come regolamentati nei riguardi della parte civile, il che incide anche sui limiti dell’interesse ad agire nel giudizio penale della parte civile stessa.
Al riguardo, va detto che il vigente codice di procedura penale ha adottato in principio la regola, sia pure nell’ambito della riconosciuta unitarietà della giurisdizione, della separazione delle giurisdizioni civile e penale prevedendo solo alcune ipotesi tassative nelle quali il giudicato penale ha efficacia nel giudizio civile su determinati oggetti accertati o soltanto contro determinati soggetti (v. artt. 2, 3, comma 4, 651, 652, 653, 654, cod. proc. pen.).
D’altro canto, va osservato che l’azione civile inserita nel processo penale assume carattere eventuale, accessorio e subordinato rispetto all’azione penale, sicché essa deve subire tutte le conseguenze e gli adattamenti derivanti dalla funzione e struttura del processo penale, cioè le esigenze, di interesse pubblico, connesse all’accertamento dei reati ed alla rapida definizione del processo. In particolare, consegue, da un verso, che l’azione civile mantiene la sua natura e caratteristiche civilistiche; e che, al di fuori di quanto attiene alla natura “civilistica” dell’azione, i poteri ed i comportamenti processuali della parte civile sono disciplinati dal codice di procedura penale. All’uopo, è di rilievo evidenziare che l’esclusione della parte civile dal processo penale, disposta dal giudice (artt. 80, 81 cod. proc. pen.), non è oggetto di impugnazione, al fine di non impedire appunto il sollecito accertamento della contestazione penale formulata nei confronti dell’imputato.
6. Debbono pure sottolinearsi i limiti sussistenti alla cognizione dell’azione civile nel processo penale. vige il principio secondo cui il giudice penale può occuparsi dei capi civili in quanto contestualmente accerti la responsabilità penale dell’autore dell’illecito (v. artt. 538, 578 cod. proc. pen.).
Parimenti, il giudice può statuire sugli interessi civili in sede di impugnazione della sola parte civile avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato ex art. 576 cod. proc. pen.: in tal caso, il giudicante può accertare incidentalmente il fatto reato e la sua attribuibilità all’imputato prosciolto in primo grado, con una nuova valutazione difforme (priva di effetti sul giudicato penale già formatosi). V. Sez. U, n. 25083 del 11/D7/2006, *****.
7. Si aggiunge, nell’ambito delle argomentazioni utili per la definizione della questione demandata alle Sezioni Unite, che la sentenza di non doversi procedere per mancanza di querela ha carattere meramente processuale, non contiene un accertamento mediante prove del fatto storico-reato, si limita a statuire su un aspetto processuale (la non ricorrenza di una condizione di procedibilità) che non consente l’accertamento in fatto, e non è idonea a fondare l’efficacia del giudicato nei processi civili, amministrativi e disciplinari in base agli artt. 652 – 654 cod. proc. pen..
8. Le argomentazioni sopra svolte consentono di affermare che la presenza della parte civile nel processo penale ha la finalità esclusiva di preservare e perseguire la responsabilità civile dell’imputato (con l’eccezione ora dell’impugnazione della parte civile avverso la decisione di non luogo a procedere all’esito dell’udienza preliminare, ai sensi dell’art. 428 cod. proc. pen., che riguarda solo gli effetti penali; nonché dell’ipotesi ex art. 38 del procedimento innanzi al Giudice di pace). La partecipazione di detta parte al giudizio penale in tanto è giustificata ed ammessa processualmente in quanto si riconnetta alla giurisdizione limitata spettante, come detto, al giudice penale sulla domande di risarcimento e restituzione formulate dalla parte civile nei confronti dell’imputato: cognizione che presuppone appunto l’accertamento del fatto reato con effetti diretti ovvero incidentali nei confronti del prevenuto. Ne consegue che l’interesse ad impugnare, ex art. 568, comma 4, cod. proc. pen., ad opera della parte civile di sentenza di rito di non doversi procedere va valutato e configurato in relazione a dette peculiarità proprie dell’azione civile promossa nel giudizio penale.
In tal senso, la decisione processuale in esame non comporta per la parte civile alcun effetto preclusivo di accertamento in sede civile (art. 652 cod. proc. pen.) né pregiudizievole di alcun genere. Detto soggetto neppure ha la possibilità di ottenere, con l’impugnazione, l’affermazione di responsabilità dell’imputato sia pure in riferimento agli effetti civili, in mancanza di impugnazione sul punto del P.M. e comunque di precedente accertamento sul fatto: invero, la cognizione penale si è limitata al riconoscimento della ricorrenza della pregiudiziale di rito.
Diversa, in tema, è la posizione della parte civile che impugna la sentenza di assoluzione dell’imputato con la formula “il fatto non costituisce reato”, statuizione di per sé non preclusiva di azione civile, ma in ordine alla quale l’impugnante ha sicuramente interesse giuridico ad ottenere in sede di appello una statuizione incidentale di responsabilità della controparte con una rinnovata valutazione del fatto reato, in modo difforme rispetto all’accertamento assolutorio dei primo giudice (v. così, la già citata Sez. U, Guerra).
Egualmente, risulta assicurata in sede civile per il danneggiato la risarcibilità totale dei danni patrimoniali ed anche non patrimoniali subiti, dovendo, per quest’ultimi, il giudice civile, nell’applicazione dell’art. 185 cod. pen., accertare in via incidentale se ricorrano o meno gli estremi di un reato al fine appunto della liquidazione dei danni morali (v. cosi, Sez. 3 civ., n. 1947 del 14/05/1977, Sez. 3 civ., n. 15022 del 21/11/2000; Sez. 3 civ., n. 13972 del 30/06/2005).
9. Ulteriormente va sottolineato che, in mancanza di gravame del P.M. della sentenza di proscioglimento per mancanza di querela, l’accertamento circa la sussistenza o meno dell’atto condizionante la procedibilità penale non influisce in alcun modo sulla posizione processuale del danneggiato, nell’esercizio dell’azione intesa ad affermare la responsabilità civile dell’autore dell’illecito e la sua obbligazione di risarcimento del danno procurato. La parte civile non ha alcun interesse a che la querela sia qualificata o meno come sussistente. In tal guisa, l’impugnazione della parte civile di una pronuncia penale meramente processuale si palesa priva di ogni idoneità ad apportare ai proponente effetti di vantaggio o non pregiudizievoli di qualunque genere, non configurandosi alcuna utilità, ai fini dell’azione civilistica intentata, che, in modo concreto e attuale, immediato e diretto, risulti connessa ali’accoglimento dell’impugnazione.
10. Le considerazioni suddette comprovano la non ricorrenza di interesse giuridico dell’istante all’impugnazione in sede di appello ed in sede di legittimità.
11. D’altro canto, prendendo in considerazione l’orientamento giurisprudenziale più recente che ammette l’impugnabilità della sentenza di non doversi procedere, deve ritenersi che la scelta dell’istante di coltivare l’azione civile nel processo penale non può essere giustificata semplicemente da una preferenza di fatto per un certo “iter processuale”. Invero, non è configurabile in principio un diritto ad agire in giudizio secondo un determinato procedimento, salva la previsione normativa di specifiche forme di tutela giurisdizionale, disciplinate dall’ordinamento processuale in relazione al concreto bisogno di tutela delle singole situazioni di diritto sostanziale fatte valere. Il che non appare verificarsi nel caso di specie, essendo il diritto al risarcimento del danno del danneggiato congruamente garantito innanzi al giudice civile, nell’insussistenza delle condizioni (di procedibilità) che consentono l’esercizio dell’azione in sede penale nei confronti del responsabile dell’illecito.
12. Il secondo motivo di ricorso, concernente la forma del provvedimento con il quale il giudice di appello ha dichiarato l’inammissibilità dell’impugnazione della parte civile per carenza di interesse, appare assorbito dalla reiezione della prima censura. Comunque, va detto che il provvedimento assunto, qualificato dal giudice come ordinanza, in sostanza presenta tutti gli elementi configuranti una sentenza emessa a séguito di celebrazione del dibattimento, a conclusione del grado di giudizio svolto secondo le forme di cui agli artt. 601 e segg. cod. proc. pen.. E come tale, esso risulta correttamente emanato. (v. Sez. 1, n. 9283 del 12/07/1995, *******; Sez. 1, n. 11027 del 13/07/1998, ****).
13. Pertanto, deve enunciarsi il seguente principio di diritto: «La parte civile è priva di interesse a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento dell’imputato per l’improcedibilità dell’azione penale dovuta a difetto di querela».
14. Il ricorso della parte civile Gi. E. va, dunque, rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

 

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 21 giugno 2012.

Redazione