Interdittiva antimafia (Cons. Stato n. 1329/2013)

Redazione 05/03/13
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FATTO e DIRITTO

1.Con nota 25 gennaio 2011 n.222 la Stazione Appaltante Unica della Provincia di Caserta comunicava alla ditta S. Carmine, con sede a Casal di Principe( Ce), di averne disposto l’esclusione dalla gara indetta dal Comune di Cesa per lavori di ampliamento di via Madonna dell’Olio a seguito della nota della Prefettura di Caserta 12 gennaio 2011 n. 2, che riferiva al Nucleo Investigativo Interforze della SUAP “ risultano provvedimenti interdittivi antimafia”.

Avverso tali provvedimenti il titolare della ditta, S. Carmine, proponeva ricorso al TAR Campania, chiedendone l’annullamento; con primo atto di motivi aggiunti, poi, impugnava anche gli atti trasmessi dalla Prefettura di Caserta con nota 4 aprile 2011 in adempimento di richiesta istruttoria del TAR ed altre note del Comando CC di Caserta 2 ottobre 2010 e 3 febbraio 2006 e con secondo atto di motivi aggiunti chiedeva l’annullamento della relazione trasmessa dalla Prefettura di Caserta all’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Napoli il 7 giugno 2011.

Con sentenza 7 novembre2011 n.5166 il Tar Campania ha respinto il ricorso in toto, spese compensate .

1.1.Avverso la sentenza ha proposto appello il sig. S. Carmine, chiedendone la riforma con cinque articolati motivi con i quali deduceva sotto diversi profili l’illegittimità degli atti impugnati per violazione dell’obbligo di motivazione, travisamento dei fatti, difetto di istruttoria e violazione del DPR n. 252/1998, art 10, comma 8, e degli artt. 24 e 97 Cost.

Ad avviso dell’appellante la Prefettura, da un lato, non aveva considerato che dal 2006, epoca della precedente interdittiva, “ non erano stati effettuati dei controlli di polizia effettivamente rilevanti ai fini della permanenza degli effetti della misura interdittiva”, mentre, dall’altro, non aveva valutato il materiale probatorio presentato dal sig. S. a dimostrazione della insussistenza del pericolo di infiltrazione mafiosa per la propria ditta .

1.2.Si costituivano in giudizio il Ministero dell’Interno e la Prefettura di Caserta, che con puntuali controdeduzioni hanno chiesto il rigetto dell’appello, rilevando che si era in presenza di una serie di circostanze ampiamente sintomatiche del pericolo di infiltrazione mafiosa nella ditta in questione e che la sentenza era ampiamente motivata in ordine all’apprezzamento del quadro fattuale complessivo .

Con memoria difensiva depositata il 12 aprile 2012 ( con il consenso dell’Avvocatura Generale per il deposito tardivo) l’appellante ha contro dedotto alle argomentazioni svolte dalla Avvocatura Generale nella memoria del marzo 2012.

Alla pubblica udienza del 13 aprile 2012, uditi i difensori presenti per le parti, la causa è passata in decisione.

2. In diritto la controversia concerne la dedotta carenza di un quadro fattuale idoneo a configurare il persistente pericolo di infiltrazione mafiosa nella ditta di lavori stradali di cui è titolare l’appellante .

Le censure mosse avverso la sentenza TAR non appaiono condivisibili .

In primo luogo nel caso di specie la Prefettura di Caserta non ha omesso di valutare, a favore dell’appellante, la circostanza che i controlli di Polizia, effettuati dal 2006 in poi, non avevano dato esiti utili alla conferma della pregressa misura interdittiva.

In realtà, infatti, dalla nota del Comando Provinciale di Caserta dei CC 2 ottobre 2010 emerge che il signor S. , residente a Casal di Principe, il 25 settembre 2008, nel corso di un’operazione di periodico controllo sul territorio, fu identificato mentre si intratteneva in un bar a Casal di Principe con ***************, sorvegliato speciale di P.S. ,con obbligo di soggiorno , colpito da provvedimento di contrasto alla criminalità mafiosa ai sensi della legge n. 356/1992, art 12 quinquies, e noto alle Forze dell’Ordine come appartenente al gruppo camorristico dei c.d. Casalesi.

Tale episodio dalla Prefettura di Caserta veniva ritenuto circostanza sufficiente a confermare la permanenza del pericolo di infiltrazioni mafiose tendenti a condizionare gli indirizzi della ditta S., poiché in effetti già la precedente interdittiva antimafia del febbraio 2006 trovava fondamento nel fatto che S. Carmine ha rapporti di parentela stretta e frequentazioni ( riscontrate a partire dal 2002) con soggetti pregiudicati, gravati da precedenti penali e di polizia per reati di grande allarme sociale quali associazione a delinquere di stampo mafioso, ricettazione ed inquinamento ambientale ( situazioni analiticamente illustrate all’epoca nella nota trasmessa alla suddetta Prefettura dal Comando provinciale CC di Caserta del 3 febbraio 2006).

2.1. D’altra parte la circostanza che alcuni familiari dell’appellante (come il padre ed il fratello ********) oppure parenti stretti ( come lo zio Eliseo ed il cugino ******** ) risultino pregiudicati per reati gravi contro il patrimonio o contro la salubrità dell’ambiente, oltre che per reati di tipo associativo, rappresenta una situazione costante ed invariabile di pericolo di infiltrazione mafiosa nelle scelte imprenditoriali dell’appellante, che non richiede molti ulteriori elementi cognitivi per condurre alla conclusione che , nonostante il passare degli anni, la interdittiva prefettizia già adottata a carico di S. Carmine nel 2006 merita conferma.

Né sull’appellante ricade la “colpa per ragioni di localizzazione geografica” (appello pag 14) : appare, infatti, evidente che lo svolgimento di una attività imprenditoriale in contesti socio-economici devastati dalla criminalità organizzata e l’esistenza di rapporti di parentela con pregiudicati comportano, inevitabilmente, controlli incisivi e valutazioni severe, corrispondenti alla necessità di porre in atto misure preventive idonee ad assicurare un tutela avanzata nei confronti del pericolo immanente di infiltrazione della criminalità organizzata nelle attività imprenditoriali ; il fatto stesso che in un centro abitato di appena 20.000 abitanti nell’area casertana sia inevitabile l’intreccio delle relazioni personali con persone di ogni genere , specularmente, richiede, per il preminente fine di tutela della legalità, che le forze dell’ordine utilizzino tecniche investigative idonee a decifrare i sintomi del rischio di infiltrazione anche quando sono dissimulati nel contesto di ordinari ( e quindi apparentemente irrilevanti) rapporti di parentela e di vicinato.

Peraltro, pur se il verbale dell’operazione di controllo dei CC sul territorio in data 25 settembre 2008 a Casal di Principe non risulta trasmesso al TAR in sede istruttoria, tuttavia il Comando CC di Caserta ne da puntuali indicazioni nella nota trasmessa alla Prefettura di Caserta il 2 ottobre 2010, quanto a luogo ( bar affollato) , data e modalità ( compagnia), mentre l’appellante si limita a contestare (non la sua presenza al bar ) la sola circostanza di essere stato trovato in compagnia del pregiudicato in questione; affermazione che –comunque- non è in grado di suffragare con alcun riscontro probatorio.

2.2.Inoltre, alla esposta valutazione degli specifici aspetti della vicenda, va aggiunto che in via di principio ( per giurisprudenza costante) l’interdittiva antimafia, essendo espressione della logica di anticipazione della difesa sociale, non richiede “un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, potendo l’interdittiva fondarsi su fatti e vicende aventi un valore sintomatico ed indiziario e con l’ausilio di indagini che possono risalire anche ad eventi verificatisi a distanza di tempo” ( ex multis Cd S, III, 23 febbraio 2012 n. 1068) ; inoltre” gli elementi raccolti non vanno considerati separatamente, dovendosi piuttosto stabilire se sia configurabile un quadro indiziario complessivo dal quale possa ritenersi attendibile l’esistenza di un condizionamento da parte della criminalità organizzata”( C d S n.1068/2012 citata).

Pertanto, alla luce delle suddette argomentazioni, le censure di difetto di motivazione e di istruttoria, nonché di violazione del principio di proporzionalità e della stessa normativa in tema di esercizio del potere di interdittiva di cui al DPR n. 252/1998, art. 10, comma 8, non sono condivisibili; analoghe considerazioni vanno fatte per la pretesa violazione dei principi costituzionali di eguaglianza e di libertà imprenditoriale, di cui agli artt. 3 e 41 e neanche degli artt. 2, 24, 27 e 97 Cost., dedotta nell’ambito del quarto motivo di appello.

2.3.Né tanto meno le illustrate conclusioni sono in contrasto con le regole di giudizio desumibili dai precedenti invocati dal’appellante secondo i quali “occasionali incontri in luoghi pubblici o nelle adiacenze di essi, in un centro urbano di limitate dimensioni…..non travalicano la soglia dell’elemento di sospetto” (C d S , VI, n. 2441/2010) così come ( C d S, VI, n. 6193/2009) “ non può darsi rilievo a fattispecie fondate sul mero sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale”: infatti, nel caso all’esame, i segnalati incontri dell’appellante con soggetti pregiudicati ( pur se registrati con cadenza solo annuale) vanno valutati – come si è detto- alla luce del contesto socio familiare dell’imprenditore stesso nel quale ( a differenza almeno del secondo dei precedenti invocati dall’appellante) sono presenti soggetti pregiudicati per alcune tipologie di reati tipiche dell’attività della criminalità organizzata, nonché un collaboratore di giustizia ( S. Carmine, 1943, cugino dell’appellante) .

Da tale circostanza consegue che, con valutazione plausibile della Prefettura di Caserta, i controlli nei quali è stato coinvolto l’appellante, anziché dar luogo a semplici sospetti, sono stati ritenuti sufficienti a confermare che ( anche in epoca successiva alla interdittiva del 2006) il titolare della ditta ( settore lavori stradali ) vive ed opera in un ambiente familiare in cui vengono perseguiti interessi anche illegali e che, quindi, la ditta è, con un ragionevole margine di probabilità, esposta di fatto al pericolo di infiltrazione da parte della criminalità organizzata .

Per tali motivi è infondato anche il quinto ed ultimo motivo .

3. In conclusione l’appello va respinto.

Considerato, peraltro, che le caratteristiche complessive della vicenda si sono delineate solo a seguito del deposito in giudizio della documentazione da parte della Prefettura di Caserta, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite anche per questo grado di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma la sentenza di primo grado .

Compensate tra le parti le spese di lite .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 13 aprile 2012

Redazione