Inquadramento dipendenti pubblici: impugnazione provvedimento (Cons. Stato n. 3216/2013)

Redazione 11/06/13
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FATTO

1. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria, Reggio Calabria, con la sentenza n. 219 del 28 marzo 2007, ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’attuale appellante per ottenere il riconoscimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato a far data dal 6 settembre 1976 e l’applicazione delle delibere G.R. n. 5386-87 e n. 382-91.
1.1. Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che era onere dell’interessato impugnare ritualmente e tempestivamente i provvedimenti di assunzione e di inquadramento dei quali egli oggi lamenta, a vario titolo, l’illegittimità.
In specifico, per il TAR, tale principio opera senz’altro per le delibere successive rispetto alle quali il dipendente lamenta l’inesatta ricostruzione dell’anzianità giuridica ed economica.
Infatti, con successiva delibera n. 382-91, l’interessato era stato inquadrato nella 7° qualifica a decorrere dal 1°.1.1985, con attribuzione del relativo trattamento economico: egli avrebbe anche dovuto ritualmente contestare le note del 15 aprile e del 4 maggio 1998 che affermavano l’inapplicabilità dell’istituto economico del “riequilibrio di anzianità” ex art. 49 l.r. 34-84, rigettando una specifica richiesta formulata dall’interessato.
2. Con il gravame in trattazione l’appellante ha contestato la sentenza del TAR riproponendo, in sostanza, le censure formulate nel ricorso di primo grado chiedendone l’accoglimento.
3. All’udienza pubblica del 14 maggio 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.

 

DIRITTO

1. Preliminarmente, ritiene il Collegio:
a) di precisare che la revoca della costituzione dell’Avvocatura generale dello Stato (cfr. atto in data 18 giugno 2008, in cui l’avvocato dello Stato, onde consentire all’avvocatura regionale di costituirsi – circostanza questa che nel prosieguo del processo non si è più verificata – ha dichiarato di revocare il controricorso predisposto in data 18 aprile 2008 e depositato nella segreteria della Sezione il successivo 21 aprile 2008), non può esplicare effetti, in quanto la revoca della costituzione, oltre a non essere contemplata dalle norme del codice di procedura civile e del processo amministrativo, non è prevista dalle disposizioni contenute nelle leggi sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato ( r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611); escluso che possa configurarsi una ipotesi di rinuncia agli atti del giudizio, posto che unico legittimato ad esercitare tale facoltà è colui che ha promosso il giudizio, ovvero l’attore nel processo civile (art. 306, co. 1, c.p.c.) ovvero il ricorrente in quello amministrativo (art. 84, c.p.a.), tale revoca può soltanto essere qualificata come rinuncia al mandato che, tuttavia, in assenza della costituzione di un nuovo difensore, non fa venire meno gli effetti connessi al mandato difensivo medesimo (ex multis, Cassazione civile, sez. III, 18 dicembre 2012, n. 23324);
b) non sono esaminabili i nuovi profili di doglianza illustrati dall’appellante nella memoria difensiva del 25 marzo 2013 in quanto articolati in violazione del divieto dei nova sancito dall’art. 345 c.p.c. ratione temporis applicabile (oggi art. 104 c.p.a.).
2. Nel merito, il Collegio rileva che certamente il ricorrente andava inserito nella fascia funzionale di Istruttore Direttivo, VII livello, dalla data di applicazione prevista dalla precedente L.R. 34/84, non modificata dalla L.R. 14/88; l’inserimento avvenne, infatti, con la delibera n. 382/91, a decorrere dal 1° gennaio 1985; il ricorrente, attuale appellante, ritiene che il medesimo non andava considerato o inserito in ruolo solo a partire da quella data (1°.1.1985), atteso che sussisteva un precedente provvedimento di sua assunzione dal 6.9.1976, giusta delibera n. 4193 del 17 novembre 1981, citato nella stessa delibera n. 382/91, mai applicato.
Per questo motivo l’attuale appellante ha chiesto al TAR di statuire in applicazione della delibera (G.R. n. 4193-81) e con essa in applicazione degli atti in essa richiamati, che avrebbero condotto alla corretta ricostruzione giuridica ed economica della carriera.
In concreto, infatti, nella prospettazione dell’attuale appellante, con la delibera G.R. 382-91 non si è riconosciuta continuità di servizio al dipendente dal 6.9.1976, (come disponeva la delibera G.R. n. 4193-81) bensì lo si è considerato inquadrato con decorrenza 16.2.1987, a seguito di D.P.G.R n. 68-87, poi modificato dal D.P.G.R. 20.4.1989, n. 412.
Inoltre nella prospettazione dell’attuale appellante, nemmeno questi due ultimi provvedimenti sono stati mai applicati nei suoi confronti, né è avvenuta alcuna ricostruzione di carriera e il consequenziale aggiornamento di stipendio, né è stata fatta applicazione di alcuni istituti stipendiali, che pur sarebbero toccati in godimento personale del dipendente.
Stessa sorte, osserva l’attuale appellante, è toccata al D.P.G.R n. 68-87 ed al D.P.G.R. n. 412-89, i quali come la determinazione prevista nella delibera G.R. n. 4193-81, non sono mai stati applicati nei suoi confronti.
Con nota del 14 aprile 1998 il dott. L. G. chiedeva la rettificazione delle predette delibere, con l’applicazione del riequilibrio d’anzianità con i criteri previsti dall’art. 49 L.R. n. 34 del 22 novembre 1984, e non avendo ottenuto un provvedimento favorevole dall’amministrazione, ha adito il TAR svolgendo le seguenti domande:
– riconoscere al ricorrente l’anzianità di servizio ai fini giuridici ed economici sin dalla data di prima assunzione, ovvero dal 6.9.1976;
– ordinare l’applicazione delle delibere G.R. n. 5386-87 e n. 382-91 che prevedevano adeguamenti stipendiali.
Il Collegio osserva, in punto di diritto, che la materia dell’inquadramento nel pubblico impiego si connota per la presenza di atti autoritativi e, quindi, ogni pretesa al riguardo, in quanto radicata su posizioni di interesse legittimo, può essere azionata soltanto mediante tempestiva impugnazione dei provvedimenti che si assumono illegittimamente incidenti su tali posizioni; segue da ciò che il pubblico impiegato, che contesti il proprio inquadramento in una data qualifica o con determinate modalità, temporali, giuridiche o patrimoniali che siano, ha l’onere di impugnare il relativo provvedimento entro il termine perentorio di decadenza, anche quando egli assume che gli spetta un determinato inquadramento (cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 15 febbraio 2013, n. 919).
Infatti, i provvedimenti d’inquadramento giuridico ed economico dei dipendenti pubblici non contrattualizzati, così come i provvedimenti d’inquadramento nel pubblico impiego anteriori alla contrattualizzazione, come nella specie, si configurano come atti provvedimentali tout court, soggetti ai comuni termini decadenziali d’impugnazione: pertanto, in siffatta materia non sono proponibili azioni di accertamento, ma domande di impugnazione degli atti autoritativi che assegnano una qualifica funzionale ed un corrispondente livello retributivo, posto che la posizione del dipendente resta quella di un soggetto titolare di interessi legittimi che devono essere fatti valere nei termini decadenziali previsti dalla legge (cfr: Consiglio di Stato, sez. II, 9 ottobre 2012, n. 1121; sez. V, 2 novembre 2011, n. 5848; sez. V, 28 febbraio 2011, n. 1251; sez. V, 24 settembre 2010, n. 7104).
Pertanto, come esattamente riconosciuto dal TAR, è inammissibile il ricorso, come quello in oggetto, che tende alla richiesta di attribuzione dell’anzianità di servizio ai fini giuridici sin dalla data di prima assunzione in applicazione della Delibera 4193 del 17 novembre 1981 ed alla richiesta di attribuzione di tutti i miglioramenti, gli adeguamenti e le progressioni funzionali ed economiche riconosciute con le delibere G.R. n. 5386-87 e n. 382-91, in assenza della puntuale, rituale e tempestiva impugnazione degli atti di inquadramento che dispongono diversamente rispetto alle pretese fatte valere nell’ambito delle suddette richieste.
3. Conclusivamente, alla luce delle predette argomentazioni, l’appello deve essere respinto, in quanto infondato.
4. Nel contegno della parte resistente il collegio ravvisa, a mente del combinato disposto degli artt. 26, co. 1, c.p.a. e 92, co. 2, c.p.c., eccezionali ragioni per l’integrale compensazione degli onorari e spese di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta),definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 14 maggio 2013

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