INPS, recupero dei crediti contributivi, possibilità di nelle forme ordinarie (Cass. n. 26395/2013)

Redazione 26/11/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza depositata il 10.5.11 la Corte d’appello di Genova rigettava il gravame interposto da M.S. contro la pronuncia del Tribunale di Massa che l’aveva condannata a pagare all’INPS la complessiva somma di Euro 118.708,07 oltre interessi, a titolo di contributi non versati.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre M.S. affidandosi a tre motivi.

L’INPS, in proprio e quale mandataria della S.C.C.I – Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS, resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1 – Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione della L. n. 448 del 1998, art. 13, D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 17, 24, 25, 36 e 37, artt. 2964, 2966 e 2969 c.c., nonchè vizio di motivazione, per avere i giudici di merito statuito che l’eccepita decadenza dell’INPS per tardiva iscrizione dei crediti contributivi nei ruoli esecutivi non esclude il diritto dell’istituto di esigere nelle forme ordinarie il pagamento dei contributi non versati, dovendosi invece ritenere – a dire della ricorrente – che tali crediti possano essere azionati unicamente mediante iscrizione nei ruoli esecutivi nei termini tassativi indicati dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25, norma che – in breve – si riferirebbe ad una decadenza sostanziale.

Con il secondo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., artt. 115 e 416 c.p.c., nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale trascurato che è onere dell’INPS, a fronte della contestazione della ricorrente, provare che le retribuzioni imponibili ex L. n. 389 del 1989, su cui parametrare la contribuzione dovuta sono superiori a quelle che la M. aveva assoggettato a contribuzione.

Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 9, nonchè vizio di motivazione, perchè l’impugnata sentenza ha erroneamente confermato anche il pagamento delle contribuzioni riferite a periodi anteriori al quinquennio a retroagire dalla data (1.6.04) della notifica del verbale di accertamento; per l’effetto, conclude la ricorrente, sono rimasti prescritti i contributi maturati anteriormente al 1.6.99.

2- Preliminarmente è appena il caso di rilevare, quanto ai dedotti vizi di motivazione, che essi – deducendo non già un’illogica o contraddittoria ricostruzione di fatti intesi nella loro accezione storico-fenomenica, ma un asserito vizio dell’argomentazione giuridica – si collocano all’esterno dell’area dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto il vizio di motivazione spendibile mediante ricorso per cassazione concerne solo la motivazione in fatto, atteso che quella in diritto può sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in cassazione (v. art. 384 c.p.c., u.c.), senza che la sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire.

Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata sia corretta ancorchè malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben costruita) la può trasformare in esatta ed il vizio da cui risulterà affetta la pronuncia sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge o falsa od erronea sua applicazione.

3- Ciò premesso, il primo motivo si rivela infondato. In tema di riscossione di contributi previdenziali, l’opposizione avverso la cartella esattoriale di pagamento da luogo ad un giudizio ordinario di cognizione su diritti ed obblighi inerenti al rapporto contributivo, con la conseguenza che l’ente previdenziale convenuto può chiedere, oltre che il rigetto dell’opposizione, anche la condanna dell’opponente al pagamento del credito di cui cartella, senza che ne risulti mutata la domanda (cfr. Cass. 6.11.09 n. 23600; Cass. 20.4.02 n. 5763). Ciò perchè l’iscrizione a ruolo è solo uno dei meccanismi che la legge accorda all’INPS per il recupero dei crediti contributivi, ferma restando – dunque – anche la possibilità che l’istituto agisca nelle forme ordinarie, come correttamente ritenuto dall’impugnata sentenza (su tale alternativa, per l’analoga posizione dell’INAIL, v. anche Cass. 6.8.12 n. 14149).

D’altronde, come questa S.C. ha altresì statuito (v. Cass. n. 13982/07), la cartella esattoriale costituisce non un atto amministrativo, ma un atto della procedura di riscossione del credito (i cui motivi sono già stati indicati e la cui liquidazione è già stata effettuata nei verbali di accertamento redatti dagli ispettori e notificati alle parti). E se all’esito del giudizio di opposizione il credito contributivo viene accertato in misura inferiore a quella azionata dall’istituto, il giudice deve non già accogliere sic et simpliciter l’opposizione, ma condannare l’opponente a pagare la minor somma.

Coerentemente, va ribadito che un eventuale vizio formale della cartella o il mancato rispetto del termine decadenziale previsto ai fini dell’iscrizione a ruolo comporta soltanto l’impossibilità, per l’istituto, di avvalersi del titolo esecutivo, ma non lo fa decadere dal diritto di chiedere l’accertamento in sede giudiziaria dell’esistenza e dell’ammontare del proprio credito.

In breve, quella di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 25 cit., è una decadenza processuale e non sostanziale. Ciò è altresì confermato:

a) dal tenore testuale della norma, che parla di decadenza dall’iscrizione a ruolo del credito e non di decadenza dal diritto di credito o dalla possibilità di azionarlo nelle forme ordinarie;

b) dall’impossibilità di estendere in via analogica una decadenza dal piano processuale anche a quello sostanziale (per principio generale le norme in tema di decadenza sono di stretta interpretazione: cfr., ad esempio, Cass. 25.5.12 n. 8350);

c) dalla non conformità all’art. 24 Cost., di un’opzione interpretativa che negasse all’istituto la possibilità di agire in giudizio nelle forme ordinarie;

d) dalla rado, evincibile anche dai lavori preparatori, dell’introduzione del meccanismo di riscossione coattiva dei crediti previdenziali a mezzo iscrizione a ruolo, intesa a fornire all’ente un più agile strumento di realizzazione dei crediti (il che la Corte cost. ha ritenuto costituzionalmente legittimo: v. ordinanza n. 111/07), non già a renderne più difficoltosa l’esazione imponendo brevi termini di decadenza;

e) dal rilievo che la scissione fra titolarità del credito previdenziale e titolarità della relativa azione esecutiva (quest’ultima in capo all’agente della riscossione) mal si concilierebbe con un’ipotesi di decadenza sostanziale.

4 – Il secondo motivo è, per un aspetto, inammissibile perchè generico, in quanto non investe specificamente uno dei passaggi argomentativi utilizzati dall’impugnata sentenza, là dove essa ha evidenziato che riguardo al dipendente P. le differenze sui contributi derivavano dal fatto che nel suo caso non potevano riconoscersi i benefici previsti per l’apprendistato, essendo stato stipulato il relativo contratto quando il rapporto lavorativo era già in corso.

Invero, per costante insegnamento giurisprudenziale di questa S.C. la parte soccombente non può limitarsi, a fronte di un’analitica motivazione di rigetto contenuta nella gravata pronuncia, a riproporre sic et simpliciter le domande, le eccezioni o le difese respinte o ad allegare genericamente l’erroneità della decisione impugnata o, ancora, a rifarsi alle difese già svolte nel precedente grado di giudizio, ma ha l’onere di confutare con specifiche e concrete argomentazioni tutte le ragioni svolte dal primo giudice, al fine di incrinarne il fondamento logico-giuridico, precisando in qual modo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione in cui si assume essere incorsa la pronuncia di merito (cfr., ex aliis, Cass. Sez. 2^ 19.11.04 n. 21896; Cass. Sez. 3^ 23.7.04 n. 13830; Cass. Sez. 2^ 16.4.99 n. 3805).

In altre parole, il ricorso deve necessariamente investire tutte le rationes decidendi adottate dall’impugnata sentenza.

Valga in proposito il noto principio secondo cui, ove venga impugnata una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura. Diversamente, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza (giurisprudenza costante: v. Cass. 25.2.13 n. 4672; cfr. altresì, ex aliis, Cass. 3.11.11 n. 22753 e Cass. S.U. 8.8.2005 n. 16602).

Sotto altro profilo il motivo è, poi, carente di interesse perchè (anche a prescindere dalla tardività o meno dell’eccezione avanzata in appello) la ricorrente non nega l’applicabilità del CCNL (autorimesse e noleggio / lavaggio automatico e non automatico, visto il settore merceologico di riferimento) utilizzato dall’INPS per individuare l’imponibile contributivo.

Ove mai, poi, il senso della doglianza fosse quello di censurare comunque un errato calcolo dell’imponibile rispetto a quanto conteggiato dalla ricorrente, è appena il caso di notare che si tratterebbe pur sempre di censura in punto di fatto, in quanto tale non prospettabile in sede di legittimità.

5 – Il terzo motivo è fondato, come sostanzialmente riconosciuto dallo stesso istituto controricorrente.

La rilevabilità d’ufficio della prescrizione dei crediti contributivi presuppone soltanto che i fatti da cui desumerla siano stati allegati dalle parti: nel caso di specie non v’è dubbio che essi lo siano stati, visto il verbale d’accertamento per cui è causa (notificato il 1.6.04 per crediti contributivi risalenti anche al 1998-99) e la mancanza di precedenti atti di interruzione della prescrizione da parte dell’INPS. 6 – In conclusione, vanno rigettati i primi due motivi di ricorso ed accolto il terzo, con conseguente cassazione della sentenza in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte rigetta i primi due motivi di ricorso, accoglie il terzo e cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Genova in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2013.

Redazione