Inps: ammonta a dieci anni il tempo massimo di prescrizione per il recupero degli sgravi contributivi (Cass. n. 5284/2013)

Redazione 04/03/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza del 18.3 – 5.5.2009 la Corte d’Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, accogliendo il gravame proposto dall’Inps, rigettò l’opposizione proposta dalla Gruppo Iniziative Ristoro srl avverso la cartella esattoriale emessa nei suoi confronti ed avente ad oggetto il recupero delle agevolazioni contributive fruite, per il periodo novembre 1995 – maggio 2001, in relazione agli sgravi riconosciuti dalle leggi italiane per i contratti di formazione e lavoro e, secondo la decisione della Commissione Europea resa in data 11.5.1999, costituenti aiuti di stato non compatibili con il mercato comune.

A sostegno del decisum la Corte territoriale, per ciò che ancora qui specificamente rileva, ritenne fra l’altro quanto segue:

– l’onere probatorio sull’applicazione del diritto agli sgravi incombeva sulla parte beneficiaria degli stessi;

– il recupero doveva avvenire secondo quanto previsto dalle norme di diritto interno, in maniera da assicurarne l’effettività, con conseguente irrilevanza degli argomenti addotti per bloccare tale recupero;

– anche l’impresa esercitante attività, economica solo all’interno della Regione era soggetta alla regola del libero mercato, potendo gli aiuti falsare la concorrenza;

– la pretesa del pagamento integrale della contribuzione, per gli anni di riferimento e per il numero dei lavoratori risultanti dalla documentazione inviata dall’impresa, era da ritenersi legittima fino a prova contraria e nessun obbligo di accertamento preliminare all’emissione del titolo esecutivo incombeva sull’Istituto;

non poteva pertanto tenersi conto delle norme riguardanti la riscossione tramite ruoli ed i termini da rispettare, come di eventuali decadenze e della necessità della motivazione, trattandosi di disposizioni che, per quanto non idonee a consentire il recupero, dovrebbero essere disapplicate dal giudice nazionale;

– peraltro tali vizi, potendo rilevare esclusivamente come vizi dell’opposizione agli atti esecutivi, avrebbero dovuto essere fatti valere nei venti giorni successivi alla notifica della cartella;

inoltre la decadenza non avrebbe potuto trovare applicazione trattandosi di contributi dovuti prima del 2004;

– nella fattispecie non poteva trovare applicazione, quale ragione ostativa al recupero, il principio dell’affidamento, non essendo stata provata la sussistenza di situazioni eccezionali;

– l’eccezione di prescrizione era infondata poichè: al pari di altre norme puramente interne, avrebbe rappresentato un ostacolo formale alla inderogabile applicazione delle decisioni della Commissione ed al principio di effettività;

– nel caso di specie la prescrizione non poteva comunque decorrere prima che il diritto potesse essere fatto valere e, perciò, prima del 2002, quando si era pronunciata la Corte di Giustizia;

doveva trovare applicazione la regolamentazione comunitaria, prevedente un termine di dieci anni dalla erogazione del contributo illegittimo, sospeso dall’azione della Commissione e dalla controversia innanzi alla Corte di Giustizia e con ripartenza da zero;

il decennio operava nei confronti dei soli beneficiari e non si riferiva allo Stato;

la prescrizione era stata interrotta nel luglio 2005 con l’invio da parte dell’Inps dell’accertamento bonario e nel luglio 2007 con la notificazione della cartella esattoriale;

a tale data non erano quindi decorsi neppure i cinque anni rilevanti ai sensi della L. n. 335 del 1995;

– quanto all’applicazione della regola de minimis, erroneamente la stessa era stata prospettata come un diritto allo sconto della somma di Euro 100.000,00 dal dovuto, poichè le imprese che hanno beneficiato nel triennio di aiuti di importo superiore a tale cifra sono tenute al pagamento integrale;

– la prova della sussistenza dei presupposti idonei a legittimare il beneficio, gravante sulla parte che intenda avvalersene, doveva essere rigorosa, non potendo consistere in un elenco di nomi o date di nascita; non poteva peraltro farsi alcun uso della documentazione in atti, poichè prodotta successivamente alla decadenza ed introdotta surrettiziamente, senza alcuna autorizzazione del Giudice nè consenso di controparte, insieme alle note conclusive.

Avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, la Gruppo Iniziative Ristoro srl ha proposto ricorso per cassazione fondato su tredici motivi.

L’Inps, anche quale mandatario della SCCI spa, ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Deve preliminarmente rilevarsi l’inammissibilità della produzione documentale effettuata informalmente dalla ricorrente prima dell’udienza, non risultando essere state osservate le modalità di deposito prescritte dall’art. 372 c.p.c..

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 189, comma 4, Trattato CE; della L. n. 1203 del 1957, art. 2; dell’art. 11 Cost., e degli artt. 3 e 5 della decisione della Commissione Europea dell’11.5.1999, in ordine alla ritenuta legittimazione dell’Inps, piuttosto che dello Stato italiano, per il recupero degli aiuti di Stato per cui è causa. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 9, dell’art. 189, comma 2, del Trattato CE, della L. n. 1203 del 1957, art. 2, dell’art. 11 Cost., e dell’art. 15 del Regolamento del Consiglio dell’Unione Europea n. 659 del 1999, deducendo l’applicabilità del termine di prescrizione quinquennale fissato dal legislatore nazionale per il recupero della contribuzione non versata dal datore di lavoro, in considerazione della circostanza che il recupero degli Aiuti di stato per cui è causa si fonda sull’indebita fruizione da parte del datore di lavoro degli sgravi riconosciuti dalla legge nazionale per la stipula di contratti di formazione e lavoro. Con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., dell’art. 189, comma 4, e art. 191, comma 3, del Trattato CE, della L. n. 1203 del 1957, art. 2, dell’art. 11, della Costituzione e degli artt. 3 e 4 della decisione della Commissione Europea dell’11 maggio 1999, con riferimento all’individuazione del dies a quo del termine di prescrizione, avendo la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il termine quinquennale di prescrizione decorresse dalla sentenza della Corte di Giustizia CE del 7.3.2002, anzichè dalla data di notifica (4.6.1999) della decisione della Commissione.

Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione degli artt. 416 e 434 c.p.c.; artt. 3 e 4 Cost.; art. 2943 c.c., per essere stata riconosciuta l’interruzione della prescrizione in assenza di qualsiasi allegazione e produzione da parte dell’Inps.

Con il quinto motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, per avere la Corte territoriale ritenuto idonea a interrompere la prescrizione le note dell’Istituto del 2005 e del 2007. Con il sesto motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, comma 1, e degli artt. 3, 24 e 97 Cost., deducendo la violazione, da parte dell’Inps, dell’obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo.

Con il settimo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione (anche ai sensi dell’art. 12 preleggi, comma 2) del principio generale del legittimo affidamento.

Con l’ottavo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, per non avere i giudici di merito congruamente motivato in ordine all’inesistenza delle circostanze che integrano il legittimo affidamento.

Con il nono motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 189, comma 4, del Trattato CE, della L. n. 1203 del 1957, art. 2, dell’art. 11 Cost., e degli artt. 1, 2 e 3 della decisione della Commissione Europea dell’11 maggio 1999, dolendosi che la Corte territoriale abbia ritenuto che l’onere della prova sulla sussistenza dei presupposti stabiliti dalla Commissione incombe sulla parte beneficiaria degli aiuti di Stato già usufruiti anzichè sull’Inps. Con il decimo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 416, 420 c.p.c. e ss., e degli artt. 24 e 117 Cost., deducendo l’idoneità delle prove documentali e testimoniali offerte e invocando il principio di non contestazione. Con l’undicesimo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione, per non avere la Corte territoriale tenuto conto del materiale probatorio offerto in prova dalla stessa ricorrente.

Con il dodicesimo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 87 del Trattato, della decisione della Commissione Europea dell’11 maggio 1999 (punti 64 e 66), della sentenza della Corte di Giustizia del 7 marzo 2002 (punto 89), per non avere la Corte territoriale tenuto conto che essa ricorrente opera nel settore della ristorazione locale, in assenza di altre imprese che esercitano attività concorrenti aventi sede negli stati membri e insediate nel medesimo territorio. Con il tredicesimo motivo la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 189, comma 4, del Trattato CE, della L. n. 1203 del 1957, art. 2, dell’art. 11 Cost., e dei punti 115 e 199 della decisione della Commissione Europea dell’11.5.1999, deducendo che erroneamente la Corte territoriale, applicando la regola de minimis, non aveva detratto, ogni tre anni, la somma di Euro 100.000,00 dal credito rivendicato dall’Inps con la cartella esattoriale opposta.

2. Per una miglior comprensione delle vicende antecedenti la presente controversia, giova ricordare quanto segue. Il 7 maggio 1997 le Autorità italiane notificarono alla Commissione, ai sensi dell’art. 93, n. 3, del Trattato, un progetto di legge relativo ad aiuti di Stato, che, successivamente approvato dal Parlamento, divenne la L. n. 196 del 1997; tale progetto di legge fu iscritto nel registro degli aiuti notificati, sotto il numero N 338/97. Sulla base di informazioni trasmesse dalle Autorità italiane, la Commissione esaminò altri regimi di aiuti relativi a tale settore, cioè le L. n. 863 del 1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991, e L. n. 451 del 1994; queste leggi, poichè erano già in vigore, vennero iscritte nell’elenco degli aiuti non notificati sotto il numero nn. 164/97.

Con lettera 17 agosto 1998, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee (GU C 284, pag. 11), la Commissione informò il Governo italiano della sua decisione di avviare il procedimento previsto dall’art. 93, n. 2, del Trattato nei confronti degli aiuti per l’assunzione mediante contratti formazioni e lavoro a tempo determinato previsti dalle L. n. 863 del 1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991, e L. n. 451 del 1994, e concessi dal novembre 1995;

con la stessa lettera la Commissione informò altresì il Governo italiano della sua decisione di dare corso al medesimo procedimento nei confronti degli aiuti alla trasformazione dei contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato L. n. 196 del 1997, ex art. 15.

Acquisite le osservazioni del Governo italiano e le ulteriori precisazioni e informazioni richieste, la Commissione, al termine del procedimento, adottò la propria decisione in data 11.5.1999, notificata alla Repubblica italiana con nota 4 giugno 1999, n. SG(99) D/4068.

Con la suddetta decisione la Commissione stabilì quanto segue:

“Art. 1.

1. Gli aiuti illegittimamente concessi dall’Italia, a decorrere dal novembre 1975, per l’assunzione di lavoratori mediante i contratti di formazione e lavoro previsti dalle L. n. 863 del 1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991, e L. n. 451 del 1994, sono compatibili con il mercato comune e con l’accordo SEE a condizione che riguardino:

– la creazione di nuovi posti di lavoro nell’impresa beneficiarla a favore di lavoratori che non hanno ancora trovato un impiego o che hanno perso l’impiego precedente, nel senso definito dagli orientamenti in materia di aiuti all’occupazione;

– l’assunzione di lavoratori che incontrano difficoltà specifiche ad inserirsi o a reinserirsi nel mercato del lavoro. Ai fini della presente decisione, per lavoratori che incontrano difficoltà specifiche ad inserirsi o a reinserirsi nel mercato del lavoro s’intendono i giovani con meno di 25 anni, i laureati fino a 29 anni compresi, i disoccupati di lunga durata, vale a dire le persone disoccupate da almeno un anno.

2. Gli aiuti concessi per mezzo di contratti di formazione e lavoro che non soddisfano alle condizioni menzionate al paragrafo 1 sono incompatibili con il mercato comune. Art. 2.

1. Gli aiuti concessi dall’Italia in virtù della L. n. 196 del 1997, art. 15, per la trasformazione di contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato sono compatibili con il mercato comune e con l’accordo SEE purchè rispettino la condizione della creazione netta di posti di lavoro come definita dagli orientamenti comunitari in materia di aiuti all’occupazione.

Il numero dei dipendenti delle imprese è calcolato al netto dei posti che beneficiano della trasformazione e dei posti creati per mezzo di contratti a tempo determinato o che non garantiscono una certa stabilità dell’impiego.

2. Gli aiuti per la trasformazione di contratti di formazione e lavoro in contratti a tempo indeterminato che non soddisfano la condizione di cui al paragrafo 1 sono incompatibili con il mercato comune.

Art. 3.

L’Italia prende tutti i provvedimenti necessari per recuperare presso i beneficiari gli aiuti che non soddisfano alle condizioni di cui agli artt. 1 e 2 già illegittimamente concessi.

Il recupero ha luogo conformemente alle procedure di diritto interno.

Le somme da recuperare producono interessi dalla data in cui sono state messe a disposizione dei beneficiari fino a quella del loro recupero effettivo.

Gli interessi sono calcolati sulla base del tasso di riferimento utilizzato per il calcolo dell’equivalente sovvenzione nel quadro degli aiuti a finalità regionale.

Art. 4.

Entro due mesi a decorrere dalla data di notificazione della presente decisione, l’Italia informa la Commissione delle misure adottate per conformarvisi.

Art. 5.

La Repubblica italiana è destinataria della presente decisione”.

Con sentenza del 7.3.2002 in causa C-310/99, la Corte di Giustizia CE ha respinto il ricorso della Repubblica italiana, depositato il 13.8.1999, diretto a far annullare la decisione della Commissione 11 maggio 1999, 2000/128/CE, relativa al regime di aiuti concessi dall’Italia per interventi a favore dell’occupazione, e, in subordine, a far annullare tale decisione nella misura in cui prevede il recupero delle somme che costituiscono un aiuto incompatibile con il mercato comune.

Con sentenza del 1.4.2004, in causa C-99/02, la Corte di Giustizia CE, sul presupposto che “la Commissione aveva fissato un termine di due mesi a decorrere dalla data di notifica di detta decisione” (punto 24) e che “..allo scadere di tale termine, il governo italiano non aveva adottato le misure necessarie per recuperare gli aiuti in questione” (punto 25), ha statuito che “la Repubblica italiana, non avendo adottato entro i termini prescritti tutte le misure necessarie per recuperare presso i beneficiari gli aiuti che, ai sensi della decisione della Commissione 11 maggio 1999, 2000/128/CE, relativa al regime di aiuti concessi dall’Italia per interventi a favore dell’occupazione, sono stati giudicati illegittimi ed incompatibili con il mercato comune, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi degli arti. 3 e 4 della detta decisione”.

3. In ordine alle doglianze relative alla dedotta sussistenza di un legittimo affidamento deve rilevarsi che la Commissione ha ritenuto la solo parziale legittimità degli aiuti concessi dall’Italia per l’assunzione di lavoratori mediante i contratti di formazione e lavoro previsti dalle L. n. 863 del 1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991, e L. n. 451 del 1994, nonchè in virtù della L. n. 196 del 1997, art. 15.

Soltanto con riferimento alla L. n. 196 del 1997, l’Italia aveva previamente provveduto a notificare il relativo progetto alla Commissione, ai sensi dell’art. 93, n. 3 del Trattato; la Commissione ha quindi esaminato altri regimi di aiuti relativi a tale settore, cioè le L. n. 863 del 1984, L. n. 407 del 1990, L. n. 169 del 1991, e L. n. 451 del 1994, iscritte nell’elenco degli aiuti non notificati.

Deve inoltre considerarsi che con comunicazione pubblicata sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee, la Commissione (GU 1983 C 318, pag. 3) aveva informato i potenziali beneficiari di aiuti statali della precarietà degli aiuti che fossero stati loro illegittimamente concessi, nel senso che essi avrebbero potuto essere tenuti a restituirli.

3.1 La Corte di Giustizia CE ha affermato che uno Stato membro, le cui autorità abbiano concesso un aiuto in violazione delle norme procedurali di cui all’art. 88 CE, non può invocare il legittimo affidamento dei beneficiari per sottrarsi all’obbligo di adottare i provvedimenti necessari ai fini dell’esecuzione di una decisione della Commissione con cui quest’ultima ordina la ripetizione dell’aiuto. Ammettere tale possibilità significherebbe, infatti, privare di effetto utile le norme di cui agli artt. 87 CE e 88 CE, in quanto le autorità nazionali potrebbero far valere in tal modo il proprio illegittimo comportamento, al fine di vanificare l’efficacia delle decisioni emanate dalla Commissione in virtù di tali disposizioni del Trattato (Corte di Giustizia CE 7 marzo 2002, C- 310/99).

Già in precedenza era stato affermato (cfr Corte di Giustizia CE, con sentenza del 20.9.1990, C-5/89) che “Non è in contrasto con il diritto comunitario una normativa nazionale che garantisca la tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto in materia di ripetizione di aiuti contrari al diritto comunitario. Tuttavia, in considerazione del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione a norma dell’art. 93 del Trattato, le imprese beneficiane di un aiuto possono in linea di principio fare legittimo affidamento sulla regolarità di un aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista da tale articolo.

Non può certamente escludersi la possibilità, per il beneficiario di un aiuto illegittimamente concesso, di invocare circostanze eccezionali sulle quali egli abbia potuto fondare il proprio affidamento nella natura regolare dell’aiuto e di opporsi, conseguentemente, alla sua ripetizione. In tale ipotesi spetta al giudice nazionale eventualmente adito valutare, se necessario dopo aver proposto alla Corte delle questioni pregiudiziali di interpretazione, le circostanze del caso di specie”.

Ancora, secondo quanto affermato da Corte di Giustizia CE 20 marzo 1997, Causa C-24/95 “(…) sebbene non contrasti con l’ordinamento giuridico comunitario una legislazione nazionale che garantisce la tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto in materia di ripetizione, tuttavia, tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai sensi dell’art. 93 del Trattato, le imprese beneficiane di un aiuto possono fare legittimo affidamento, in linea di principio, sulla regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dal menzionato articolo. Un operatore economico diligente, infatti, deve normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata, anche quando l’illegittimità della decisione di concessione dell’aiuto sia imputabile allo Stato considerato in una misura tale che la sua revoca appare contraria al principio di buona fede”.

Analogamente, secondo quanto affermato da Corte di Giustizia CE 28 gennaio 2003, C-334/99, “Per quanto riguarda le sovvenzioni già versate al momento della loro comunicazione alla Commissione ed il legittimo affidamento fatto valere dal governo tedesco, da un lato occorre ricordare che, tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai sensi dell’art. 88 CE, le imprese beneficiane di un aiuto possono fare legittimo affidamento, in linea di principio, sulla regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura prevista dal menzionato articolo. Un operatore economico diligente, infatti, deve normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata”.

Con sentenza 23.2.2006, resa nei procedimenti riuniti C-346/03 e C- 529/03, la Corte di Giustizia Ce ha ribadito che “Quando un aiuto è stato versato senza previa notifica alla Commissione ed è pertanto illegittimo in forza dell’art. 93, n. 3, del Trattato, il beneficiario dell’aiuto non può riporre, a quel punto, alcun legittimo affidamento nella regolarità della concessione dello stesso (…). Di conseguenza, nella misura in cui la L. n. 44 del 1988, non era stata debitamente notificata alla Commissione, gli agricoltori sardi interessati non potevano fare alcun affidamento sulla legittimità degli aiuti loro concessi e l’asserita lentezza del procedimento non ha potuto far sorgere un siffatto affidamento”.

Conforme a tale giurisprudenza della Corte di Giustizia è altresì la decisione del Tribunale di primo grado CE 12.9.2007, nelle cause riunite T-239/04 e T-323/04, secondo la quale “(…) tenuto conto del carattere imperativo della vigilanza sugli aiuti statali operata dalla Commissione ai sensi dell’art. 88 CE, le imprese beneficiane di un aiuto possono fare legittimo affidamento, in linea di principio, sulla regolarità dell’aiuto solamente qualora quest’ultimo sia stato concesso nel rispetto della procedura (…). Infatti, un operatore economico diligente deve normalmente essere in grado di accertarsi che tale procedura sia stata rispettata anche quando l’illegittimità della decisione di concessione dell’aiuto sia imputabile allo Stato considerato in una misura tale che la sua revoca appare contraria al principio di buona fede”.

Risultano altresì di rilievo i principi ribaditi dalla Corte di Giustizia CE (Grande Sezione) con la sentenza 18.7.2007, C-119/05, secondo cui, in ordine alle competenze dei giudici nazionali in materia di aiuti di Stato, “51 (…) i giudici nazionali non sono competenti a pronunciarsi sulla compatibilita di un aiuto di Stato con il mercato comune. 52 Emerge infatti da una giurisprudenza costante che la valutazione della compatibilità con il mercato comune di misure di aiuto o di un regime di aiuti rientra nella competenza esclusiva della Commissione, che opera sotto il controllo del giudice comunitario”.

3.2 Da tali principi, vincolanti per i giudici degli Stati membri, discende che:

– l’inosservanza delle norme procedurali in ordine ai provvedimenti legislativi non notificati e la non ancora avvenuta conclusione della procedura in ordine al progetto di legge poi divenuto L. n. 196 del 1997, non potevano far insorgere nei beneficiari degli aiuti alcun legittimo affidamento sulla regolarità degli aiuti medesimi;

– l’eventuale non conoscenza delle conseguenze a cui poteva condurre la valutazione negativa in sede comunitaria della legittimità degli aiuti e, parimenti, eventuali incertezze sull’ambito degli orientamenti comunitari in materia di aiuti all’occupazione, non costituiscono elementi su cui potesse fondarsi il legittimo affidamento dei beneficiari;

– la mera esistenza di una o più disposizioni legislative disciplinanti gli aiuti (poi giudicati illegittimi), costituendo il necessario presupposto per la loro applicazione, non può essere riguardata alla stregua di una circostanza eccezionale tale da far insorgere un legittimo affidamento;

– nè tali circostanze eccezionali potrebbero essere ravvisate in pronunce dei giudici nazionali, ivi compresa la stessa Corte Costituzionale, in ordine alla conformità degli aiuti de quibus alla normativa comunitaria, spettando alla competenza esclusiva della Commissione, e non ai giudici nazionali, la relativa valutazione di compatibilità con il mercato comune delle misure di aiuto.

3.3 Non ricorre peraltro nella fattispecie l’ipotesi di una decisione adottata dalla Commissione con eccessivo ritardo, nel qual caso secondo la sentenza della Corte di Giustizia CE 24.11.1987, C-223/85, potrebbe insorgere nel beneficiario della sovvenzione un legittimo affidamento, atteso che, come detto, soltanto con riferimento alla L. n. 196 del 1997, l’Italia aveva previamente provveduto a notificare il relativo progetto alla Commissione, ai sensi dell’art. 93, n. 3 del Trattato.

4. Strettamente connesse risultano le doglianze relative alla svolta eccezione di prescrizione.

La Corte territoriale ha escluso, nei termini già indicati nello storico di lite, la fondatezza dell’eccezione di prescrizione, ritenendo che il relativo termine non fosse decorso sia che dovesse ritenersi di durata quinquennale, sia, evidentemente a fortiori, che lo si dovesse ritenere di durata decennale.

Le considerazioni svolte sul punto dalla sentenza impugnata sono oggetto del secondo, terzo, quarto e quinto motivo di ricorso.

4.1 Al riguardo l’Inps ha fatto riferimento all’art. 15 del regolamento (CE) n. 659/1999 il quale, sotto il titolo “Periodo limite”, prevede che:

“1.1 poteri della Commissione per quanto riguarda il recupero degli aiuti sono soggetti ad un periodo limite di 10 anni.

2. Il periodo limite inizia il giorno in cui l’aiuto illegittimo viene concesso al beneficiario come aiuto individuale o come aiuto rientrante in un regime di aiuti. Qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione o da uno Stato membro, che agisca su richiesta della Commissione, nei confronti dell’aiuto illegittimo interrompe il periodo limite. Ogni interruzione fa ripartire il periodo da zero. Il periodo limite viene sospeso per il tempo in cui la decisione della Commissione è oggetto di un procedimento dinanzi alla Corte di giustizia delle Comunità Europee.

3. Ogni aiuto per il quale è scaduto il periodo limite è considerato un aiuto esistente”.

L’Istituto ha fatto altresì richiamo della sentenza del Tribunale CE del 10.4.2003 in causa T-360/00, laddove si afferma (prg. 83) che “Riguardo all’argomento della ***** trattasi della parte privata beneficiarla dell’aiuto secondo il quale le misure adottate dalla Commissione tra il gennaio e l’agosto del 1997 non potevano avere l’effetto d’interrompere il termine di prescrizione in applicazione dell’art. 15 del regolamento n. 659/1999, per il motivo che essa non aveva all’epoca conoscenza di tali misure, si deve osservare che l’art. 15 ha introdotto un termine di prescrizione unico per il recupero di un aiuto che si applica allo stesso modo allo Stato membro interessato, al beneficiario dell’aiuto e ai terzi”.

Il successivo prg 85 precisa peraltro che “…il solo fatto che la ***** ignorasse l’esistenza delle richieste di informazioni effettuate dalla Commissione alle autorità francesi a partire dal 17 gennaio 1997 non ha come conseguenza di privare le stesse di efficacia giuridica nel confronti della *****. Pertanto la lettera 17 gennaio 1997, inviata dalla Commissione prima dell’avvio del procedimento amministrativo, con la quale erano richieste informazioni complementari alle autorità francesi, costituisce, in applicazione dell’art. 15 del regolamento n. 659/1999, una misura che interrompe il termine di prescrizione decennale, che nel caso di specie è iniziato a decorrere il 31 agosto 1987, prima della sua scadenza, anche se il ricorrente e la ***** ignoravano all’epoca l’esistenza di una tale corrispondenza”.

Il suddetto riferimento non appare decisivo, poichè, come del resto evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 125 del 22.4.2009:

– il precedente art. 14 del medesimo Regolamento, sotto il titolo “Recupero degli aiuti”, si riferisce alle iniziative della Commissione e, al terzo comma, dispone che “…il recupero va effettuato senza indugio secondo le procedure previste dalla legge dello Stato membro interessato, a condizione che esse consentano l’esecuzione immediata ed effettiva della decisione della Commissione. A tal fine e in caso di procedimento dinanzi ai Tribunali nazionali, gli Stati membri interessati adottano tutte le misure necessarie disponibili nei rispettivi ordinamenti giuridici, comprese le misure provvisorie, fatto salvo il diritto comunitario”, cosicchè deve convenirsi che il principio secondo cui le procedure dirette al recupero dell’aiuto incompatibile sono disciplinate dal solo diritto nazionale è espresso in forma molto chiara;

– il surricordato art. 15 è parimenti riferito ai poteri della Commissione e, con il richiamo a “qualsiasi azione intrapresa dalla Commissione o da uno Stato membro, che agisca su richiesta della Commissione, nei confronti dell’aiuto illegale”, non ha inteso riferirsi alle azioni di recupero avviate nell’ambito degli ordinamenti nazionali, bensì alle iniziative intraprese sempre dalla medesima Commissione, che ben può chiedere informazioni, chiarimenti, indagini agli Stati membri per pervenire alle proprie determinazioni;

– anche la giurisprudenza comunitaria (cfr, in particolare, Corte di Giustizia CE del 22.4.2008 in causa C-408/04), nel prendere in esame il “Periodo limite” ed il termine di prescrizione stabilito dall’art. 15 del Regolamento n. 659/1999, ne tratta a proposito del tempo di cui dispone la Commissione per esercitare la sua funzione di controllo della compatibilità dell’aiuto e per la conseguente ingiunzione di recupero allo Stato membro, come chiaramente si evince nei paragrafi 98, 101 e 103.

4.2 Deve invece trovare applicazione la regola, più volte enunciata dalla giurisprudenza comunitaria (cfr, ex plurimis, Corte di Giustizia CE 21.5.1990, C-142/87; Corte di Giustizia CE 20.9.1990, C- 5/89; Corte di Giustizia CE 9.2.1999, C-343/96; Corte di Giustizia CE 20.9.2001, C-390/98; Corte di Giustizia CE 5.10.2006, C-368/04), secondo cui il recupero dell’aiuto deve essere attuato attraverso i mezzi e le procedure vigenti negli Stati membri, con il rispetto dei principi:

– di equivalenza, tra quanto è previsto dal diritto comunitario e quanto è previsto per le violazioni del diritto interno;

– di effettività del rimedio, nel senso che non deve essere reso impossibile o eccessivamente difficoltoso l’esercizio dei diritti garantiti dall’ordinamento comunitario.

4.3 Secondo la giurisprudenza di questa Corte, sebbene da un punto di vista funzionale gli sgravi contributivi concessi alle aziende concretizzino una sovvenzione pubblica, da un punto di vista giuridico lo strumento adottato è quello della riduzione dell’entità dell’obbligazione contributiva, cosicchè, laddove l’ente previdenziale agisca per il pagamento degli importi corrispondenti agli sgravi illegittimamente applicati, non si versa in tema di ripetizione di indebito oggettivo, dovendosi invece accertare la sussistenza o meno del diritto agli sgravi (cfr, Cass., n. 1756/2001); al contrario di indebito oggettivo può parlarsi nell’ipotesi speculare – ma affatto insussistente nel caso di specie – di mancata fruizione del beneficio concretizzatosi nel pagamento dell’intero importo del debito contributivo e che, come tale, da appunto luogo ad un pagamento indebito per la cifra corrispondente al mancato sgravio (cfr, Cass., n. 7772/1996).

Deve quindi escludersi che il termine di prescrizione per l’esercizio dell’azione di recupero dell’aiuto di Stato illegittimo possa essere ricavato nell’ambito previsionale dell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 c.c..

4.4 Deve tuttavia del pari escludersi che alla fattispecie all’esame sia applicabile il termine prescrizionale quinquennale di cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, siccome espressamente previsto per il pagamento delle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale, laddove gli aiuti di Stato costituiscono una categoria giuridica dotata di una propria autonomia, tale da determinare, in ipotesi di loro ritenuta contrarietà alla normativa Europea, la doverosa reazione recuperatoria da parte degli Stati membri.

Deve infatti osservarsi che, a mente dell’art. 87 (ex art. 92), comma 1, del Trattato CE “…sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”.

L’incompatibilità può dunque riguardare qualsiasi tipo di aiuto, non necessariamente quindi quelli costituiti da sgravi contributivi;

la conseguente azione di recupero degli aiuti incompatibili, anche in relazione al principio di effettività del rimedio, non può dunque ritenersi assoggettata a termini di prescrizione variabili, siccome specificamente previsti dall’ordinamento interno per taluni tipi di diritti, in base alla natura dell’aiuto che debba essere recuperato.

Più in particolare va osservato che la diversità tra l’azione diretta al pagamento dei contributi omessi od evasi e l’azione di recupero degli aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune trova riscontro:

– nella differenza della fonte normativa che l’impone, rispettivamente nazionale e comunitaria;

– nella differenza delle finalità, per essere la prima diretta all’acquisizione della provvista contributiva necessaria per l’assolvimento delle obbligazioni previdenziali e la seconda diretta al ripristino dello status quo ante, dovendosi ritenere raggiunto tale obiettivo quando l’aiuto in parola sia stato restituito dal beneficiario e, per conseguenza, il medesimo resti privato del vantaggio di cui aveva fruito sul mercato rispetto ai suoi concorrenti (cfr, Corte di Giustizia CE 4.4.1995, C-348/93; Corte di Giustizia CE 4.4.1995, C-350/93);

– nella differenza della disciplina sostanziale, essendo previste dalla legislazione nazionale, in ipotesi di pagamenti contributivi omessi od evasi, conseguenze sanzionatorie specifiche, nel mentre sugli aiuti già illegittimamente concessi sono dovuti gli interessi nei termini stabiliti dalla stessa Commissione.

L’utilizzazione della procedura di iscrizione a ruolo e della successiva formazione della cartella esattoriale, secondo le previsioni della L. n. 46 del 1999, art. 24, discende poi dal fatto che l’attività di recupero ha ad oggetto sgravi di natura contributiva e non incide quindi sulla qualificazione giuridica dell’azione.

4.5 La diversità tra azione di recupero dello sgravio (da aiuto di Stato illegittimo) già applicato e azione di pagamento di contribuzione non versata impedisce dunque di ricondurre direttamente la prima delle due fattispecie alla specifica previsione dettata, in tema di termine prescrizionale, per la seconda, ma, al contempo, neppure facoltizza l’applicazione analogica di quest’ultima, poichè il ricorso all’analogia può ritenersi consentito soltanto se una controversia non può essere decisa con precisa disposizione, in ipotesi cioè di un vuoto normativo (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 2404/1965; 4754/1995; 9852/2002), che, come tale, impone il ricorso alle disposizioni che regolano casi simili o materia analoghe; tale ipotesi è nella specie da ritenersi tuttavia insussistente, stante l’applicabilità – in difetto, appunto, di differenti peculiari disposizioni -, della disciplina generale di cui all’art. 2946 c.c., (estinzione dei diritti per prescrizione, salvi i casi di diversa disposizione di legge, con il decorso di dieci anni); l’inosservanza di tale disciplina generale, oltre che non consentita dall’ordinamento interno, comporterebbe altresì, nei suoi riflessi sull’attività di recupero, la violazione del principio di equivalenza.

4.6 L’identicità del suddetto termine temporale con quello stabilito dal ricordato art. 15 del regolamento (CE) n. 659/1999 (regolamento a cui la della recente L. n. 234 del 2012, art. 51, in vigore dal 19.1.2013, rimanda al fine di individuare il periodo nell’ambito del quale, indipendentemente dalla forma di concessione dell’aiuto di Stato, sussiste il diritto alla restituzione dell’aiuto oggetto di una decisione di recupero) esclude in radice, in relazione alla fattispecie per cui è causa, eventuali dubbi di compatibilità della legislazione nazionale con la disciplina comunitaria.

La rilevata differenziazione tra l’azione diretta al pagamento dei contributi omessi o evasi e quella diretta al recupero degli aiuti di Stato illegittimamente concessi, esclude poi che possano ravvisarsi dubbi di legittimità costituzionale in ordine alla corrispondente diversa durata del termine prescrizionale, dovendosi peraltro rilevare, anche con riferimento ai correlati diritti dei lavoratori interessati, che la stessa disciplina cui alla L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10, non è legislativamente prevista come di esclusiva applicazione in tema di pagamento di contributi omessi od evasi, residuando l’ordinario termine decennale per i contributi relativi a periodi precedenti la data di entrata in vigore della legge, in caso di atti interruttivi già compiuti o di procedure iniziate nel rispetto della normativa preesistente.

4.7 Il dies a quo della decorrenza della prescrizione non può essere collocato in data anteriore a quella di notifica alla Repubblica Italiana (4.6.1999) della decisione della Commissione dell’11.5.1999 che, sancendo l’incompatibilità con il mercato comune – nei limiti indicati – degli sgravi configuranti aiuti di Stato ha imposto l’azione diretta al loro recupero.

Ciò premesso, tenuto conto della rilevata durata decennale del termine di prescrizione e della data di notifica della cartella esattoriale opposta, divengono irrilevanti, nel caso di specie, le doglianze svolte dalla ricorrente in merito all’incidenza che, sul decorso del termine, possa essere attribuita al maturare del giudicato sul ricorso proposto dalla Repubblica Italiana avverso la decisione della Commissione, così come quelle inerenti alla intervenuta (secondo quanto ritenuto dalla Corte territoriale) interruzione del termine prescrizionale.

5. Deve dunque affermarsi che, nel caso di attribuzione, da parte dello Stato ed a favore di un’impresa, di un vantaggio economico incompatibile con l’ordinamento dell’Unione Europea, il diritto- dovere, spettante allo Stato, di recuperare il vantaggio non va confuso con il diritto, spettante all’Unione, di agire contro lo Stato per l’accertamento dell’infrazione. Questo diritto si prescrive in dieci anni con decorrenza dal momento di attribuzione del vantaggio (art. 15 reg. CEE n. 659/1999), mentre il diritto dello Stato si prescrive in dieci anni (art. 2946 c.c.), con decorrenza dal provvedimento della Commissione UE che accerta l’infrazione ovvero dall’emanazione della Corte di giustizia che definisce la relativa controversia.

Perciò, quando si tratti di sgravio contributivo previdenziale, non vale la prescrizione quinquennale del diritto ai contributi spettante all’ente assicurativo.

Nè il soggetto privato, tenuto a restituire il vantaggio indebitamente percepito, può invocare l’affidamento riposto nella norma nazionale attributiva del vantaggio, almeno per il periodo anteriore all’emanazione dei detti provvedimenti della Commissione o della Corte; su questo affidamento prevale infatti l’esigenza di assicurare l’effettività dell’ordinamento comunitario, la quale può superare perfino la cosa giudicata formatasi nell’ordinamento interno (cfr Corte di Giustizia CE 18.7.2007 in C-119/05; 3.9.2009 in C- 2/08).

6. Il settimo e l’ottavo motivo di ricorso vanno quindi rigettati, così come il secondo, previa parziale modifica, quanto a quest’ultimo, della motivazione della sentenza impugnata nei termini anzidetti, mentre restano assorbiti il terzo, il quarto e il quinto.

7. Secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia CE, l’obbligo di sopprimere un aiuto incompatibile col mercato comune,che una decisione della Commissione abbia posto a carico di uno Stato membrane inteso al ripristino dello status quo ante e tale obiettivo deve ritenersi raggiunto quando l’aiuto in parola, eventualmente maggiorato degli interessi di mora, sia stato restituito dal beneficiario e di conseguenza questi resti privato del vantaggio di cui aveva fruito sul mercato rispetto ai suoi concorrenti (cfr, Corte di Giustizia CE 4.4.1995, C-348/93; Corte di Giustizia CE 4.4.1995, C- 350/93); facendo applicazioni di tali principi la Corte di Giustizia ha riconosciuto la legittimità della restituzione degli aiuti dichiarati illegittimi rispettivamente all’IRI e all’Eni, e non anche da parte di questi ultimi allo Stato italiano.

Nel caso di specie va quindi a fortiori riconosciuta la legittimità della restituzione degli sgravi indebiti all’Inps, senza necessità di alcuna specifica disposizione normativa ad hoc, essendo proprio l’Inps il soggetto pubblico che, istituzionalmente, è deputato, salve specifiche diverse ipotesi che qui non ricorrono (la L. n. 234 del 2012, art. 48, cit., affida alla società Equitalia Spa la riscossione degli importi dovuti per effetto delle decisioni di recupero, a prescindere dalla forma dell’aiuto e dal soggetto che l’ha concesso, adottate in data successiva alla data di entrata in vigore della legge stessa), alla riscossione della contribuzione previdenziale mediante gli strumenti giuridici ordinariamente previsti a tal fine.

Il primo motivo di ricorso va quindi disatteso.

8. Il sesto motivo è svolto sull’erroneo presupposto che la richiesta di pagamento, attuata a mezzo della cartella esattoriale opposta, costituisca un atto amministrativo soggetto all’obbligo di motivazione. Al contrario la cartella esattoriale costituisce un estratto del ruolo e deve contenere soltanto le indicazioni previste specificamente per tale tipo di atto.

Ciò premesso, l’eccezione in parola, attenendo alla regolarità della cartella esattoriale opposta, configura un’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.; cfr, Cass., nn. 25757/2008; 18207/2003; 9912/2001).

Secondo il condiviso orientamento interpretativo di questa Corte, nella disciplina della riscossione mediante iscrizione a ruolo, di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, l’opposizione agli atti esecutivi è prevista dall’art. 29, comma 2, che, per la relativa regolamentazione, rinvia alle “forme ordinarie”, e non dall’art. 24 dello stesso D.Lgs., che si riferisce, invece, all’opposizione sul merito della pretesa di riscossione, con la conseguenza che l’opposizione agli atti esecutivi prima dell’inizio dell’esecuzione deve proporsi nel termine perentorio (quale previsto dall’art. 617 c.p.c.) dalla notificazione del titolo esecutivo, che nella specie si identifica nella cartella esattoriale; quest’ultima, infatti, essendo un estratto del ruolo, costituisce titolo esecutivo ai sensi del suddetto D.P.R. n. 602 del 1973, art. 49, come modificato dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 16, (cfr, Cass., n. 21863/2004).

La tempestività dell’opposizione agli atti esecutivi deve inoltre essere controllata pregiudizialmemte d’ufficio, anche in sede di legittimità, in base alla lettura degli atti (cfr, Cass., nn. 25757/2008; 9912/2001; 11251/1996).

Nella specie, dalle stesse allegazioni della ricorrente, risulta che la cartella esattoriale opposta venne notificata il 22.5.2007 e che il ricorso in opposizione venne proposto il 12.6.2007, ossia il ventunesimo giorno a decorrere dalla notificazione; non venne quindi osservato il termine perentorio di venti giorni previsto dall’art. 617 c.p.c., con conseguente inammissibilità dell’eccezione su cui si fonda il motivo all’esame.

8.1 Ulteriore e concorrente ragione di inammissibilità del motivo è data dalla violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non essendo stato ivi riportato nella sua completezza il contenuto della cartella esattoriale, cosicchè questa Corte non è stata posta in grado di valutare la ricorrenza nella specie dei requisiti minimi della cartella esattoriale ai sensi del D.M. 3 settembre, n. 321, art. 6, comma 1 (Regolamento recante norme per la determinazione del contenuto del ruolo e dei tempi, procedure e modalità della sua formazione e consegna, da emanare ai sensi del D.Lgs. 26 febbraio 1999, n. 46, artt. 4 e 10).

8.2 Al riguardo, per completezza di motivazione, deve comunque osservarsi che questa Corte ha già avuto modo di rilevare, in controversia di analogo contenuto, che, ai fini della regolarità della cartella esattoriale opposta, la stessa non deve contenere anche le indicazioni relative a quali fossero, fra i contratti di formazione e lavoro stipulati, quelli su cui era stato operato il recupero, perchè ciò equivarrebbe ad una indicazione analitica che la normativa applicabile non richiede (cfr, Cass., n. 6672/2012).

9. Il nono, il decimo e l’undicesimo motivo di ricorso vanno esaminati congiuntamente.

9.1 La Commissione ha fissato le condizioni in presenza delle quali può ritenersi che gli sgravi contributivi per contratti di formazione lavoro già fruiti sono da ritenersi compatibili con il mercato comune e con l’accordo SEE. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nelle controversie relative al recupero dei contributi non corrisposti per applicazione di sgravi contributivi, compete al datore di lavoro opponente l’onere di provare il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per poter beneficiare della detrazione (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 5137/2006; 16351/2007; 499/2009; 21898/2010, quest’ultima specificamente in tema di benefici che trovano fondamento nell’avvenuta conclusione di contratti di formazione e lavoro).

La circostanza che, nella specie, le condizioni legittimanti il beneficio (e la conseguente non recuperabilità del medesimo) siano state dettate (anche) da disposizioni comunitarie non altera i termini della questione, spettando pur sempre al beneficiario degli sgravi dimostrare la sussistenza delle condizioni – stabilite dalla Commissione o da quest’ultima presupposte siccome già fissate dalla normativa nazionale – per poter legittimamente usufruire degli sgravi medesimi.

Tali condizioni, oltre a quelle espressamente fissate dalla Commissione, riguardano quindi anche quelle, già contemplate dalla legge nazionale e che la Commissione stessa ha come tali considerato nell’ambito della valutazione di compatibilità con il mercato comune; in particolare vanno perciò dedotte e provate dalla parte beneficiaria anche quelle indicate nei seguenti punti della decisione della Commissione:

“(13) Per beneficiare di tali agevolazioni i datori di lavoro non devono aver proceduto a riduzioni di personale nei 12 mesi precedenti, salvo se l’assunzione riguarda lavoratori in possesso di una qualifica diversa. La possibilità di accedere a tali benefici è inoltre subordinata al fatto di aver mantenuto in servizio (con un contratto a tempo indeterminato) almeno il 60 % dei lavoratori il cui CFL è venuto a termine nei 24 mesi precedenti.

“(71) Gli orientamenti in materia di aiuti all’occupazione precisano che la Commissione è in linea di massima favorevole agli aiuti:

– riguardanti i disoccupati e – destinati alla creazione di nuovi posti di lavoro (creazione netta) nelle PMI e nelle regioni ammissibili agli aiuti a finalità regionale o – volti ad incoraggiare l’assunzione di talune categorie di lavoratori che incontrano particolari difficoltà di inserimento o di reinserimento sul mercato del lavoro, e ciò in tutto il territorio; in questo caso è sufficiente che il posto di lavoro sia divenuto vacante in seguito ad una partenza spontanea e non ad un licenziamento.

“(88) Inoltre la condizione imposta dagli orientamenti in materia di aiuti all’occupazione, che richiede che il posto occupato si sia reso vacante in seguito ad una partenza naturale e non ad un licenziamento, è rispettata in quanto la legislazione italiana pone espressamente la condizione che non si sia proceduto a licenziamenti.

Di conseguenza, e conformemente a quanto precisato negli orientamenti, per le categorie svantaggiate non occorre esigere che vi sia creazione netta di posti di lavoro”.

L’individuazione dell’incombenza dell’onere probatorio, nei termini testè indicati, discende dall’oggetto, nel caso specifico, dell’azione di recupero (ossia, come detto, degli sgravi contributivi illegittimamente fruiti) e prescinde quindi dalla diversa questione inerente alla qualificazione giuridica dell’azione stessa e al conseguente termine prescrizionale applicabile.

9.2 Non è inoltre condivisibile la censura inerente alla dedotta idoneità delle prove documentali e testimoniali offerte, anche in relazione al principio di non contestazione, poichè la concessione di un termine per note difensive (art. 420 c.p.c., comma 4) non configura rimessione in termini per la formulazione di nuove istanze istruttorie o per la produzione di nuovi documenti, sicchè correttamente la Corte territoriale ha ritenuto, nei termini indicati nello storico di lite (non rilevando la diversa indicazione terminologica di “note conclusive”), di non poterne tener conto.

Nè, con riferimento alla documentazione ritualmente prodotta al momento del deposito del ricorso introduttivo, la ricorrente ha rispettato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non avendo riportato il contenuto degli atti prodotti, solo asseritamene sufficienti per eseguire gli accertamenti necessari al fine di valutare l’esistenza delle condizioni stabilite dalla Commissione.

Ne discende l’assorbimento dell’ulteriore censura inerente alla dedotta mancata considerazione del materiale probatorio offerto.

9.3 Anche i motivi all’esame non possono pertanto venire accolti.

10. Il dodicesimo motivo presenta anzitutto palesi profili di inammissibilità, non essendo state indicate e trascritte, in violazione del principio di autosufficienza, le fonti probatorie, ove ritualmente acquisite, dalle quali dovrebbero desumersi, in punto di fatto, le circostanze su cui si fonda (in particolare la limitazione territoriale dell’attività dell’impresa alla Sardegna e l’assenza di altre imprese, aventi sede negli Stati membri, esercitanti attività concorrente ed insediate nel medesimo territorio).

10.1 Le assorbenti considerazioni che precedono non esimono dal rilevare, per completezza, che il motivo è infondato anche in diritto, posto che, al punto 66 della sua decisione, la Commissione ha specificamente indicato che, anche se le imprese non esportano, la produzione nazionale è favorita perchè l’aiuto riduce la possibilità da parte delle imprese insediate in altri Stati membri di esportare i loro prodotti verso il mercato italiano; tale rilievo, enunciato esemplificativamente con riferimento al settore produttivo (cfr sentenza Corte di Giustizia CE 7.3.2002, C-310/99, punto 88), è applicabile anche a diversi settori economici, nella specie quello della ristorazione, producendo gli aiuti in favore delle imprese nazionali un’alterazione della concorrenza a detrimento di analoghe imprese di altri Stati che intendessero svolgere la propria attività nel medesimo ambito territoriale.

11. La Commissione, nella comunicazione del 1996 relativa agli aiuti de minimis (GU C 68, pag. 9), ha dichiarato che, se è vero che qualsiasi intervento finanziario dello Stato accordato ad un’impresa può falsare la concorrenza, non tutti gli aiuti hanno però un impatto sensibile sugli scambi e sulla concorrenza tra gli Stati membri e che questo vale in particolare per gli aiuti di importo limitato che, per lo più, sono accordati alle piccole e medie imprese. Ai fini di una semplificazione amministrativa e nell’interesse delle piccole e medie imprese, la Commissione ha introdotto una regola detta de minimis, che fissa una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1, del Trattato può considerarsi inapplicabile e l’aiuto non più soggetto all’obbligo di previa notifica.

Con la suddetta comunicazione la regola de minimis è stata quindi modificata come segue:

“- l’importo massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis è di 100 000 ECU su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo aiuto de minimis;

– tale importo comprende qualsiasi aiuto pubblico accordato quale aiuto de minimis e non pregiudica la possibilità del beneficiario di ottenere altri aiuti in base a regimi autorizzati dalla Commissione;

– tale importo comprende tutte le categorie di aiuti, indipendentemente dalla loro forma e obiettivo, ad eccezione degli aiuti all’esportazione, che sono esclusi dal beneficio della misura.

Gli aiuti pubblici da prendere in considerazione ai fini del rispetto del massimale di 100 000 ECU sono quelli concessi dalle autorità nazionali, regionali o locali, a prescindere dal fatto che le risorse provengano interamente dagli Stati membri o che le misure siano cofinanziate dalla Comunità tramite i fondi strutturali, in particolare il Fondo Europeo di sviluppo regionale (FESR).

La regola de minimis, benchè interessi prioritariamente le PMI, è applicabile a prescindere dalle dimensioni delle imprese beneficiane.

Non si applica tuttavia ai settori disciplinati dal trattato CECA, alla costruzione navale, al settore dei trasporti e agli aiuti concessi per spese relative ad attività dell’agricoltura o della pesca”. Venne inoltre espressamente previsto che “La Commissione ha il dovere di accertarsi che gli Stati membri non concedano alle loro imprese aiuti incompatibili con il mercato comune. Gli Stati membri sono tenuti a facilitare alla Commissione l’adempimento di questo compito instaurando modalità di controllo che garantiscano che il cumulo di diversi aiuti accordati ad uno stesso beneficiario a titolo di aiuto de minimis non facciano salire l’importo complessivo di questo tipo di aiuti al di là del limite di 100 000 ECU su un periodo di tre anni. In particolare, la concessione di un aiuto de minimis o le modalità di un regime che preveda la concessione di aiuti di questo tipo devono comportare espressamente la condizione che qualsiasi altro aiuto supplementare, concesso alla medesima impresa a titolo della regola de minimis, non deve far si che l’importo complessivo degli aiuti de minimis di cui l’impresa beneficia ecceda il limite di 100 000 ECU su un periodo di tre anni.

La regola de minimis è stata successivamente oggetto di modifica. In particolare, con il Regolamento CE n. 69/2001 della Commissione del 12 gennaio 2001 (in vigore dal ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità Europee e fino al 31 dicembre 2006), è stato previsto, all’art. 2, sotto la rubrica Aiuti de minimis, che:

“7. Si ritiene che gli aiuti non corrispondano a tutti i criteri per l’applicazione del divieto di cui all’art. 87, paragrafo 1, del trattato e che non siano pertanto soggetti all’obbligo di notifica di cui all’art. 88, paragrafo 3, qualora essi soddisfino le condizioni di cui ai paragrafi 2 e 3.

2. L’importo complessivo degli aiuti de minimis accordati ad una medesima impresa non può superare 100 000 EUR su un periodo di tre anni. Tale massimale si applica indipendentemente dalla forma degli aiuti o dall’obiettivo perseguito.

3. Il massimale di cui al paragrafo 2 è espresso in termini di sovvenzione diretta in denaro. Tutti i valori utilizzati sono al lordo di qualsiasi imposta diretta. Quando un aiuto è concesso in forma diversa da una sovvenzione diretta in denaro, l’importo dell’aiuto è l’equivalente sovvenzione lordo. (…)”.

Ulteriori modifiche sono state introdotte con il Regolamento (CE) n. 1998/2006 della Commissione del 15 dicembre 2006, prevedendosi, in particolare, all’art. 2, punto 2, che “L’importo complessivo degli aiuti “de minimis” concessi ad una medesima impresa non deve superare i 200000 EUR nell’arco di tre esercizi finanziari. L’importo complessivo degli aiuti “de minimis” concessi ad un’impresa attiva nel settore del trasporto su strada non deve superare i 100000 EUR nell’arco di tre esercizi finanziari. Tali massimali si applicano a prescindere dalla forma dell’aiuto “de minimis” o dall’obiettivo perseguito ed a prescindere dal fatto che l’aiuto concesso dallo Stato membro sia finanziato interamente o parzialmente con risorse di origine comunitaria. Il periodo viene determinato facendo riferimento agli esercizi finanziari utilizzati dall’impresa nello Stato membro interessato. Qualora l’importo complessivo dell’aiuto concesso nel quadro di una misura d’aiuto superi il suddetto massimale, tale importo d’aiuto non può beneficiare dell’esenzione prevista dal presente regolamento, neppure per una parte che non superi detto massimale. In tal caso, il beneficio del presente regolamento non può essere invocato per questa misura d’aiuto nè al momento della concessione dell’aiuto nè in un momento successivo”.

La Commissione, con la decisione dell’11.5.1999, ha precisato che “(115) Le misure che rispettano la regola de minimis non rientrano nel campo di applicazione dell’art. 87. In applicazione di detta regola, l’importo complessivo di tutti gli interventi effettuati a favore delle imprese che hanno assunto lavoratori per mezzo di un contratto di formazione e lavoro non deve superare il limite di 100000 EUR su un periodo di tre anni. Come precisato nella comunicazione della Commissione relativa agli aiuti de minimis, detta regola non si applica ai settori disciplinati dal trattato CECA, alla costruzione navale ed al settore dei trasporti, ed agli aiuti concessi per spese inerenti ad attività dell’agricoltura o della pesca”.

11.1 Dalla ricognizione delle suddette fonti normative comunitarie emerge con chiarezza che la regola de minimis viene a costituire un’eccezione alla generale disciplina relativa agli aiuti di Stato, stabilendo “una soglia di aiuto al di sotto della quale l’art. 92, n. 1, del Trattato può considerarsi inapplicabile”; ne consegue che la sussistenza delle specifiche condizioni concretizzanti l’applicabilità della regola de minimis costituisce elemento costitutivo del diritto a beneficiare dello sgravio contributivo e, come tale, in conformità ai già ricordati principi in tema di onere probatorio, deve essere provato dal soggetto beneficiario.

11.2 Deve inoltre essere osservato che per la sussistenza di tali condizioni non basta che l’importo chiesto in recupero ed oggetto del singolo procedimento sia inferiore alla soglia fissata dalla Commissione, dovendo invece la relativa prova riguardare l’ammontare massimo totale dell’aiuto rientrante nella categoria de minimis su un periodo di tre anni a decorrere dal momento del primo aiuto de minimis, comprendendovi qualsiasi aiuto pubblico accordato quale aiuto de minimis.

La Corte di Giustizia CE, con la sentenza del 7.3.2002, C-310/99, ha infatti precisato (punti 94 e 95) “(…) che la regola de minimis risponde ad esigenze di semplificazione amministrativa sia per gli Stati membri sia per i servizi della Commissione, la quale deve poter concentrare le sue risorse sui casi di effettiva importanza a livello comunitario. Se, per applicare la regola de minimis, era necessario valutare di volta in volta se gli aiuti sono compatibili o no, l’onere di lavoro per gli Stati membri, tenuti a notificare i progetti di aiuto, e per la Commissione, tenuta a esaminarli, non verrebbe assolutamente ridotto.

Pertanto giustamente la Commissione, in applicazione della regola de minimis, non ha fatto distinzione tra la parte giudicata compatibile e la parte giudicata incompatibile del regime di aiuti di cui trattasi”. Tanto meno, dunque, può ritenersi che la regola de minimis possa essere considerata quale previsione del diritto ad una detrazione da quanto dovuto.

11.3 In base alle suddette considerazioni deve convenirsi per la correttezza della decisione assunta al riguardo dalla Corte territoriale, cosicchè deve riconoscersi l’infondatezza del tredicesimo motivo di ricorso.

12. In definitiva il ricorso deve essere rigettato.

La complessità delle questioni trattate e la mancanza, al momento di proposizione del ricorso, di precedenti specifici di legittimità consigliano la compensazione delle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Redazione