Inottemperanza all’ordine di esecuzione del giudice civile – Insussistenza del reato (Cass. pen. n. 45553/2012)

Redazione 21/11/12
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Rileva

1. – Con sentenza, deliberata il 3 febbraio 2011 e depositata il 10 marzo 2011, la Corte di appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano, in accoglimento del gradato motivo di appello del Pubblico Ministero (così qualificato il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica, giusta ordinanza di questa Corte suprema di cassazione 20 novembre 2009, n. 47323) e in riforma della gravata sentenza assolutoria (perché il fatto non costituisce reato) del Tribunale ordinario di Bolzano, 8 marzo 2007, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti dell’appellato *****, essendo estinta per prescrizione, la contravvenzione di inosservanza dei provvedimenti della Autorità, ai sensi dell’articolo 650 del Codice Penale, così riqualificata la originaria imputazione di rifiuto continuato di atti di ufficio, a’ termini degli articoli 81, comma secondo, e 328, comma primo, cod. pen., per avere il Fl., in qualità di direttore dell’Ufficio tutela sociale del lavoro della provincia autonoma di Bolzano, rifiutato, in due occasioni, di ottemperare le ordinanze del giudice del lavoro, 8 novembre 2004 e 1° marzo 2005, di esibizione dei processi verbali delle ispezioni eseguite presso le imprese ******* e ***********, s.r.l..
La Corte territoriale ha motivato: i rito è infondata l’eccezione difensiva di inammissibilità del gravame del Pubblico Ministero per la mancata formulazione della richiesta di condanna del giudicabile; la richiesta de qua, sebbene non sia stata espressamente enunciata, è, tuttavia, implicitamente desumibile dai motivi di appello alla luce del principio del favor impugnationis; nel merito le condotte di rifiuto sono pacifiche e incontestate; fondate sono le censure dell’appellante nei confronti della sentenza assolutoria per la supposta carenza dell’elemento psicologico del reato; l’imputato ha manifestato per iscritto e in modo inequivocabile che non intendeva dare esecuzione alle ordinanze del giudice del lavoro; prive di pregio e fondamento sono le giustificazioni del rifiuto, variamente addotte dalla difesa, sotto i profili della genericità della richiesta del giudice, del carico di lavoro dell’ufficio, del regime della pubblicità degli atti di ispezione; è, tuttavia, dubbia nella specie la sussistenza del requisito della indifferibilità dell’atto rifiutato, siccome previsto dalla fattispecie della norma incriminatrice di cui all’articolo 328 cod. pen.; la condotta deve, invece, essere qualificata ai sensi dell’articolo 650 Codice Penale (pur a dispetto del difforme orientamento della giurisprudenza di legittimità), essendo “ravvisabile” siffatto reato; ciò posto la contravvenzione ritenuta risulta estinta per maturata prescrizione.
2. – Ricorre per cassazione l’imputato, col ministero dei difensori di fiducia, avvocati ************* e ***************, mediante atto recante la data del 29 aprile 2011, col quale sviluppa tre motivi, dopo aver ricapitolato la vicenda processuale e riportato ampio stralcio della sentenza assolutoria di prime cure; nonché mediante “motivi aggiunti”, redatti dai succitati difensori il 3 ottobre 2012.
2.1 – Con il primo motivo del ricorso principale i difensori denunziano, ai sensi dell’articolo 606, comma l, lettera c), cod. proc. pen., inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, di inammissibilità, in relazione agli articoli 581, comma 1, lettera b), e 591, comma 1, lettera c), cod. proc. pen. reiterando, con citazione di alcuni arresti di legittimità, la proposta eccezione di inammissibilità dell’appello del Pubblico Ministero per la omessa formulazione della richiesta di condanna dell’ appellato. E, in proposito, obiettano che la richiesta de qua è assolutamente carente, in quanto la parte pubblica aveva concluso esclusivamente per l’annullamento della sentenza di primo grado; il rilievo del “solo fatto di aver proposto impugnazione” non vale a supplire la radicale carenza della richiesta di condanna.
2.2 – Con il secondo motivo i difensori denunziano, a’ sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, sia in ordine alla qualificazione della condotta ai sensi dell’articolo 650 cod. pen., affatto immotivata e meramente ipotetica, sia in ordine al consapevole contrasto colla giurisprudenza di legittimità.
2.3 – Con il terzo motivo i difensori denunziano, a’ sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., inosservanza o erronea applicazione della legge penale, in relazione all’articolo 650 cod. pen. e, in proposito, oppongono che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, il rifiuto di ottemperanza dei provvedimenti giurisdizionali non è sanzionabile a’ termini dell’articolo 650 cod. pen..
2.4 – Con i “motivi aggiunti” i difensori reiterano, ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera e), la denunzia del vizio di motivazione articolata col secondo motivo del ricorso principale in ordine alla definizione giuridica della condotta.
3. – Il ricorso è, nei termini che seguono, fondato.
3.1 – Deve essere disatteso il primo motivo di ricorso, circa la inammissibilità della impugnazione del Pubblico Ministero.
L’arresto invocato dal ricorrente (peraltro con citazione in parte inesatta) contraddice la tesi sostenuta dal difensore, in quanto la pronuncia ha riconosciuto che le richieste “possono anche desumersi implicitamente dai motivi […] infatti l’atto di impugnazione va valutato nel suo complesso in applicazione del principio del favor impugnationis”. (Sez. 5, n. 23412 del 06/05/2003 – dep. 28/05/2003, Caratossidis).
Il principio è in linea col prevalente orientamento di questa Corte suprema di cassazione, secondo la quale “le norme in materia d’impugnazione sono ispirate ad un buon principio ed articolato formalismo, nella implicita e necessaria prospettiva di delimitare nei suoi esatti confini il campo di indagine del giudice del gravame; tuttavia tale formalismo non va inutilmente esasperata, ogni qualvolta in cui sia possibile la sicura individuazione dei vari elementi dell’atto d’impugnazione, altrimenti mortificandosi il principio del favor impugnationis. Ne consegue che per stabilirne l’ammissibilità, l’atto d’impugnazione deve essere valutato nel suo complesso perché solo attraverso un esame unitario è possibile verificare la completezza del suo contenuto e, quindi, la sua idoneità a dare impulso al grado successivo di giudizio” (così per tutte: Sez. 6, n. 5414 del 01/03/1995 – dep. 11/05/1995, ****** ed altri; e, proprio in termini, nel caso, appunto di appello del Pubblico Ministero privo della enunciazione della richiesta di condanna dell’imputato, Sez. 6, n. 29235 del 18/05/2010 – dep. 26/07/2010, ***** e altri).
Nella specie, peraltro, il Pubblico Ministero, nel ricorso immediato per cassazione del 4 luglio 2007 (qualificato come appello da questa Corte suprema di cassazione), aveva ritualmente e compiutamente formulato le richieste dell’atto di impugnazione, postulando l’annullamento della sentenza impugnata e, per l’effetto, la trasmissione degli “atti ad altra Sezione del Tribunale di Bolzano”, e, pertanto, dimostrando, così, di instare, alla stregua delle censure proposte avverso la sentenza assolutoria, per la condanna dell’imputato (cfr., in proposito, Sez. 6, n. 7742 del 06/02/2004 – dep. 23/02/2004, P.G. in proc. ******** e altri, che ha ritenuto “ammissibile l’appello del Pubblico Ministero contro la sentenza di assoluzione, pronunciata all’esito del giudizio abbreviato celebrato davanti al GUP, col quale si richieda erroneamente il rinvio a giudizio e non la condanna dell’imputato”).
3.2 – Privo di giuridico pregio è il secondo motivo di impugnazione.
Invero, non sono denunciabili con il ricorso per cassazione “i vizi della motivazione nelle questioni di diritto affrontate dal giudice di merito in relazione alla argomentazioni giuridiche delle parti” (Cass., Sez. V, 22 febbraio 1994, n. 4173), in quanto o le medesime “sono fondate, e allora il fatto che il giudice le abbia disattese (motivatamente o meno) dà luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge; ovvero sono infondate, e allora che il giudice le abbia disattese non può dar luogo ad alcun vizio di legittimità della pronuncia giudiziale, avuto anche riguardo al disposto di cui all’art. 619, comma primo, c. p. p., che consente di correggere, ove necessario, la motivazione quando la decisione in diritto sia comunque corretta” (Cass., Sez. I, 17 dicembre 1991, 11. 4-931).
3.3 – È fondato il terzo motivo di ricorso.
Questa Corte suprema di cassazione ha fissato il principio di diritto secondo il quale “la contravvenzione riguardante l’inosservanza dei provvedimenti dell’autorità dati per ragioni di giustizia di cui all’articolo 650 cod. pen., può avere a presupposto solo quelli oggettivamente amministrativi che, pur se emanati per motivi inerenti ad attività dirette a scopi di giustizia, hanno come contenuto un esercizio della potestà amministrativa destinata a operare nei rapporti esterni all’attività propria del giudice; di conseguenza, fra tali provvedimenti non rientrano quelli tipici della funzione giurisdizionale: sentenza, ordinanza e decreto” (Sez. 1, In. 29436 del 13/06/2001 – dep. 20/07/2001, ***** e altro; Sez. 1, n. 12924 del 26/01/2001 – dep. 02/04/2001, *********; e Sez. 1, n. 41045 del 24/09/2003 – dep. 29/ 10/2003, *********).
L’inottemperanza dell’ordinanza di esibizione del giudice civile non è suscettibile di integrare, pertanto, la contravvenzione di inosservanza dei provvedimenti della Autorità, ai sensi dell’articolo 650 del Codice Penale.
Sicché, una volta esclusa, nella specie, dalla Corte territoriale la ricorrenza del contestato delitto di omissione di atti di ufficio – pel difetto del requisito della indifferibilità dell’atto rifiutato – e non essendo, d’altro canto, configurabile la fattispecie sussidiaria della contravvenzione erroneamente ritenuta, l’imputato doveva essere assolto con la formula (più favorevole) di quella adottata in primo grado della insussistenza del fatto., rilevabile di ufficio nella sede del presente scrutinio di legittimità ai sensi dell’articolo 609, comma 2, cod. proc. pen. in relazione all’articolo 129, comma 2, cod. proc. pen..
3.4 – Consegue l’annullamento, senza rinvio, della sentenza impugnata, perché il fatto non sussiste.

 

P.Q.M.

Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.

Così deciso, il 23 ottobre 2012.

Redazione