Ingiusta detenzione: risarcimento danni in favore dei parenti del detenuto defunto (Cass. n. 76/2013)

Redazione 02/01/13
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Ritenuto in fatto

Ricorre per cassazione il difensore di fiducia e procuratore speciale di P.P. , V.R. e V.F. quali eredi di V.B. avverso l’ordinanza emessa in data 21.11.2011 dalla Corte di Appello di Bari che rigettava l’istanza di riparazione dell’ingiusta detenzione subita (dal 20.3.2001 al 28.3.2001 in carcere e da tale data al 14.5.2002 agli arresti domiciliari per i delitti di estorsione e rapina dai quali era stato poi assolto con sentenza divenuta definitiva) da V.B. (nelle more deceduto) a seguito di istanza da quello presentata il 2.5.2007, nel cui procedimento gli odierni ricorrenti si erano poi costituiti con atto depositato il 21.10.2007.
La Corte territoriale motivava la sua decisione di rigetto assumendo che i congiunti costituiti si erano dichiarati eredi di V.B. e beneficiari della somma pretesa a titolo di riparazione senza allegare di aver patito un danno a causa della restrizione cautelare del congiunto: i predetti, dunque, pur agendo jure proprio, avevano totalmente omesso di provare e finanche di prospettare le conseguenze pregiudizievoli personali a base della pretesa indennitaria.
I ricorrenti deducono nel ricorso in esame l’erronea applicazione degli artt. 314, 315 e 644 c.p.p. e la mancanza di motivazione. Prospettano, altresì, la violazione di legge ed il vizio motivazionale in ordine alla ritenuta mancata prova delle conseguenze pregiudizievoli patite.
Il Procuratore generale in sede, all’esito della requisitoria scritta, ha concluso per l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.
È stata depositata, ad opera dell’Avvocatura generale dello Stato nell’interesse del Ministero dell’Economia e delle Finanze, una memoria difensiva a sostegno dell’ordinanza impugnata.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato e merita accoglimento. È palese l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale.
Pur riconoscendo che l’indennizzo per l’ingiusta detenzione, in caso di morte dell’avente diritto, spetta ai congiunti elencati nell’art. 644 comma 1 c.p.p. (a tal proposito citando Cass. pen. Sez. IV n. 19322 del 2005), ha respinto l’istanza originaria di riparazione del de cuius addossando ai congiunti subentrati l’onere probatorio in ordine al pregiudizio personalmente patito a causa dell’ingiusta detenzione subita dall’avente diritto. Costoro, però, nel “riassumere” o “proseguire” la causa “interrotta” per effetto dell’intervenuto decesso del congiunto, subentrano nel diritto all’indennità originariamente dovuta a quest’ultimo e non già ad una nuova e diversa indennità commisurata alle ripercussioni dell’ingiusta detenzione nella propria sfera personale. Invero, “Gli eredi dell’autore della domanda di riparazione per l’ingiusta detenzione sono legittimati a proseguire il giudizio in caso di decesso dell’interessato nelle more del giudizio, trovando applicazione nel caso, dato il carattere economico del “petitum”, la disciplina processualcivilistica, che ricollega l’estinzione del processo non alla morte della parte ma alla mancata prosecuzione o riassunzione in termini dello stesso da parte dei successori aventi diritto”. (Conf. sull’applicabilità della disciplina del processo civile Cass. 3.2.1998, n. 370, P.M. in proc. *****).(Cass. pen. Sez. IV, n. 268 del 22.1.1998, Rv. 210627).
Il disposto dell’art. 315 comma 3 c.p.p. dispone che, nel procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione, si applicano (ovviamente per quanto non specificamente disposto) “in quanto compatibili, le norme sulla riparazione dell’errore giudiziario”. La norma sulla riparazione dell’errore giudiziario che disciplina il caso della premorienza del titolare del diritto è costituita dall’art. 644 comma 1 c.p.p. secondo cui “se il condannato muore, anche prima del procedimento di revisione, il diritto alla riparazione spetta al coniuge, ai discendenti e ascendenti” ; e il secondo comma precisa che a queste persone non può essere liquidata una somma maggiore di quella che sarebbe spettata al prosciolto.
La tesi secondo cui il rinvio alle norme sulla riparazione dell’errore giudiziario si riferirebbe alle sole norme procedimentali è stata rifiutata dalle sezioni unite di questa Corte con la sentenza 14 dicembre 1994, L. e questa soluzione è stata condivisa da tutta la successiva giurisprudenza di legittimità.
La medesima sentenza ha affrontato anche il problema della compatibilità di queste norme con l’istituto per la riparazione dell’ingiusta detenzione risolvendolo positivamente “dato che gli effetti pregiudizievoli dell’ingiusta detenzione, come quelli dell’errore giudiziario, sono naturalmente destinati a propagarsi nell’ambito familiare, legittimando, nel caso della morte della persona che ha subito l’ingiusto provvedimento, una pretesa riparatola dei congiunti”.
Ma, ciò che più interessa, la norma è idonea a risolvere il problema proposto indipendentemente dall’inquadramento teorico che si voglia dare all’istituto della riparazione, e alla natura ad esso riconosciuta, sotto il profilo della personalità del diritto maturato.
Secondo la comune accezione, la riparazione per l’ingiusta detenzione non ha natura di risarcimento del danno ma di semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale per chi sia stato ingiustamente privato della libertà personale; e ciò in applicazione dell’art. 24 comma 4 della Costituzione oltre che dell’art. 5 comma 5 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 9 n. 5 del Patto internazionale dei diritti civili e politici.Si tratta di uno dei casi di indennità previsti per ipotesi nelle quali il pregiudizio deriva da una condotta conforme all’ordinamento che però ha prodotto un danno che deve comunque essere riparato e per i quali si è fatto ricorso alla figura dell’atto lecito dannoso: l’atto è stato infatti emesso nell’esercizio di un’attività legittima (e doverosa) da parte degli organi dello Stato anche se, in tempi successivi, ne è stata dimostrata (non l’illegittimità ma) l’ingiustizia.
Così ricostruito l’istituto, ne consegue che la natura indennitaria dell’istituto non ne escluderebbe, in via teorica, la trasmissibilità per via ereditaria, in ogni caso, benché l’art. 644 comma 3 in esame attribuisca agli eredi un diritto spettante iure proprio e non iure hereditario (secondo la tesi sostenuta dalle sezioni unite nella ricordata sentenza) il loro diritto è commisurato a quello della persona defunta e ingiustamente detenuta come espressamente ivi previsto (v. supra).
Insomma, come si legge nella sentenza di questa Corte citata dall’ordinanza impugnata (Cass. pen. Sez. IV, n. 20916 del 19.4.2005 Rv. 231655), che si condivide pienamente, “la norma attribuisce alle persone in questione, indipendentemente dalla soluzione dei problemi teorici indicati, il diritto alla riparazione spettante al congiunto defunto di cui quindi (il legislatore, non l’interprete) ha escluso la natura strettamente personale cui conseguirebbe l’intrasmissibilità secondo la non condivisibile opinione dei giudici di merito”.
Conclusivamente, avendo la riparazione per l’ingiusta detenzione natura di indennizzo conseguente all’atto lecito dannoso e pur attribuendo, pertanto, l’art. 644 cod. proc. pen. agli eredi un diritto “iure proprio” (come da Cass. pen. Sez. Un. del 14 dicembre 1994), esso è comunque commisurato a quello della persona defunta, con la conseguenza che i prossimi congiunti possono far valere in giudizio il danno subito dal defunto (Cass. pen. Sez. IV, n. 20916 del 19.4.2005 Rv. 231655; Sez. IV, n. 19322 del 16.2.2005, Rv. 231552).
Consegue l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bari cui va demandato il regolamento tra le parti private delle spese relative a questo giudizio.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Bari, cui demanda anche il regolamento tra le parti private delle spese per questo giudizio.

Redazione