Responsabilità del datore di lavoro ed infortunio sul lavoro (Cass. pen. n. 21199/2012)

Scarica PDF Stampa

Nella sentenza in epigrafe i giudici di legittimità sono chiamati a valutare la responsabilità del datore di lavoro per la morte di un lavoratore dipendente.

La vittima, alla guida di un carrello elevatore, per effetto di un errore di manovra non esattamente definito, provocava il ribaltamento del veicolo cui conseguiva l’impatto tra il cranio e la struttura metallica dell’abitacolo – peraltro costruita artigianalmente e insicura essendo costituita da materiale anelastico – che cagionava lesioni letali.

Al datore di lavoro veniva mosso l’addebito di aver messo a disposizione del dipendente un carrello privo di cintura di sicurezza e con struttura metallica dell’abitacolo insicura; sia in primo che in secondo grado, pertanto, l’imputato veniva condannato per omicidio colposo commesso in violazione delle norme sulla sicurezza del lavoro.

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso, afferma che la valutazione della penale responsabilità in ordine alla morte del lavoratore effettuata dai giudici di merito è basata su plurime e significative acquisizioni probatorie ed è supportata dalle valutazioni del consulente tecnico, il quale ha rimarcato che se fosse stata indossata la cintura, di cui il mezzo era sprovvisto, il bacino del conducente sarebbe rimasto bloccato, con la conseguenza che l’urto sarebbe stato molto meno violento e le conseguenze del tutto differenti da quelle verificatesi. Inoltre, la cabina era irregolare e il conducente non indossava il casco che avrebbe costituito una efficace protezione. Va sottolineato, tuttavia, che anche nell’ipotesi in cui tale equipaggiamento fosse stato fornito, incombeva comunque sul datore di lavoro l’obbligo di assicurare l’osservanza della normativa antinfortunistica.

Ciò è prescritto al datore di lavoro dall’art. 2087 c.c., che, se non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva, gli impone però di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre che in concreto si rendano necessarie per la tutela del lavoratore in base all’esperienza e alla tecnica; tuttavia, da detta norma non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato, occorrendo invece che l’evento sia riferibile a sua colpa, dal momento che la colpa costituisce, comunque, elemento della responsabilità contrattuale del datore di lavoro. (Cass., Sez. Lavoro, sent. 17 aprile 2012, n. 6002; conformi: Cass. n. 8710/2007; Cass. n. 10579/2008).

La Cassazione sostiene pertanto, nella sentenza in esame, che la valutazione compiuta in sede di merito risulta immune da vizi logico giuridici e di conseguenza non sia sindacabile in fase di legittimità. La pronunzia in fase di merito, infatti, ha dimostrato in modo convincente come la mancanza della cintura di sicurezza ventrale abbia avuto un ruolo decisivo nella dinamica del sinistro, incrementando in modo drammatico l’entità dell’impatto del cranio con le parti metalliche del veicolo e cagionando quindi l’evento letale. Tale valutazione fonda pertanto correttamente, a parere dei giudici di legittimità,  il giudizio di colpevolezza e l’affermazione di responsabilità.

Poiché la normativa antinfortunistica risulta finalizzata a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da una sua negligenza, imprudenza ed imperizia, in tema di infortuni sul lavoro la responsabilità del datore di lavoro può esser esclusa solo in presenza di un comportamento del lavoratore stesso che presenti i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle precise direttive organizzative ricevute, che sia del tutto imprevedibile od inopinabile.

In tema di omicidio colposo commesso con violazione della normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro, in particolare, solo un comportamento anomalo del lavoratore, estraneo al processo produttivo od alle mansioni attribuite, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore, può rivestire il ruolo di causa sopravvenuta, da sola sufficiente a cagionare l’evento interrompendo il nesso di causa sì da escludere la responsabilità del datore di lavoro. (Cass. pen., sez. IV, sent. 28 settembre 2011, n.35204)

Nel caso di specie il sinistro ha avuto luogo per un errore commesso dal lavoratore nel corso dell’esecuzione di una manovra mentre si trovava alla guida del carrello, manovra che, benché avventata, disattenta, imprudente, negligente del lavoratore, è stata posta in essere nel contesto dell’attività lavorativa svolta e non è riconducibile a un comportamento arbitrario ed abnorme, che avrebbe causato l’interruzione del nesso di causalità al punto da sollevare il datore di lavoro da qualsiasi addebito.

In punto di trattamento sanzionatorio, la Suprema Corte ritiene congrua la pena comminata in sede di merito, che escludeva l’applicazione delle attenuanti generiche, in quanto l’imputato risulta essere già gravato da tre precedenti condanne, tutte afferenti alla violazione della normativa sulla sicurezza del lavoro.

 

Maria Tacchinardi
Dott.ssa – Praticante avvocato Roma

Sentenza collegata

37134-1.pdf 99kB

Iscriviti alla newsletter per poter scaricare gli allegati

Grazie per esserti iscritto alla newsletter. Ora puoi scaricare il tuo contenuto.

Tacchinardi Maria

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento