Infortunio sul lavoro: liquidazione danno morale nella misura di due terzi del biologico qualora non ne sia provata l’inadeguatezza (Cass. n. 15879/2012)

Redazione 20/09/12
Scarica PDF Stampa

Svolgimento del processo

Con ricorso al Tribunale di Torino, il sig. G.L. evocava in giudizio la THYSSENKRUPP ACCIAI SPECIALI TERNI s.p.a. e, premesso di lavorare alle sue dipendenze e di aver subito il 19.2.2005 un infortunio sul lavoro del quale la datrice doveva ritenersi responsabile ex art. 2087 c.c., chiedeva al Tribunale di condannare la convenuta a corrispondergli, a titolo di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti, l’importo complessivo di Euro.802.611,12, oltre accessori di legge.

Si costituiva la THYSSENKRUPP ACCIAI SPECIALI TERNI spa chiedendo la reiezione della domanda proposta, sostanzialmente deducendo l’assenza di ogni sua responsabilità in ordine all’infortunio occorso al G. e la esclusiva riconducibilità del sinistro al comportamento atipico ed inusuale tenuto nell’occasione dal lavoratore, chiedendo comunque in subordine l’accertamento del concorso di colpa dello stesso e la corrispondente riduzione del risarcimento dovuto, con detrazione, dal risarcimento del danno biologico, di quanto corrisposto dall’INAIL per il medesimo titolo.

L’INAIL interveniva in causa ex art. 105 c.p.c., proponendo azione di regresso e chiedendo al Tribunale, una volta ritenuta la responsabilità della società per l’infortunio sul lavoro occorso al G., la condanna della ******* al pagamento in favore dell’Istituto della somma di Euro 191.317,860 oltre accessori.

La THYSSEN chiedeva la reiezione della domanda dell’INAIL, contestando ogni sua responsabilità in ordine all’infortunio e comunque deducendo di essere obbligata unicamente nei limiti del “danno civilistico”.

Svolta attività istruttoria ed esperita c.t.u. medico – legale, il Tribunale di Torino, con sentenza del 16 marzo 2009 accoglieva parzialmente la domanda, e, ritenendo la sussistenza di un concorso di colpa del ricorrente nella determinazione dell’evento pari al 25%, condannava la società a pagare al G. l’importo di Euro.321.381,00, oltre interessi e rivalutazione ed all’INAIL la somma di Euro.178.729,50, oltre interessi.

Avverso detta sentenza interponeva appello il G., chiedendone la parziale riforma.

La THYSSEN chiedeva la reiezione del gravame e proponeva a sua volta appello incidentale diretto al totale rigetto delle domande del lavoratore e dell’I.N.A.I.L. Anche quest’ultimo proponeva appello incidentale, aderendo all’appello proposto dal G. e chiedendo la parziale riforma della sentenza, insistendo per l’accoglimento dell’originaria domanda.

La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata il 12 aprile 2010, escludeva la sussistenza di un concorso di colpa del G. e riduceva al contempo l’entità del danno morale attribuitogli dal Tribunale;

riconosceva la debenza delle ulteriori somme richieste dall’I.N.A.I.L. in via di regresso, e condannava la società THISSEN a pagare al G. l’ulteriore somma di Euro.58.028,41, oltre accessori, ed all’I.N.A.I.L. l’ulteriore somma di Euro. 90.212,64, oltre interessi legali.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il G., affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria.

Resiste la THISSEN con controricorso contenente ricorso incidentale, affidato a tre motivi, poi illustrati con memoria, cui resiste l’I.N.A.I.L. con controricorso.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo il G. denuncia un vizio di ultra petizione, per avere la Corte territoriale ridotto, in violazione dell’art. 112 c.p.c., la misura del danno morale riconosciuta dal primo giudice nella misura dei 2/3 del danno biologico.

La censura è in parte infondata e per il resto inammissibile.

Sostiene infatti il ricorrente principale di aver appellato la sentenza di primo grado unicamente in ordine alla ritenuta sussistenza di una sua colpa nella determinazione dell’infortunio, sicchè l’appello incidentale della THISSEN non poteva a suo avviso riguardare l’ammontare del danno non patrimoniale riconosciuto dal Tribunale.

La tesi non può essere condivisa.

Premesso che ben può l’appellante incidentale impugnare, anche tardivamente, capi della sentenza di primo grado non oggetto di gravame principale (da ultimo, Cass. 10 ottobre 2008 n. 24902), la censura sottopone alla Corte una interpretazione dell’appello incidentale che spetta unicamente al giudice di merito, implicando valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione – così come avviene per ogni operazione ermeneutica – ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito (Cass. 9 settembre 2008 n. 22893; Cass. 1 febbraio 2007 n. 2217; Cass. 22 febbraio 2005 n. 3538).

La Corte di merito ha al riguardo accertato che la THISSEN, nel suo appello incidentale, impugnò la sentenza del Tribunale anche con riferimento alla quantificazione, ritenuta eccessiva, del danno biologico e morale (pag. 19 sentenza impugnata), come del resto ammette lo stesso ricorrente principale (pag. 6 ricorso).

2. Con il secondo motivo il G. denuncia la violazione del D.M. 8 aprile 2004, art. 5, (tariffe forensi), e dell’art. 10 c.p.c..

Lamenta che nella specie il valore complessivo della causa era di circa 376.000 Euro., cui dovevano sommarsi gli accessori, per un totale di 432.787,53 Euro.

Il motivo è infondato posto che, come dedotto dallo steso ricorrente e come rimarcato dalla Corte di merito, il calcolo delle spese legali venne fatto con riferimento allo scaglione di valore compreso tra Euro 516.500,00 ed Euro 1.549.400,00, sicchè correttamente il giudice di appello ha chiarito che “le spese del gravame vengono liquidate sulla base degli atti e non in base alla notula depositata dal difensore… perchè la stessa nota spese risulta redatta con riferimento ad uno scaglione diverso e superiore a quello effettivo” (pag. 29 sentenza impugnata).

Tale motivazione non risulta specificamente censurata dal ricorrente.

3. Con il terzo motivo il G. denuncia la violazione dell’art. 2059 c.c., e art. 420 c.p.c..

Lamenta che la Corte di merito per un verso non personalizzò adeguatamente la misura del danno non patrimoniale, in contrasto con la sentenza n. 26972/08 delle sezioni unite di questa S.C., d’altro canto giustificò la riduzione sulla base dell’originaria richiesta del ricorrente che tuttavia provvide a modificarla in corso di causa senza alcuna contestazione ad opera delle parti, dovendosi così ritenere implicitamente ammessa dal giudice di appello ex art. 420 c.p.c., che consente di modificare le domande, eccezioni e conclusioni già formulate, ove ricorrano gravi motivi.

Il motivo è infondato.

Deve in primo luogo rilevarsi che nessuna autorizzazione, neppure implicita, vi è stata per la modifica della domanda o delle conclusioni ad opera del ricorrente, avendo la Corte di merito esplicitamente escluso la riconoscibilità di un danno superiore a quello originariamente richiesto.

Deve poi notarsi che l’invocata sentenza n. 26972/08 ha chiarito che il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l’attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perchè costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo.

Nella specie il G. ha ottenuto, oltre al danno patrimoniale, il danno biologico permanente e temporaneo, nonchè il danno morale (sia pur ridotto secondo i criteri tabellari in uso presso il Tribunale di Milano).

Il ricorrente non spiega adeguatamente, in contrasto col principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, perchè la quantificazione operata sarebbe erronea ed in base a quali criteri il giudice di appello sarebbe dovuto giungere ad una quantificazione maggiore.

4. Con il primo motivo del ricorso incidentale la società THISSENKRUPP denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1227, 2043, 2056 e 2087 c.c., e degli artt. 40 e 41, 590 c.p.; degli artt. 112, 115 e 116, 342 e 434 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudizio.

Lamenta che la società, nel suo appello incidentale, richiese che fosse accertata la responsabilità esclusiva del lavoratore nella determinazione dell’evento, presentando il comportamento del G. i caratteri dell’inopinabilità, atipicità ed eccezionalità. Che i giudici di appello respinsero il gravame incidentale erroneamente valutando ed interpretando le risultanze testimoniali, di cui riproduceva vari brani. Il motivo è inammissibile, sottoponendo alla Corte un riesame in fatto delle risultanze istruttorie ed un diverso apprezzamento delle stesse.

Deve infatti considerarsi che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione qualora esso intenda far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, prospetti un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata. In caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (ex plurimis, Cass. 26 marzo 2010 n. 7394).

Nella specie la Corte territoriale ha adeguatamente motivato circa la non abnormità della condotta del G. alla luce delle risultanze istruttorie (pagg. 18-19 sentenza).

Per il resto la ricorrente non spiega adeguatamente perchè la decisione impugnata sarebbe in contrasto con le plurime norme di legge invocate. 5. Con il secondo motivo la THISSENKRUPP denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 2043 e 2056 c.c.; del D.Lgs. n. 38 del 2000, art. 13; degli artt. 112, 115, 116, 342 e 434 c.p.c.. Nullità della sentenza ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a fatti controversi e decisivi per il giudizio relativi alla liquidazione del danno differenziale.

Lamenta che la personalizzazione (con aumento del 20%) del danno subito dal G. era eccessiva e non teneva conto delle “nuove Tabelle del Foro milanese”. Lamenta inoltre che la Corte di merito aveva errato laddove, nella liquidazione del danno differenziale, aveva detratto solo l’importo di Euro.85.697,84 e non già quello (maggiore) di Euro.93.765,55 effettivamente corrisposto dall’I.N.A.I.L., come dall’istituto documentato.

Si duole che la Corte territoriale addivenne a tale decisione ritenendo erroneamente che la società limitò tale richiesta al minor importo di Euro 85.697,84.

Il motivo è in larga parte inammissibile e per il resto infondato.

Ed invero la società, in contrasto col principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non chiarisce cosa prevedano le “nuove Tabelle del Foro milanese”, nè la data della loro adozione, nè la ragione per cui la Corte d’appello avrebbe dovuto applicarle al caso di specie e con quali risultati. In ogni caso non le allega al ricorso, nè indica la loro eventuale ubicazione all’interno dei fascicoli di causa (cfr. da ultimo Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726). Non censura peraltro quanto accertato sul punto dalla Corte distrettuale, e cioè l’assenza di contestazioni circa l’utilizzazione delle Tabelle del Tribunale di Milano aggiornate al 2008 (pag. 20 sentenza impugnata). Nulla poi deduce e chiarisce circa la lamentata nullità della sentenza.

Per il resto richiede a questa S.C. una diversa interpretazione degli atti difensivi, che è invece compito del giudice di merito e implica valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione – così come avviene per ogni operazione ermeneutica – ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito (Cass. 9 settembre 2008 n. 22893; Cass. 1 “febbraio 2007 n. 2217; Cass. 22 febbraio 2005 n. 3538). Nella specie la stessa società non nega di aver richiesto la detrazione solo della somma di Euro 85.697,84, lamentando tuttavia che dall’esame complessivo dell’atto doveva evincersi la richiesta della detrazione della somma integrale erogata dall’INAIL a tale titolo. La Corte territoriale ha al riguardo evidenziato che la società nulla dedusse al riguardo anche dopo la produzione della documentazione INAIL, nè in sede di gravame incidentale, nè in sede di discussione (pag. 22 sentenza impugnata), sicchè risultano infondate le doglianze inerenti le denunciate violazioni delle norme di rito indicate ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

6. Con il terzo motivo la società ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115, 116, 342 e 434 c.p.c., nonchè la nullità della sentenza per omessa pronuncia in merito al capo relativo alla liquidazione del danno patrimoniale. Si doleva di aver contestato che dall’istruttoria espletata fosse emersa l’esistenza di un danno patrimoniale in capo al G., e che comunque dalla somma riconosciuta andava detratto quanto ricevuto dall’I.N.A.I.L. a tale titolo (Euro.109.949,74).

Il motivo è infondato.

Ed invero mentre risulta generica la doglianza in ordine al riconoscimento del danno patrimoniale, ampiamente motivato dal giudice d’appello, risulta infondata la doglianza in ordine alla mancata detrazione di quanto corrisposto dall’I.N.A.I.L. a titolo di danno patrimoniale.

Non perchè tale domanda non risulti ritualmente proposta, sia pure in via subordinata, dalla società ******* (del resto fedelmente riportata nelle conclusioni dalla sentenza impugnata, pag. 4).

Nè perchè la tesi risulti, in via astratta, erronea (cfr. in tal senso, da ultimo, Cass. 2 luglio 2010 n. 15738).

Ritiene invero la Corte che la società THISSEN non abbia specificato, nè chiarito, nè allegato o indicata la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa, la fonte documentale da cui risulterebbe erogata al G. la somma di Euro 109.949,74, impedendo così alla Corte di esaminare la questione.

Ed invero deve evidenziarsi che il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito, indicandone la sua esatta ubicazione all’interno dei fascicoli di causa (Cass. sez. un. 3 novembre 2011 n. 22726), al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse, che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la S.C. deve essere in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto (Cass. ord. 30 luglio 2010 n. 17915).

I ricorsi vanno pertanto respinti.

Le spese debbono conseguentemente compensarsi tra le parti, I.N.A.I.L. compreso, limitatosi ad aderire al ricorso principale.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta entrambi. Compensa le spese del presente giudizio di legittimità.

Redazione