Infortunio in itinere: dal risarcimento riconosciuto al danneggiato va detratta la somma versata dall’Inail?

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Sul quesito è intervenuta la Cassazione Civile a Sezioni Unite con la sentenza 22 maggio 2018, n. 12566 statuendo il seguente principio di diritto: l’importo della rendita per l’inabilità permanente corrisposta dall’Inail per l’infortunio in itinere occorso al lavoratore, va detratto dall’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato, allo stesso titolo, da parte del terzo responsabile del fatto illecito”.

La vicenda in questione, trae origine da una controversia instaurata dalla vittima di un sinistro stradale, ove i responsabili furono condannati, in primo grado, al risarcimento del danno in favore della stessa. In seguito, invece, la Corte d’appello ridusse l’ammontare del risarcimento, ritenendo che da quanto liquidato, dovesse essere detratto il valore capitalizzato della rendita Inail ricevuta dalla vittima per il medesimo evento dannoso. Avverso tale ultima decisione lo stesso danneggiato proponeva ricorso in Cassazione. Con ordinanza interlocutoria 22 giugno 2017, n. 15535, la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione  del ricorso alle Sezioni Unite al fine di risolvere il contrasto di giurisprudenza sulla questione “se dall’ammontare del danno risarcibile si debba scomputare la rendita per l’inabilità permanente riconosciuta dall’INAIL a seguito di infortunio occorso al lavoratore durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro”.

Sul punto si registrano due orientamenti giurisprudenziali contrapposti tra loro:

Un primo orientamento, facente capo alla sentenza della Cass. n. 21897 del 2009, sostiene che “la costituzione, da parte dell’assicuratore sociale, di una rendita in favore dei prossimi congiunti di persona deceduta in conseguenza di un sinistro stradale in itinere, non esclude né riduce in alcun modo il loro diritto al risarcimento del danno patrimoniale nei confronti del responsabile, non operando in tale ipotesi il principio della compensano lucri cum damno, a causa della diversità del titolo giustificativo della rendita rispetto a quello del risarcimento”. In base a questo indirizzo, non sussiste alcuna duplicazione del danno ai sensi dell’art. 1916 cod. civ., che concerne il diritto di surrogazione dell’assicuratore verso il responsabile, e non già il diritto del medesimo di eccepire il pagamento del terzo assicuratore sociale come fatto estintivo o compensativo del proprio debito;

Per l’orientamento di segno opposto, invece, le somme liquidate dall’INAIL in favore del danneggiato da sinistro stradale a titolo di rendita vadano detratte, in base al principio indennitario, dall’ammontare del risarcimento dovuto al danneggiato da parte del terzo responsabile.

Le Sezioni Unite sposano quest’ultimo indirizzo, essendo favorevoli al divieto di cumulo asserendo che:

(a) alla vittima di un fatto illecito spetta il risarcimento del danno esistente nel suo patrimonio al momento della liquidazione;

(b) nella stima di questo danno occorre tenere conto dei vantaggi che, prima della liquidazione, siano pervenuti o certamente perverranno alla vittima, a condizione che il vantaggio possa dirsi causato dal fatto illecito;

(c) per stabilire se il vantaggio sia stato causato dal fatto illecito deve applicarsi la stessa regola di causalità utilizzata per accertare se il danno sia conseguenza dell’illecito.

La soluzione di tale questione rimessa all’esame delle Sezioni Unite coinvolge, altresì, un tema di carattere più generale che attiene alla individuazione della attuale portata del principio della compensatio lucri cum damno. In particolare occorre stabilire se e a quali condizioni, nella determinazione del risarcimento del danno da fatto illecito, accanto alla poste negative si debbano considerare, operando una somma algebrica, le poste positive che, successivamente al fatto illecito, si presentano nel patrimonio del danneggiato, ovvero se  la compensatio possa operare come regola generale del diritto civile ovvero in relazione soltanto a determinate fattispecie”; “se nella liquidazione del danno debba tenersi conto del vantaggio che la vittima abbia comunque ottenuto in conseguenza del fatto illecito”, percependo emolumenti versatigli non solo da assicuratori sociali (come nella specie), bensì anche “da assicuratori privati… ovvero anche da terzi, ma comunque in virtù di atti indipendenti dalla volontà del danneggiante”. Per la Corte l’esistenza dell’istituto della compensatio, inteso come regola di evidenza operativa per la stima e la liquidazione del danno, non è controversa, trovando il proprio fondamento nella idea del danno risarcibile quale risultato di una valutazione globale degli effetti prodotti dall’atto dannoso. Se l’atto dannoso porta, accanto al danno, un vantaggio, quest’ultimo deve essere calcolato in diminuzione dell’entità del risarcimento: infatti, il danno non deve essere fonte di lucro e la misura del risarcimento non deve superare quella dell’interesse leso o condurre a sua volta ad un arricchimento ingiustificato del danneggiato. Principio, questo, desumibile dall’art. 1223 cod.civ., il quale stabilisce che il risarcimento del danno deve comprendere così la perdita subita dal danneggiato come il mancato guadagno, in quanto siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito.  In altri termini, il risarcimento deve coprire tutto il danno cagionato, ma non può oltrepassarlo, non potendo costituire fonte di arricchimento del danneggiato, il quale deve invece essere collocato nella stessa curva di indifferenza in cui si sarebbe trovato se non avesse subito l’illecito. Controversi sono piuttosto la portata e l’ambito di operatività della figura, ossia i limiti entro i quali la compensatio può trovare applicazione, soprattutto là dove il vantaggio acquisito al patrimonio del danneggiato in connessione con il fatto illecito derivi da un titolo diverso e vi siano due soggetti obbligati, appunto sulla base di fonti differenti.  Per la Corte la compensatio opera cioè in tutti i casi in cui sussista una coincidenza tra il soggetto autore dell’illecito tenuto al risarcimento e quello chiamato per legge ad erogare il beneficio, con l’effetto di assicurare al danneggiato una reintegra del suo patrimonio completa e senza duplicazioni. Tornado alla specifica questione oggetto del contrasto, occorre in primo luogo considerare che, nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, la rendita Inail costituisce una prestazione economica a contenuto indennitario erogata in funzione di copertura del pregiudizio occorso al lavoratore in caso di infortunio sulle vie del lavoro. Secondo la Suprema Corte, la rendita corrisposta dall’Inail, difatti, va a soddisfare, in parte neutralizzandola, la medesima perdita al cui integrale ristoro mira la disciplina della responsabilità risarcitoria del terzo, autore del fatto illecito, al quale sia addebitabile l’infortunio in itinere subito dal lavoratore. Le norme di riferimento sono, da una parte, l’art. 1916 cod. civ., e, dall’altra parte, l’ art. 142 dlgs 209/05. Tali norme, per l’appunto, regolano rapporti intersoggettivi diversi, rispettivamente nei confronti del terzo responsabile e del suo assicuratore, tuttavia contrassegnati da un elemento comune, ovvero la successione del credito risarcitorio dell’assicurato danneggiato. Tale successione del credito attribuisce all’ente gestore dell’assicurazione, che abbia indennizzato la vittima, la titolarità della pretesa nei confronti dei soggetti obbligati, al fine di ottenere il rimborso tanto dei ratei già versati quanto del valore capitalizzato delle prestazioni future. Infatti, l’istituto della surrogazione, da un lato, consente all’Inail di recuperare dal terzo responsabile le spese sostenute per le prestazioni assicurative erogate al lavoratore danneggiato e, dall’altro lato, impedisce a costui di cumulare, per lo stesso danno, la somma già riscossa a titolo di rendita assicurativa con l’intero importo del risarcimento del danno dovutogli dal terzo e di conseguire così due volte la riparazione del medesimo pregiudizio subito.

In conclusione, la Corte Suprema aderendo all’orientamento secondo cui, dal risarcimento danni spettante al danneggiato per illecito imputabile a terzi, va detratta l’eventuale rendita Inail frattanto percepita, sostiene che le somme che il danneggiato si sia viste liquidare da parte dell’Inail a titolo di rendita per l’inabilità permanente vanno detratte dall’ammontare dovuto, per il medesimo titolo, dal responsabile del fatto dannoso.

Sentenza collegata

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Avv. Fornaro Pasquale

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