Infortunio: il risarcimento del danno non patrimoniale è unitario ed integrale (Cass. n. 17898/2012)

Redazione 18/10/12
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In fatto e in diritto

1. D.A. , con atto di citazione, esponeva che, in data (omissis), verso le ore 17.00 circa, a bordo del proprio ciclomotore ***** 50, in (omissis), stava percorrendo la (omissis), con direzione (omissis), marciando a modesta andatura e tenendo la propria destra, quando un veicolo proveniente da tergo, non identificato, raggiungeva il ciclomotore e, procedendo sulla sinistra accanto allo stesso, improvvisamente deviava a destra, urtando il motoveicolo nella parte laterale sinistra e provocando la caduta sul selciato dell’istante. Subito dopo, un altro veicolo, rimasto anch’esso non identificato, la investiva, cagionandole lesioni gravissime, con pericolo di morte, cui conseguivano, delicatissimi interventi chirurgici, effettuati anche all’estero, con successivi postumi invalidanti permanenti. Evidenziando i danni conseguiti al sinistro, anche nei termini di interruzione dell’attività di hostess ed indossatrice svolta, a causa delle cicatrici conseguite alle lesioni, oltre che delle menomazioni fisiche e psichiche patite, che inducevano anche il rallentamento del corso di studi universitari frequentato, conveniva, previa rituale richiesta avanzata ai sensi dell’art. 22 l. 990/69, la società ****************, nella qualità di impresa designata per il FGVS, chiedendo il risarcimento di tutti i danni patiti. Si costituiva la società assicuratrice, contestando la fondatezza della domanda, ed assumendo che, in virtù della vaghezza dei rilievi di P.G. nell’immediato e dei contenuti delle dichiarazioni del teste N.I., il sinistro doveva ascriversi ad un’autonoma caduta della A. ; peraltro anche la prima missiva di messa in mora del 7.6.1995 non faceva minimo cenno alla doppia collisione. Il Tribunale di Napoli accoglieva parzialmente la domanda, ritenendo il concorso di colpa dell’A. nella misura del 50% e rigettando la domanda di risarcimento del danno morale ed esistenziale.
2. Con la sentenza oggetto delle presenti impugnazioni, depositata il 1 marzo 2006, la Corte d’Appello di Napoli accoglieva l’appello principale dell’A. limitatamente al riconoscimento del danno morale e respingeva l’appello incidentale delle G. , nella predetta qualità, osservando, per quanto qui rileva, che:
2.1. era infondato l’appello incidentale – volto ad attribuire l’esclusiva colpa del sinistro all’A. – perché l’espletata istruttoria non consentiva di superare il dubbio relativo al concorso nel sinistro del primo supposto veicolo, asseritamente responsabile della sbandata del motociclo, nonché la circostanza che l’ignoto veicolo investitore avrebbe dovuto, durante la marcia in galleria stradale, importante particolare prudenza, procedere in stretta aderenza al dettato dell’art. 149 del C.d.S., e quindi nel rispetto di prescrizioni che imponevano, in linea generale, una condotta di guida tale da consentire l’immediato arresto dell’autovettura;
2.2. non poteva – a differenza di quanto avvenuto in relazione alla richiesta di danno morale – trovare accoglimento l’appello dell’A. , con riferimento all’esclusione del danno esistenziale, in quanto la richiesta di risarcimento di tutti i danni derivati dal sinistro, presentata in primo grado, non soddisfaceva l’onere di specificità e precisione che la domanda giudiziale doveva presentare originariamente, onere di particolare pregnanza proprio con riferimento al danno in argomento, i cui ambiti, anche con riferimento ai delicati confini che lo separano dal danno morale, avrebbero dovuto essere invece delineati con particolare incisività; cosicché l’estrinsecazione della stessa soltanto nella comparsa conclusionale di primo grado era effettivamente tardiva, come ritenuto dal giudice di prime cure.
3. Ricorre per cassazione l’A., deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2056 e 2059 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., in ordine al rigetto della richiesta di risarcimento del danno esistenziale. La ricorrente premette che, contrariamente a quanto sostenuto dai Giudici del merito, già nella parte volitiva dell’atto introduttivo di primo grado aveva chiesto al Tribunale di accertare, preliminarmente, la responsabilità dell’ignoto investitore e di condannare, conseguentemente, la Assicurazioni G. – nella qualità d’impresa territorialmente designata – al risarcimento di tutti i danni da essa patiti e patendi, “danni tutti alla persona, biologico, patrimoniale, non patrimoniale, estetico, alla vita di relazione (in breve: nulla di escluso od eccettuato)”. Ripercorso l’iter processuale rispetto a tale domanda, la ricorrente principale rileva che, nel potere d’interpretazione della domanda, il Giudice non deve essere condizionato dalla formula adottata dalla parte, ma tenere conto piuttosto del contenuto sostanziale della pretesa, desumibile dalla situazione dedotta in causa, dalle eventuali precisazioni formulate in corso dei giudizio e dal provvedimento in concreto richiesto. Nella fattispecie, con l’inciso “nulla di escluso od eccettuato”, l’A. avrebbe inteso non porre alcun limite al contenuto della sua domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali, che evidentemente racchiudeva anche il pregiudizio del fare areddituale, determinante una modifica peggiorativa della personalità della lesa, da cui era conseguito uno sconvolgimento delle sue abitudini di vita, un’alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell’ambito della comune vita di relazione; ciò in quanto, al di là di ogni questione meramente terminologica e lessicale, si era realizzata in suo danno, come allegato e provato nel corso del giudizio, anche una lesione di altri interessi costituzionalmente protetti. La circostanza che in forza degli insegnamenti dottrinali e giurisprudenziali, in seguito, a tale vulnus fosse stata attribuita l’accezione “esistenziale”, non mutava affatto i termini della questione, poiché tale pregiudizio non esulava dalla volontà risarcitoria dell’attrice; quindi, tale argomento avrebbe dovuto intendersi legittimamente introdotto nel dibattito processuale, poiché rientrante nei confini dell’originario thema decidendum, nonché perché legittimamente richiesto sotto la nozione di danno non patrimoniale (vista anche l’atipicità delle conseguenze dannose scaturenti dall’illecito). Né era stato leso il diritto di difesa della convenuta, poiché nel corso del giudizio ne erano stati ritualmente allegati, illustrati e provati gli aspetti che lo componevano, nonché i campi nei quali esso aveva riverberato i suoi effetti. Anche dal punto di vista strettamente logico-sintattico, il porre la parentesi “(in breve, nulla di escluso od eccettuato)” dopo una parola a sua volta preceduta da una virgola, lasciava intendere chiaramente che la serie di pregiudizi indicati (estetico, alla vita di relazione) era dichiarata a titolo esemplificativo e non esaustivo e che la richiesta della danneggiata non doveva intendersi circoscritta ad essi. Diversamente, se tra la parola “estetico” e “alla vita di relazione” non ci fosse stata alcuna interpunzione, ma una “e” di congiunzione, ex adverso si sarebbe potuto obiettare che l’inciso “nulla di escluso od eccettuato” fosse riferito esclusivamente alla serie prima indicata e che, quindi, la domanda doveva intendersi espressamente limitata a tali categorie o “sottocategorie”. Fatto salvo, comunque, il discorso dell’appartenenza del danno esistenziale – consistente in una lesione di un valore inerente alla persona non connotato da rilevanza economica – all’ampia categoria del danno non patrimoniale, il cui ampio ristoro sarebbe stato esplicitamente, e dal primo momento, invocato dall’A. Il danno non patrimoniale – secondo la ricorrente -avrebbe dovuto essere riconosciuto e liquidato nella sua interezza sicché, laddove non limitata dalla parte a specifiche voci, la domanda avrebbe dovuto essere considerata come estesa a tutti gli aspetti che lo integravano: il danno morale (soggettivo), il danno biologico e il c.d. danno esistenziale.
4. Resiste con controricorso la Compagnia assicuratrice e chiede respingersi il ricorso; propone contestualmente ricorso incidentale, censurando la sentenza impugnata per contraddittorietà della motivazione sul punto in cui ha rigettato l’appello incidentale relativamente alla dinamica del sinistro. La Corte territoriale, con la sua decisione (v. punto 2.1.), avrebbe apertamente censurato (così come in parte avrebbe fatto il Tribunale) il contenuto delle dichiarazioni rese dai due testi introdotti da parte attrice, avendoli ritenuti inattendibili, ed avendo, invece, concesso massima credibilità al teste I. , del tutto spontaneo e genuino, presentatosi con alto senso civico alla Polizia qualche giorno dopo l’incidente per riferire ciò che aveva visto. Proprio sulla base delle dichiarazioni veritiere e “disinteressate” dell’I. , la Corte d’Appello è apparsa convinta che il ciclomotore condotto dall’A. “rovinò al suolo in fase di sbandamento” e che l’A. venne investita da una sola auto, quella che procedeva al suo fianco, senza che alcun contatto ci fosse stato tra il motociclo condotto dall’A. ed alcuna altra autovettura, così come risultava, d’altra parte, dalla prima richiesta avanzata dall’A. stessa, a mezzo del suo precedente difensore, avvocato ********** la Compagnia, la domanda avrebbe dovuto essere respinta perché: una volta esclusa l’attendibilità dei testi di parte attrice e ritenuta l’autenticità delle dichiarazioni dell’I. , considerato che l’A. “scivolò” e cadde a terra per suo conto senza che alcuna collisione, neppure lieve, si verificasse tra i veicoli, tenuto conto che sia il Tribunale, che la Corte d’Appello avrebbero escluso la presenza di un’auto non identificata che avrebbe colliso prima con il motociclo, provocandone la caduta (così come affermato in citazione). La contraddittorietà tra gli accertamenti eseguiti in via istruttoria, le motivazioni addotte dalla Corte (e dal Tribunale, prima), e la decisione finale, sarebbe stridente, ed apparirebbero oscure anche le conclusive motivazioni che avevano indotto i Giudici ad applicare al caso di specie l’art. 2054, comma 2, c.c. Infatti, non sarebbe stata dimostrata l’esistenza dell’auto menzionata da parte attrice che collise con il ciclomotore. Anzi perfino la Corte, mutuando quanto riferito alla Polizia dal teste I. , esclude la sua presenza; comunque, non risultava che il ciclomotore condotto dall’A. fosse venuto a collisione né con un primo né con un altro veicolo; non risultava un comportamento scorretto di guida da parte di altro conducente; l’investimento subito dall’A. sarebbe stato causato dalla sua caduta a terra che non era dimostrato fosse riconducibile a fatto o colpa di terzi; tale investimento non si verificò per una manovra di guida scorretta dell’automobilista che marciava affiancato al motociclo, ma fu provocato per fatto indipendente dallo stesso, riconducibile alla caduta ed allo slittamento dell’A. sotto l’auto che procedeva per suo conto, il cui conducente nulla avrebbe potuto fare per evitare l’investimento stante la fulmineità con la quale si verificò l’evento. L’applicazione dell’art. 2054, secondo comma c.c. contrasterebbe con l’istruttoria, e tradirebbe il contenuto dell’originaria citazione, laddove parte attrice aveva addebitato al conducente di un ignoto veicolo la responsabilità dell’incidente, veicolo che non era stato, però, dimostrato che ci fosse mai stato. Sul punto, sarebbe illogica la motivazione della Corte territoriale, allorché, nel respingere l’appello incidentale delle G. , addebita a questa di non aver considerato l’esistenza di un “…dubbio relativo al concorso nel sinistro del primo supposto veicolo…. “, veicolo che la stessa Corte d’Appello, come il Tribunale, aveva escluso che ci fosse, in sintonia con quanto era emerso dall’istruttoria. Pertanto, nella decisione impugnata sarebbero state ravvisabili le seguenti contraddizioni: a. l’esistenza di un’auto “pirata” che collise con il motociclo dell’A. , deviando la sua direttrice di marcia, non era stata dimostrata ed, anzi, sarebbe risultata smentita dall’istruttoria. La Corte d’Appello, però, allorché ha deciso la causa, rigettando l’appello incidentale delle G. , avrebbe contraddittoriamente ritenuto che tale “supposto” veicolo avesse potuto concorrere nelle cause del sinistro, ipotizzando la sua presenza che, invece, poco prima aveva negato che fosse esistita; b. la colpa, in mancanza di una collisione tra i veicoli, e nell’assoluta assenza di un qualsiasi elemento di prova circa il comportamento di guida scorretto di un altro conducente realizzante una turbativa alla circolazione, non sarebbe stata addebitarle a nessuno, per cui non sarebbe stato applicabile l’art. 2054 comma 2 c.c. come erroneamente e contraddittoriamente deciso in sentenza. Aggiunge la ricorrente incidentale che sussisterebbero anche palesi violazioni di norme di diritto nella decisione impugnata. Il fantomatico veicolo cui parte attrice in citazione aveva addebitato l’incidente, il cui conducente, sempre secondo l’assunto avverso, aveva deviato improvvisamente a destra, investendo il motociclo dell’A., poi fuggendo, non sarebbe risultato esistesse dall’istruttoria espletata, per cui l’originaria domanda avrebbe dovuto essere respinta, in sintonia con il principio di corrispondenza tra la domanda ed il pronunciato. Invece, al parziale accoglimento della pretesa attrice la Corte sarebbe pervenuta addebitando la presunzione di pari responsabilità al conducente di un veicolo inesistente o, comunque, diverso da quello indicato originariamente in citazione da parte attrice, modificando, in tal modo, la domanda proposta, in violazione del potere dispositivo delle parti, e dell’art. 112 c.p.c.
5. 1 ricorsi devono essere riuniti, essendo stati proposti avverso la medesima sentenza (art. 335 c.p.c.).
L’unico motivo del ricorso principale – con cui la ricorrente censura il mancato riconoscimento del danno esistenziale, perché la relativa domanda, la quale, secondo la Corte territoriale sarebbe stata proposta solo in grado di appello, avrebbe, invece, formato oggetto della richiesta di cui all’atto introduttivo del giudizio, con cui aveva domandato il risarcimento di “tutti i danni” e, quindi, anche di detta componente – non merita accoglimento, pur dovendo essere corretta la motivazione, in quanto non conforme al diritto (art. 384, secondo comma c.p.c.).
Infatti, se è vero che la richiesta di risarcimento “di tutti i danni” non patrimoniali comporta che l’intero danno vada risarcito, è altrettanto vero che, giusta la sentenza Cass. S.U. n. 26972/2008, il danno esistenziale non rappresenta un’ autonoma categoria. Pertanto, ciò che va risarcito è il danno non patrimoniale, unitariamente ed integralmente.
Ne consegue che, correttamente, andava respinta la richiesta di risarcimento del danno esistenziale, ma ciò non perché la domanda fosse “nuova”, bensì perché non è autonomamente configuratane tale categoria di danno.
Senza contare che la Corte di appello, nella liquidazione del danno non patrimoniale, ha tenuto effettivamente conto anche delle sofferenze morali e dei pregiudizi subiti nell’attività relazionale ed in quella di indossatrice; né l’interessata ha fornito migliori elementi in ordine ad un’ulteriore “personalizzazione” del danno morale da riconoscerle.
7. Anche il ricorso incidentale proposto dalla compagnia assicuratrice si rivela infondato, in relazione a tutti i tre profili in esso sviluppati.
7.1. Infatti, per quanto attiene all’aspetto concernente la ricostruzione dell’incidente, come costantemente affermato da questa Corte, in tema di responsabilità da sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice del merito in ordine alla ricostruzione delle modalità di un incidente e al comportamento delle persone alla guida dei veicoli in esso coinvolti si concreta in un giudizio di mero fatto che resta insindacabile in sede di legittimità, quando sia adeguatamente motivato e immune da vizi logici e da errori giuridici (Cass. 25 gennaio 2012 n. 1028; Cass. 5 giugno 2007 n. 13085; Cass. 23 febbraio 2006 n. 4009; Cass. 10 agosto 2004 n. 13085; Cass. 2/03/2004, n.4186; Cass. 25/02/2004, n.38O3; Cass.30/01/2004, n.1758; Cass. 14 luglio 2003, n. 11007; Cass. 10 luglio 2003, n. 10880; Cass. 5 aprile 2003, n. 5375; Cass. 11 novembre 2002, n. 15809). ******** quanto precede, atteso che la ricorrente incidentale, lungi dal prospettare vizi logici o giuridici posti in essere dai giudici del merito e rilevanti sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c. nn. 3 e 5, si limita – contra legem e cercando di superare quelli che sono i ristretti limiti del giudizio di legittimità, il quale, contrariamente a quanto reputa la difesa di parte ricorrente incidentale non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale sottoporre a un nuovo vaglio tutte le risultanze di causa – a sollecitare una nuova lettura delle prove raccolte in causa è palese l’inammissibilità di tale profilo del motivo in esame.
7.2. Si rivela infondato anche il profilo di censura relativo all’erronea applicazione dell’art. 2054 c.c.. Detta disposizione è stata applicata, anzitutto, con riguardo al comportamento dell’attrice (non conoscendosi se essa rispettava le norme sulla circolazione), mentre la sentenza appellata ha ritenuto provato il comportamento colposo dell’auto rimasta ignota. consistente nella violazione dell’art. 149 C.d.S. (violazione della distanza di sicurezza). Al riguardo, deve essere ribadito che. in tema di scontro tra veicoli, la presunzione di eguale concorso di colpa stabilita dall’art. 2054, comma secondo c.c. ha funzione sussidiaria, operando soltanto nel caso in cui le risultanze probatorie non consentono di accertare in modo concreto in quale misura la condotta dei due conducenti abbia cagionato l’evento dannoso (Cass. n. 26004/2011; 8409/2011. ord.; 29883/2008; 1317/2006; 456/2005; 4755/2004; 5342/200, in motivazione; 1198/1997). Peraltro, l’accertamento in concreto della colpa di uno dei conducenti non comporta di per sé il superamento della presunzione di colpa concorrente dell’altro, all’uopo occorrendo che quest’ultimo fornisca la prova liberatoria, con la dimostrazione di essersi uniformato alle norme sulla circolazione e a quelle della comune prudenza (Cass. n. 16768 e 3 192/2006; 21056 e 15434/2004). 7.3. Infondato, infine, si rivela anche il profilo relativo al preteso errar in procedendo, per mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato. Infatti, l’attrice nell’atto di citazione aveva prospettato la responsabilità (ovviamente solidale) a carico di due automobilisti rimasti ignoti. Il giudice di merito ha ritenuto la responsabilità di uno solo dei due ignoti conducenti. Con ciò non ha mutato né il petitum ne la causa petendi. Invero, l’esclusione della responsabilità di uno soltanto dei due convenuti come debitori solidali non comporta una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato (Cass. n. 1270 del 1964), considerato che il vizio di ultrapetizione sussiste allorché a una parte viene attribuito un bene non richiesto e non, invece, quando la domanda, tendente a ottenere un effetto più ampio, venga accolta per un effetto minore (argomento desumibile da Cass. n. 6945/2007 e n. 708 del 1975; v. anche Cass. n. 7212/2002).
8. Le spese del presente giudizio possono compensarsi, in considerazione della reciproca soccombenza.

 

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese.

Redazione