Infortunio di un dipendente comunale e risarcimento del danno (Cass. n. 20227/2012)

Redazione 19/11/12
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Fatto e diritto

La Corte d’Appello di Catania, confermando la sentenza di primo grado, accoglieva, nei confronti del Comune (omissis), la domanda di A.P.O., dipendente del predetto Comune con le mansioni di autista, avente ad oggetto il risarcimento dei danni per il sinistro occorsogli, in data (omissis), mentre si trovava in attesa nei pressi del cancello d’ingresso del mercato ittico comunale. La Corte del merito, per quello che interessa in questa sede, respingeva, innanzitutto, l’eccezione di difetto di giurisdizione.
Rilevava al riguardo che, nella specie, era pacifica la natura extracontrattuale dell’azione intrapresa dall’A. avendo questi sempre dedotto, in punto di fatto e di diritto, una condotta della PA la cui incidenza lesiva poteva esplicarsi nei confronti della generalità dei cittadini e non necessariamente in stretta correlazione al rapporto di lavoro, il quale, pertanto, costituiva mera occasione dell’evento dannoso.
Respingeva, poi, la Corte territoriale l’eccezione di ultrapetizione in relazione alla condanna per una somma maggiore di quella indicata nella domanda originaria, sul rilevo che la formula “ovvero in quella diversa che risulterà in corso di causa” non costituiva mera clausola di stile essendovi ragionevole incertezza sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi.
Avverso questa sentenza il Comune in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di due motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso la parte intimata che, tra l’altro, deduce l’inammissibilità del ricorso per difetto dello ius postulandi non risultando l’Avv. C. C. iscritta all’albo speciale degli avvocati abilitati al patrocinio innanzi alla Corte di Cassazione.

 

Motivi della decisione

Preliminarmente va affrontata l’eccezione di carenza dello ius postulandi che risulta infondata.
Nella specie, infatti, come del resto riconosciuto dallo stesso resistente, la procura speciale ad litem, a margine del ricorso, risulta rilasciata agli ************ e C. C. i quali certificano, entrambi, l’autografia della firma della parte ricorrente e sottoscrivono ambedue il ricorso. La parte resistente contesta l’iscrizione nell’Albo speciale degli avvocati abilitati al patrocinio innanzi alla Corte di Cassazione del solo Avv. C. C. e non dubita dell’iscrizione in detto Albo dell’altro Avv. G. M.
In casi del genere la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel senso che la mancata certificazione (o la certificazione) da parte di avvocato che non sia ammesso al patrocinio innanzi alla Corte di cassazione dell’autografia della sottoscrizione della parte ricorrente (o di quella resistente) apposta sulla procura speciale ad litem, rilasciata in calce o a margine del ricorso (o del controricorso) per cassazione, costituisce mera irregolarità allorché l’atto sia stato firmato anche da altro avvocato iscritto nell’albo speciale e indicato come codifensore. Tale irregolarità non comporta la nullità della procura ad litem, sanabile per effetto della costituzione in giudizio del procuratore nominato, salvo che la controparte non contesti, con specifiche argomentazioni, l’autografia della firma di rilascio della procura (Cass. S.U. 8 luglio 2003 n. 10732; in senso conforme Cass. 1 giugno 2004 n. 10495, Cass. 25 novembre 2005 n. 24894 e Cass. 11 Luglio 2006 n. 15718).
Tale indirizzo va ribadito, non essendovi ragioni per discostarsene. Con il primo motivo il Comune ricorrente, deduce, ex art. 360 n. 1 cpc, che erroneamente la Corte del merito ha ritenuto la propria giurisdizione non tenendo conto che l’A. ha fondato, sin dall’inizio, la propria pretesa sull’affermazione di un danno patito in conseguenza di un incidente occorsogli sul lavoro mentre si recava al mercato ittico. La domanda di controparte, quindi, assume l’ente ricorrente, trova fondamento e presupposto nel rapporto di pubblico, impiego e nell’asserita violazione delle norme che lo regolano.
Il motivo è infondato.
La giurisprudenza di queste Sezioni Unite è ferma nel ritenere che, ai fini dell’individuazione del giudice destinato a conoscere le cause di risarcimento danni da lesioni patite da pubblico dipendente prima del 30 giugno 1998, occorre verificare se il fatto illecito, ascritto all’Amministrazione, costituisca espressione di responsabilità contrattuale od extracontrattuale, ovverosia se sia dipeso dalla violazione degli obblighi propri del datore di lavoro oppure dalla violazione del generale divieto del neminem laedere. A tal fine, non rileva la qualificazione formale data dal danneggiato all’azione, essendo necessario considerare i tratti propri dell’elemento materiale dell’illecito posto a base della pretesa risarcitoria, nel senso che deve affermarsi la giurisdizione del giudice ordinario qualora sia addebitata all’Amministrazione una condotta la cui capacità lesiva possa indifferentemente esplicarsi, sia nei confronti dei dipendenti, sia degli estranei. Deve, invece, essere asserita la giurisdizione del giudice amministrativo nel caso in cui sia stata denunciata una condotta tale da escluderne qualsiasi rilevanza nei confronti dei soggetti non legati all’Amministrazione da un rapporto di pubblico impiego (per tutte V., fra le più recenti, Cass. S.U. 27 gennaio 2011 n.1875 e Cass. S.U. 8 luglio 2008 n. 18623).
In applicazione dei predetti principi, che il Collegio condivide e ribadisce, va, nella fattispecie di cui trattasi, dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario perché, come già evidenziato dalla Corte d’Appello, trattasi di controversia diretta a far valere una responsabilità da comportamento capace d’incidere sulla generalità delle persone che accedevano al mercato ittico.
Con la seconda censura l’ente ricorrente deduce, ex art. 360 n. 4 cpc, violazione dell’art. 112 cp nonché, ex art. 360 n. 5 cpc, insufficiente e contraddittoria motivazione.
Prospetta in proposito il Comune che la Corte del merito non ha, erroneamente, ritenuto sussistente il vizio della dedotta ultrapetizione non tenendo conto che la controparte non si è fatta carico di precisare, pure a seguito dell’espletata CTU, le specifiche voci del danno, in precedenza mai elencate, né tanto meno, in sede di conclusioni, di quantificare, in coerenza con le sopravvenute risultanze processuali, il quantum richiesto. Secondo il ricorrente, pertanto, la formula con la quale si è chiesta la condanna anche alla somma diversa che risulterei in corso di causa non è utilizzabile al fine di escludere il lamentato vizio d’ultrapetizione. Ha, dunque, errato conclude il Comune ricorrente, la Corte d’Appello nel rigettare l’eccezione di cui trattasi “fornendo peraltro sulla questione una motivazione del tutto contraddittoria ed insufficiente che non ha tenuto in debito conto le considerazioni esposte”.
La censura è infondata.
Nella fattispecie, difatti, non è configurabile la non corrispondenza fra il chiesto e il pronunciato.
Questa Corte ha, invero, sancito che la formula con la quale una parte domanda al Giudice di condannare la controparte al pagamento di un importo indicato in una determinata somma ovvero, come nella specie, nella diversa misura ritenuta da accertare non può essere considerata come meramente di stile, giacché essa – come altre consimili -, lungi dall’avere un contenuto meramente formale, manifesta la ragionevole incertezza della parte sull’ammontare del danno effettivamente da liquidare e ha lo scopo di consentire al Giudice di provvedere alla giusta liquidazione del danno, senza essere vincolato all’ammontare della somma determinata che sia indicata, in via esclusiva, nelle conclusioni specifiche (per tutte V. Cass. 8 febbraio 2006 n. 2641 e Cass. 16 marzo 2010 n. 6350). A questo condivisibile indirizzo ritengono le Sezioni Unite di dare continuità giuridica si che il relativo principio va in questa sede riaffermato nel segno della effettività della tutela.
Né e contestato che, nella specie, vi era ragionevole incertezza sull’ammontare del danno effettivamente da liquidarsi.
Il motivo, pertanto, va rigettato rimanendo assorbito, nell’esaminato profilo, l’ulteriore.
In conclusione, dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, va rigettato il ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi, oltre Euro 8.000,00 per compensi ed oltre accessori di legge.

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