Indennità risarcitoria ambientale (Cons. Stato n. 2216/2013)

Redazione 19/04/13
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FATTO e DIRITTO

1. Oggetto del presente giudizio è l’ordinanza in data 31 ottobre 1995, n. 46, con la quale il Comune di Pieve Ligure ha ingiunto ai coniugi ******* e ********* il pagamento della somma di lire 140.100.000, a titolo di “indennità risarcitoria ambientale” ex art. 15 l. n. 1497/1939 (“Protezione delle bellezze naturali”). Tale ingiunzione è scaturita dai lavori di ristrutturazione edilizia eseguiti dai coniugi sull’immobile ad uso residenziale di loro proprietà sito in via alla Chiesa n. 8, ricadente in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, in virtù di concessione edilizia del 18 maggio 1988, n. 16, e successiva concessione in sanatoria del 25 agosto 1995, n. 319, per la quale avevano il contributo di costruzione in misura doppia ai sensi dell’art. 13 l. n. 47/1985 (“Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie”), pari a lire 26.307.960.

2. La conseguente impugnativa da questi proposta davanti al TAR Liguria veniva accolta.

Il giudice di primo grado reputava fondata ed assorbente la censura di violazione della citata disposizione della legge n. 1497/1939, sul rilievo che il nulla-osta paesistico rilasciato dall’autorità preposta al vincolo in sede di concessione in sanatoria ex art. 13 l. n. 47/1985, rendesse inapplicabile l’indennità in questione. In particolare, secondo il TAR il parere favorevole espresso dall’autorità preposta al vincolo e l’accertamento in ordine all’inesistenza di pregiudizi di tipo ambientale in cui esso si sostanzia avevano reso inoperante la salvezza delle sanzioni ambientali disposto dell’art. 2, comma 46, l. n. 662/1996, invocato dall’amministrazione resistente.

3. Nel presente appello, quest’ultima obietta che la previsione della legge finanziaria 1997 è di generale applicabilità, essendo preordinata ad assicurare un efficace controllo preventivo di ogni attività di trasformazione edilizia eseguita in aree vincolate, il quale deve comunque reputarsi vulnerato anche nel caso in cui l’autorità preposta al vincolo accerti, a posteriori, la compatibilità paesistica dell’intervento edilizio già eseguito, considerato che tale assenso inibisce la demolizione del manufatto abusivo, ma non già l’irrogazione della sanzione pecuniaria.

4. Gli appellati si sono costituiti con memoria depositata il 29 settembre 2004.

Con memoria conclusionale per l’udienza di discussione del 29 gennaio 2013 (poi rinviata all’8 marzo 2013 su istanza dell’amministrazione appellante) hanno riproposto i motivi di ricorso assorbiti dal giudice di primo grado.

4.1 In resistenza alle critiche del comune appellante, questi ultimi, pur prendendo atto dell’indirizzo di questo Consiglio di Stato che qualifica l’indennità prevista dall’art. 15 l. n. 1497/1939 come sanzione amministrativa pecuniaria, applicabile per la sola mancata acquisizione in via preventiva dell’assenso paesaggistico, asseriscono che i principi di legalità e tipicità che informano il diritto punitivo dovrebbero nondimeno portare alla conferma della sentenza di primo grado, nella parte in cui ha escluso l’applicabilità di tale sanzione laddove la conformità paesaggistica sia stata comunque accertata ex post, in sede di rilascio della sanatoria ex art. 13 l. n. 47/1985.

5. Cosi sintetizzate le contrapposte prospettazioni delle parti, deve innanzitutto darsi atto che presso la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato si registra un incontrastato orientamento, formatosi successivamente alla sentenza appellata, favorevole all’applicazione della sanzione prevista dall’art. 15 l. n. 1497/1939 a prescindere dell’esistenza di un effettivo danno ambientale (oltre alle pronunce citate dall’amministrazione appellante: sez. IV, 3 novembre 2003 n. 7047; 8 novembre 2000 n. 6007; sez. VI, 13 luglio 2006 n. 4420; 21 febbraio 2001 n. 912; vanno richiamate: sez. IV, 15 novembre 2004, n. 7405; 5 agosto 2003, n. 4482; 30 giugno 2003, n. 3931; 12 novembre 2002, n. 6279; sez. VI, 3 aprile 2003, n. 1729; 2 giugno 2000 n. 3184).

Le giurisprudenza in discorso ha infatti precisato, in frontale contrario a quanto statuito nella sentenza appellata, che la salvezza delle sanzioni ambientali di cui all’art. 15 legge n. 1497 del 1939 disposta dall’art. 2 comma 46 legge n. 662/1996, opera anche se l’abuso edilizio sia stato ritenuto compatibile con l’assetto paesaggistico dall’autorità preposta alla tutela del vincolo, attraverso il rilascio del parere favorevole ai sensi dell’art. 32 l. n. 47/1985. Ciò in coerenza appunto con il carattere sanzionatorio e non già risarcitorio dell’istituto, confermato con norma di carattere interpretativo dalla menzionata disposizione della legge finanziaria per il 1997.

E’ stato in altri termini affermato che l’autorizzazione postuma ai fini ambientali è valevole all’esclusivo fine di perfezionare la sanatoria prevista dal più volte citato art. 13 l. n. 47/1985, ma non elide del tutto le conseguenze della violazione dell’obbligo di munirsi di tale assenso in via preventiva sancito dall’art. 7 l. n. 1497/1939.

Tale indirizzo muove dalla premessa di carattere generale, espressa dall’Adunanza generale nel parere n. 4 dell’11 aprile 2002, che l’autorizzazione ambientale in sanatoria non costituisce un equipollente perfetto dell’autorizzazione preventiva, giacché solo un effettivo controllo a priori degli interventi di trasformazione edilizia in aree vincolate è idoneo ad assicurare la tutela dei valori paesaggistici, cosicché, una volta nondimeno ammessa, essenzialmente per economia di mezzi, l’assentibilità postuma di tali interventivi, con l’effetto di precludere la riduzione in pristino attraverso la demolizione dell’edificio, deve comunque essere fatto salvo il potere di infliggere la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 15 della legge n. 1497/1939, come appunto precisato dal legislatore in sede di legge finanziaria per il 1997 con il più volte citato art. 2, comma 46.

5.1 A questo Collegio non resta che prendere atto di tale indirizzo, visto che – come giustamente osservato dal comune di Pieve Ligure – la formulazione letterale dell’art. 2, comma 46, l. n. 662 citata, ha indubbia valenza confermativa della natura di sanzione dell’indennità risarcitoria ambientale e della sua applicabilità in ogni caso, anche dunque a quelli di nulla-osta paesaggistico ex art. 32 l. n. 47/1985.

Sotto questo profilo deve dunque essere disattesa la tesi degli appellati secondo i principi di legalità e tipicità valevoli in materia di potere sanzionatorio amministrativo dovrebbero condurre ad escludere l’indennità risarcitoria nel caso di specie.

In contrario a quest’ultimo rilievo, deve infatti sottolinearsi che è proprio la lettura del combinato disposto degli artt. 15 l. n. 1497 e 2, comma 46, l. n. 662 citati, oltre che evidenti ragioni di coerenza con le esigenze di massima tutela dell’ambiente, che conducono a ritenere intatta la potestà sanzionatoria in qualsiasi caso di abuso edilizio in zone vincolate, altimenti svilendosi la specifica funzione preventiva dell’assenso richiesto in relazione a tale vincolo.

Ad ulteriore confutazione dei rilievi di parte appellata, è ancora il caso di ricordare che le pronunce di questo Consiglio sopra citate hanno anche precisato che il danno ambientale costituisce unicamente un criterio di commisurazione della sanzione pecuniaria, peraltro alternativo a quello del profitto, dacché l’assenza del primo non può sortire l’effetto di precludere l’esercizio della potestà di reazione spettante all’amministrazione.

6. Può dunque passarsi all’esame dei motivi del ricorso riproposti in appello, con memoria conclusionale – come visto sopra – non dubitandosi della loro ammissibilità, visto che, come dedotto dagli appellati, si tratta di giudizio instaurato prima dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, per il quale non è dunque operante il termine decadenziale previsto dall’art. 101 cod. proc. amm..

Ciò precisato, i motivi riproposti sono i seguenti:

– violazione dell’art. 2 l.reg. n. 15/1980 (“Subdelega ai Comuni delle funzioni amministrative in materia di bellezze naturali e norme in merito al monte di Portofino”), per mancata acquisizione del parere da parte della Commissione edilizia integrata dagli esperti in materia di bellezze naturali sull’applicazione della sanzione,

– omessa comunicazione dell’avvio del procedimento ex art. 7 l. n. 241/1990 il comune obietta che il provvedimento sanzionatorio scaturisce dal procedimento attivato dagli stessi coniugi F. con la presentazione dell’istanza di sanatoria;

– ingiustizia del provvedimento, a causa dell’ingente sanzione con esso comminata a fronte “della modesta entità delle opere”, tale per cui, se avessero conosciuto per tempo l’ammontare della prima “avrebbero potuto scegliere l’alternativa di ricondurre le opere o parte di esse a quelle di cui al progetto originariamente approvato”;

– errata quantificazione del profitto conseguito, a causa del computo del preteso danno ambientale sulla base non solo di interventi esterni, necessitanti di nulla osta paesistico ex art. 7 l. n. 1497/1939 (modifica della aperture ed ampliamento degli abbaini), ma anche di opere interne (frazionamento e conseguente realizzazione di muri divisori), in violazione del DM 26 settembre 1997 (“determinazione dei parametri e delle modalità per la quantificazione dell’indennità risarcitoria per le opere abusive realizzate nelle aree sottoposte a vincolo”); nonché per la supposizione dell’abitabilità del vano sottotetto e per avere preso in considerazione ai fini del calcolo della sanzione anche le opere di sostituzione dei preesistenti muri perimetrali in pietra con nuovi in cemento armato, già assentita nel progetto iniziale.

6.1 A tali motivi il comune ha replicato che:

– il provvedimento impugnato non è compreso tra quelli necessitanti del previo parere della commissione edilizia integrata;

– lo stesso costituisce “un atto vincolato, strettamente conseguenziale all’accertamento dell’abuso (ambientale)”, come tale non necessitante di comunicazione ex art. 7 l. n. 241/1990;

– non sussiste alcun obbligo di comunicare preventivamente l’importo della sanzione e comunque l’evenienza addotta dagli appellati circa un loro possibile ripensamento è da escludersi alla luce delle notevoli difformità riscontrate, essendosi trattato, sulla base della perizia privata sulla cui base è stata emanato il provvedimento impugnato le cui risultanze non sono state ex adverso contestate, di lavori di demolizione e ricostruzione del manufatto;

– la sanzione va quantificata avuto riguardo all’abuso considerato unitariamente.

7. Il Collegio osserva che i due procedimenti, quello di condono e quello sanzionatorio ambientale, sono autonomi (come affermato dalla giurisprudenza di questo Consiglio sopra citata), ancorché non possa negarsi che il secondo sia connesso al primo, visto che dall’autodenuncia dell’abuso edilizio in cui si sostanzia l’istanza di condono scaturisce necessariamente, allorché si tratti di intervento eseguito in zona sottoposta a vincolo ambientale, anche l’avvio del procedimento sanzionatorio, come avvenuto nella presente fattispecie.

7.1 Dall’accennata autonomia si trae allora il corollario dell’insussistenza del vizio di violazione dell’art. 2 l.reg. n. 15/1980, posto che questa non imponeva di sentire l’autorità preposta al vincolo per l’applicazione delle sanzioni e la normativa regionale sopravvenuta [art. 2, l. reg. n. 22/2009 – “Attuazione degli artt. 159, comma 1, 148 e 146, comma 6, del d.lgs 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio)”], che invece prescrive l’acquisizione del parere, costituisce una innovazione non valevole per il passato, frutto di una scelta discrezionale del legislatore regionale in relazione al procedimento sanzionatorio amministrativo, non imposta dalla legislazione statale, che impone unicamente l’effettuazione di una perizia estimativa (con scelta confermata dall’art. 167 d.lgs. n. 42/2004).

7.2 Parimenti infondato è il motivo nel quale gli odierni appellati si dolgono dell’entità della sanzione rispetto alle loro previsioni ed all’impossibilità di ridurre le opere al progetto inizialmente assentito. Occorre sottolineare, in contrario, che con l’istanza di condono e l’effetto di autodenuncia sopra ricordato gli effetti di modificazione materiale determinati dall’intervento edilizio divengono giuridicamente irretrattabili, conseguendo dalla presentazione di essa l’attivazione del potere dell’amministrazione competente di decidere se ordinarne la demolizione o richiedere il pagamento delle sanzioni previste.

7.3 Ad opposta conclusione deve giungersi con riguardo all’adempimento di cui all’art. 7 l. n. 241/1990.

Il Collegio reputa infatti di aderire all’avviso espresso dalla pronuncia, invocata sul punto dagli appellati, della IV sezione di questo Consiglio 15 novembre 2004, n. 7405, già sopra citata, la quale ha condivisibilmente posto in rilievo la necessità di assicurare il contraddittorio procedimentale in relazione ai profili inerenti la quantificazione della sanzione. Tale rilievo consente di superare l’obiezione dell’amministrazione comunale sul punto, secondo cui tale onere partecipativo non sarebbe necessario in ragione del carattere vincolato della sanzione: il vincolo concerne infatti l’an e, come notano gli appellati, non già il quantum, il quale profilo presenta incontestabili aspetti di discrezionalità tecnica, come si vedrà nell’esame dell’ultimo motivo.

7.4 La censura di erroneità nella quantificazione della sanzione è del pari meritevole di essere accolta.

Il perito estimatore (geom. **************), e l’amministrazione che ha recepito la valutazione del primo, non hanno tenuto conto che in virtù del citato DM 26 settembre 1997, recanti i parametri per la quantificazione della sanzione ex art. 15 l. n. 1497/1939, il profitto conseguito dall’autore dell’abuso è pari in via ordinaria “al tre per cento del valore d’estimo dell’unità immobiliare”. In chiara violazione di tale disposto si è infatti quantificato il profitto sulla base di un valore commerciale presunto delle migliorie apportate.

8. L’accoglimento di tali censure comporta dunque l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento con esso dell’atto impugnato per i profili qui accolti, salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.

Le spese del doppio grado di giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto:

accoglie l’appello e per l’effetto dichiara infondato il motivo accolto dal tar;

accoglie i motivi del ricorso di primo grado riproposti dagli appellati e, per l’effetto, annulla con diversa motivazione il provvedimento impugnato in primo grado.

Condanna il Comune di Pieve Ligure a rimborsare agli appellati le spese di causa, liquidate in € 5.000,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 marzo 2013

Redazione