Income splitting

Redazione 11/07/11
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SENTENZA n°40/03/2010

DEL 22/04/2010

Comm.Reg.Trib.Perugia

Collegio: Presid. ****************

Giudice Rel-Est Prof.Quarchioni Alfredo

Giudice ***************

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

FATTI.

Il Sig.Dr. …… ,titolare dell’omonima farmacia in Terni , che conduce nella forma di impresa individuale con associata in partecipazione di lavoro e capitali la propria coniuge con  contratto del 18/03/1996,  inoltrava, in data in data 23 marzo 2006 , istanza di  rimborso di parte dell’ IRPEF e relative addizionali relativamente all’anno 2004, nonché degli acconti Irpef  per il 2005, per un totale di € 58.249,08.

La motivazione della richiesta di rimborso scaturisce in seguito alle modifiche dell’art. 109 c. 9 lett. B TUIR 917/86 , operate dal D. Lgs. 344/2003, che diversamente dagli anni precedenti, esclude per l’associante a partire dal 2004, la deducibilità della quota di reddito corrisposta dall’impresa all’associato che apporta anche capitale.

Il sig. …, ritenendo tale disposizione iniqua e discriminante rispetto alle forme di associazione in partecipazione con apporto di sole opere e servizi e per le quali è invece previsto per  l’associante la deducibilità , chiedeva la  restituzione dell’importo sopra citato.

Decorso il termine per la formazione del silenzio-rifiuto, il contribuente proponeva ricorso eccependo l’incostituzionalità del citato art. 109 comma 9 -lett. B Tuir 917/1986 rispetto agli artt. 3, 53, 76 e 77 della Costituzione,  chiedendo in via principale la restituzione del tributo ed in  subordine, la sospensione del giudizio per la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale onde far dichiarare l’illegittima della nuova norma.

L’Agenzia delle Entrate di Terni, costituendosi in giudizio contestava la fondatezza del ricorso, osservando che l’indeducibilità degli utili corrisposti all’associato in partecipazione che fornisca esclusivamente apporti di capitale è nata dalla volontà del legislatore delegante di applicare, nella determinazione del reddito di impresa, le norme contenute nella disciplina dell’imposta sul reddito delle società, onde evitare qualsiasi forma di elusione.

I Giudici di prime cure respingevano il ricorso , addebitandone le spese di giudizio per € 500,00, osservando   che la nuova disposizione di cui all’art. 109 comma 9 lett. B del Tuir 917/1986 a partire dal gennaio 2004 stabilisce inequivocabilmente che per l’impresa associante l’utile attribuito all’associato che abbia apportato solo capitale non è deducibile e che le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla parte erano infondate. 

Si appella la parte  ribadendo sostanzialmente quanto già espresso nel ricorso.

Lamentandosi che nella sentenza i primi giudici non hanno compiutamente risposto alle  eccezioni  sollevate nel ricorso chiede di nuovo in via principale la totale riforma della sentenza con il  rimborso in favore del ricorrente di IRPEF ed addizionali Comunali Regionali e, in via subordinata, di sospendere il giudizio rimettendo gli atti alla Corte Costituzionale per il giudizio di costituzionalità dell’art. 109 DPR 22.12.1986 n. 917  TUIR come modificato dall’art. 1 D. Lgs. 12.12.2003 n. 344 sotto il profilo della violazione degli artt. 3, 53, 76 e 77 della Costituzione Italiana, nella parte in cui dispone la indetraibilità dal reddito d’impresa dell’associante in partecipazione della quota di reddito spettante all’associato che ha apportato “capitale”o capitale ed opera.

Osserva che la modifica apportata dal legislatore genera una evidentissima disparità di trattamento nell’ambito della stessa fattispecie civilistica e che  il legislatore cosi facendo ha effettuato un “fittizio inquinamento” delle norme civilistiche di cui all’art. 2549 e segg. cod. civ. disciplinanti il contratto di specie con il solo scopo antielusivo che, pure deprecabile in quanto tale, non appare convincente.

Anzi, esso contiene elementi di pericolosità poiché, alterando la funzione civilistica dell’istituto, distrugge il buon fine della norma, stimolando la ricerca del fine della detraibilità dell’onere attraverso l’adozione di altre forme contrattuali atipiche e quindi anche di difficile controllo da parte dell’Erario.

Lamenta ancora che da parte del governo non è stato rispettato il limite previsto dalla delega ( art.76 e 77 Costit.)  di cui alla L.7.4.2003 n. 80, e precisamente l’art. 3, entro la quale doveva articolarsi la modifica dell’art. 109 TUIR.

L’Agenzia delle Entrate , costituendosi in appello , ribadisce che le eccezioni di incostituzionalità della norma modificata  non siano fondate in quanto ciò è frutto della volontà del legislatore delegante di applicare, nella determinazione del reddito d’impresa, le norme contenute nella disciplina dell’imposta sul reddito delle società e (v. art. 3 c. 1 lett. c n. 6 L. 80/2003) e, contemporaneamente, di inserire anche la disciplina della tassazione di questo tipo di redditi in una categoria unitaria che comprenda tutti i redditi di natura finanziaria, onde evitare qualsiasi forma di elusione.

MOTIVI  DELLA  DECISIONE  – DIRITTO

Il Collegio, in seguito all’istanza del difensore dell’Impresa individuale, commercialista  ***** ……. di Terni, con ordinanza del 28/01/2010 rinvia all’udienza  del  22/04/2010 e cosi decide.

Il Collegio,  analizzata la documentazione prodotta dalle parti e ascoltate le argomentazioni orali svolte in udienza, ritiene di dover respingere l’appello dell’Impresa individuale Dr….., confermando la sentenza appellata.

Pur se le eccezioni poste dall’appellante rappresentano, dopo oltre  dieci anni di rodaggio della riforma del diritto societario del 2004, alcuni spunti di riflessione critica, a parere del Collegio esse non possono essere condivise.

La riforma del diritto tributario, attuata con il D. Lgs n. 344 del 12/12/ 2003 e operante dal  1 Gennaio 2004  ha prodotto una serie di effetti tra cui alcune modifiche significative nella disciplina impositiva applicabile ai contratti di associazione in partecipazione.

Gli effetti si sono verificati sia in capo all’associante che in capo all’associato.

Per l’associante le partecipazioni agli utili spettanti all’associato, nell’ipotesi in cui l’apporto sia di capitale o“misto”, non sono deducibili dal reddito dell’associante come il caso dell’appellante  in questione.

In capo all’associato,le quote di utili percepite dall’associato con apporto di capitale o “misto”, a seguito della riforma fiscale, vengono tassate come se fossero proventi da partecipazioni in società, ossia dividendi.

Se poi l’associato non esercita l’attività d’impresa, le modalità di tassazione possono essere diverse a seconda se trattasi di un apporto di capitale “qualificato” (quando cioè l’apporto supera il 5% o il 25% del valore del patrimonio netto contabile della società associante alla data di stipula del contratto),  scontando una tassazione sulla quota  di utile percepito limitatamente al 40% del suo ammontare; se trattasi invece di apporto non qualificato, la quota di partecipazione attribuita all’associato sconta una tassazione con  ritenuta alla fonte a titolo d’imposta del 12,50%, che andrà applicata sul 100% degli utili.

Diversamente non sono stati toccati dalla riforma i contratti di associazione in partecipazione con apporto di solo lavoro, per i quali continua ad applicarsi la vecchia disciplina.

Nell’appello del contribuente, risulta dichiarato che la forma di compartecipazione di capitali da parte dell’associata moglie è costituito da lavoro e capitali, anche se non è dato di conoscere al Collegio il relativo contratto di compartecipazione e la consistenza dell’apporto del capitale se qualificato o meno , dal momento che lo stesso  non fa parte né degli allegati al ricorso né degli  atti di causa.

La contestazione dell’appellante si riferisce alla norma tributaria cambiata dalla modifica è cioè l’art.109 comma 9 lettera b) del TUIR,  in merito alla indeducibilità in capo all’associante, ( nel caso di specie il Dr……. titolare dell’impresa individuale  degli utili percepiti dall’associato ( nel caso di specie la moglie)  che ha fornito capitali in capo alla impresa.

Considerata la chiarezza della norma e l’espressa intenzione del legislatore,  va respinta pertanto la richiesta di  rimborso della somma in favore del ricorrente e consistente in  parte dell’ IRPEF con le  relative addizionali relativamente all’anno 2004, nonché degli acconti Irpef  per il 2005 versati.

Circa l’eccezione di incostituzionalità della norma in questione sollevata dalla difesa del contribuente , questo Collegio non ritiene che sussistano le violazioni  evidenziate dalla parte con riferimento  all’art. 3, art. 53 della Carta Costituzionale oltre quelle dell’art. 76 e 76 per eccesso di delega governativa .

Prima di entrare nel merito della questione, occorre ricordare in primis la natura e la disciplina civilistica che regola “Il contratto di associazione in partecipazione”

Esso  è un contratto con il quale un soggetto “associante” attribuisce ad un altro soggetto “associato” il diritto a partecipare agli utili (o alle perdite) della sua impresa o di uno o più affari, a fronte di un determinato apporto che può consistere in una somma in denaro, nel godimento di un bene o nella prestazione di un’opera o di un servizio.

L’associato ha il diritto di pretendere la rendicontazione dell’affare compiuto o di quello annuale nel caso in cui la gestione si protragga per oltre un anno.

L’associante, dal canto suo, deve rendere all’associato il conto della gestione dell’associazione in partecipazione ed è nullo il patto che esclude tale obbligo.

Dal rendiconto devono emergere gli utili o le eventuali perdite conseguiti nella gestione dell’impresa o dell’affare al fine di consentire la ripartizione del risultato conseguito fra i soggetti partecipanti proporzionalmente alle quote detenute.

Nel caso che si discute l’assimilazione è ai redditi da capitale per quanto riguarda l’associato, nel caso in cui il contratto prevede anche conferimenti di capitale cosi come dichiarato.

Simile contratto di associazione in partecipazione  funziona come un conferimento di capitali e quindi il provento generato è come se fosse un “ dividendo “ e come tutti i dividendi  non sono  deducibili  come  non lo è  neanche il provento dell’associazione.

All’associato, che nel caso di cui trattasi  è rappresentato dalla moglie del farmacista , l’art. 47 del TUIR ( Utili da partecipazione)  consente di limitare al 40%  la quota imponibile dei proventi, mitigando così la doppia imposizione.

Seppur vero l’esistenza di una  doppia imposizione , anche se mitigata dall’art.47 del Tuir , ciò trova giustificazione  dalla necessità di conservare nel sistema fiscale profili di progressività del prelievo, che altrimenti andrebbero persi e che nella versione della norma in questione antecedente alla riforma  non esistevano , in quanto venivano messi sullo stesso piano e con lo stesso  trattamento fiscale la detraibilità degli utili sia in capo all’associante in partecipazione con apporto di solo  lavoro e servizi all’associazione e dell’associato che invece apporta oltre che servizi anche capitale.

Non si può parlare pertanto di violazione degli artt. 3 e dell’art. 53 della Costituzione, non potendosi mettere sullo stesso piano le due figure di associato.

L’aspetto dell’indeducibilità degli utili corrisposti all’associato in partecipazione che fornisca apporti di capitale va inquadrata nella volontà del legislatore delegante di armonizzare la disciplina della determinazione del reddito d’impresa con le  norme contenute nella disciplina dell’imposta sul reddito delle società (v. art. 3 c. 1 lett. c  n. 6 L. 80/2003) e contemporaneamente di inserire anche la disciplina della tassazione di questo tipo di redditi in una categoria unitaria che comprenda tutti i redditi di natura finanziaria.

In tale ottica è  perfettamente logico che, ravvisandosi nella fattispecie un reddito di puro capitale il cui trattamento fiscale è assimilato a quello dei dividendi, la deducibilità non sia riconosciuta in capo all’associante dovendo ciò essere disciplinato differentemente, perché differenti sono le tipologie di redditi nelle quali si classificano le diverse forme di utili percepiti dall’associato in partecipazione.

Considerato poi che la volontà del legislatore , è stata quella di far rientrare in un’ottica di risistemazione uniforme e armonizzazione la tassazione dei redditi di capitale e a riguardo basta leggere alcuni passi significativi  della Legge delega vedi art.3 lettera d)  e art.4 lettera g, come la relazione allo schema di decreto legislativo che lo ha accompagnato,  non ha senso neanche  di parlare di eccesso di delega e quindi  violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione.

  Del resto cosi facendo , con la modifica della norma contestata dall’appellante, il legislatore ha anche evitato  possibili forme di  elusione, scoraggiando cioè fenomeni possibili di “income splitting “ cioè di reddito diviso e ripartito tra associati e tra soggetti in partecipazione per fini di convenienza ai fini del prelievo fiscale,   specialmente in alcuni ambiti dove essa  risulta più facile  per la presenza di familiari.

Un ipotetico esempio a riguardo chiarisce, come  un  associante ipotizzando il caso di un  guadagna di  100.000 euro e  scontando  un IRPEF con aliquota del 43% , al fine di ridurre il prelievo fiscale,  potrebbe essere indotto a fare una associazione con la moglie con un apporto di capitale del  50%. Se la norma del settore non fosse stata cambiata con l’indeducibilità in capo all’associante degli utili percepiti dall’associato ,  nè conseguirebbe che l’associante marito pagherebbe delle imposte senza dubbio  inferiori sugli utili conseguiti, cosi come  anche la  moglie.

Insomma, il legislatore, attraverso la modifica dell’art. 109 comma 9 b)  lamentata dall’appellante ,  ha voluto evitare proprio questa forma di elusione possibile con  uno strumento tutto sommato sensato e costituzionalmente compatibile.

Stante comunque la peculiarità della questione e  l’articolazione della  stessa in capo alla norma modificata che si presta a risvolti di diversa interpretazione e lettura, il Collegio ritiene  di compensare  le spese di giudizio tra le parti 

P.Q.M.

Conferma la sentenza appellata ; spese compensate

Perugia li, 22 Aprile 2010


Il   Presidente  del Collegio                Il  Giudice Relatore-Estensore   

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Redazione