Incidenti mortali: ogni familiare della vittima ha diritto al risarcimento del «suo» danno morale ed esistenziale (Cass. n. 9231/2013)

Redazione 17/04/13
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Svolgimento del processo

Con sentenza del 26 settembre 2007 la Corte di Appello di Napoli premesso: 1) nel dicembre 2000 L.M., in proprio e nella qualità di legale rappresentante dei minori Cr.Il. , G. e V., e I., citavano dinanzi al Tribunale di Santa Maria C.V. ****** e la s.p.a.. Sai chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del decesso del loro marito e padre che, in data (omissis) , verso le ore 21, mentre attraversava la strada del centro abitato, era stato investito dalla vettura Alfa 156, di proprietà del Mi. , assicurata dalla s.p.a. Sai, decedendo poco dopo; 2) la Sai contestava la domanda; 3) il Tribunale, dichiarato esclusivo responsabile del sinistro il Mi., condannava in solido i convenuti al pagamento di Euro 90.000.000 per danno morale iure proprio, valutato al momento della decisione, a favore di ciascun danneggiato, compresi gli interessi dal sinistro, escludendo qualsiasi altro profilo di danno; 4) gli attori interponevano appello lamentando l’incongrua liquidazione del danno morale iure proprio, l’omesso riconoscimento del danno esistenziale e del danno patrimoniale da lucro cessante e da spese funerarie, e chiedevano la condanna degli appellati al pagamento di Euro 171.253,52 per danno morale soggettivo a favore di ciascuno dei danneggiati, calcolato nella misura di due terzi del danno morale spettante al defunto, pari alla metà del danno biologico del medesimo nella misura del 100%, che, secondo le tabelle di Milano, ammontava ad Euro 513.760,59; Euro 350.000,00 per danno esistenziale complessivo; Euro 326.813,86 per danno patrimoniale da lucro cessante ed Euro 15.000,00 per spese funerarie. La Corte di merito, rilevato che secondo il criterio di liquidazione invocato dagli appellanti sarebbe spettato a ciascuno di essi Euro 34.250,70, corrispondente ad un quinto dei due terzi del danno morale come innanzi calcolato dai medesimi, rigettava la doglianza. Riteneva altresì ricompreso nel danno morale soggettivo il danno esistenziale stante l’entità dell’ammontare riconosciuto a ciascuno, maggiore di quello spettante secondo il loro stesso calcolo, e considerata l’ampiezza del nucleo familiare composto da quattro figli dell’età compresa da tre a diciotto anni e l’età della vedova – 35 anni – nonché quella della vittima: 39 anni. Riconosceva invece il danno patrimoniale da lucro cessante desumibile dagli acquisti immobiliari effettuati della vittima, dai certificati di deposito e dai suoi estratti conto, da cui emergeva che egli contribuiva al mantenimento della sua famiglia, pur non essendo provata l’attività economica svolta, e a tale titolo liquidava, all’attualità, la somma di Euro 162.233,15 – da dividere in proporzione delle rispettive quote ereditarie dei danneggiati calcolata in base al triplo della pensione sociale e applicando i coefficienti di rivalutazione di cui al R.D. 1403 del 1922 – da cui occorreva detrarre Euro 54.077,71 che verosimilmente il C. avrebbe trattenuto per le sue esigenze – poiché in sede di conclusioni definitive di primo grado gli attori non avevano censurato il rigetto dell’istanza di prova testimoniale al riguardo, né avevano reiterato la richiesta. Riconosceva poi Euro 3.500 per spese funerarie, in mancanza di documentazione sull’effettivo esborso.
Ricorrono per cassazione L.M., in proprio e nella qualità di rappresentante legale della minore C.V. e I. , Il. e G. . Resiste la Sai s.p.a. Fondiaria Assicurazioni.

Vi.Mi. non ha espletato attività difensiva.

Motivi della decisione

1.- I ricorrenti con il primo motivo deducono: “In ordine all’ammontare del danno non patrimoniale (pretium doloris)” in violazione degli artt. 2, 3, 13, 24 e 32 Costit., 112, 113, 114, 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 1226, 2043, 2056 e 2059 c.c., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo del giudizio (art. 360 co. 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.)” e concludono con i seguenti quesiti di diritto: “1) Se il giudice di merito non accerta la lesione del bene salute del danneggiato, per la determinazione del danno morale soggettivo, deve evidenziare le circostanze di fatto da cui possa argomentare una maggiore sofferenza inferiore per il danno conseguente alla perdita del rapporto parentale in relazione alla concreta situazione della famiglia. Secondo la sentenza impugnata “la vittima aveva 39 anni, la moglie 35, i 4 figli un’età compresa tra i 18 e i tre anni, tenuto conto della composizione abbastanza ampia del nucleo familiare e del legame fra la vittima e gli istanti”. Tenendo presente che la morte del capo famiglia (che era l’unico riferimento della moglie e dei 4 figli minorenni a cui nulla faceva mancare), rappresentò un evento angosciante i cui effetti negativi non possono scolorire nemmeno con il decorso del tempo, il danno morale doveva esser liquidato nella misura massima delle tabelle all’uopo predisposte [indicato, secondo quelle di Milano alla fine dell’anno 2004, per il coniuge superstite e i figli, da Euro 103.632,00 ad Euro 207.264,00]”; 2) “Nella liquidazione del danno morale soggettivo il giudice di merito deve tener conto delle sofferenze patite dall’offeso, della gravità dell’illecito di rilievo penale e di tutti gli elementi della fattispecie concreta in modo da rendere il risarcimento adeguato al caso concreto”; 3) “Il giudice dell’impugnazione avendo adottato il criterio della pura equità avrebbe dovuto quanto meno fare un riferimento alle tabelle di sezione che, anche se non hanno valore di legge e non sono utilizzabili per liquidare i danni, costituiscono pur sempre una guida per evitare la disparità di trattamento”.
2.- Con il secondo motivo lamentano: “In ordine al danno esistenziale sussiste la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2, 3, 13, 24 e 32 Costit., 112, 113, 114, 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 1226, 2043, 2056, 2059 e 2727 c.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo del giudizio (art. 360 co. 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.)”, e concludono con i seguenti quesiti di diritto: 1) “Soltanto quando vi sia la liquidazione del “danno biologico” (che includa ogni pregiudizio diverso da quello consistente nella diminuzione o nella perdita della capacità di produrre reddito, ivi compresi il danno estetico e il danno alla vita di relazione) non v’ è luogo per una duplicazione liquidatoria della stessa voce di danno sotto la categoria generica del “danno esistenziale”. 2) “La liquidazione del danno esistenziale può essere verificata mediante la prova presuntiva che dimostri i concreti cambiamenti che l’illecito ha apportato in senso peggiorativo nelle qualità di vita dei danneggiati”. 3) “Il danno esistenziale da intendere come ogni pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile, anche per presunzioni) che alteri le abitudini e gli assetti relazionali propri del soggetto, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione ed alla realizzazione della sua personalità nel mondo esterno da quelle che avrebbe compiuto ove non si fosse verificato il fatto dannoso, non costituisce una componente o voce né del danno biologico né del danno morale, ma un autonomo titolo di danno”. 4) Il danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale in quanto ontologicamente diverso dal danno morale soggettivo convincente, può essere riconosciuto a favore dei congiunti unitamente a quest’ultimo, senza che possa ravvisarsi una duplicazione del risarcimento”. 5) “Il danno esistenziale sussiste in mancanza del danno biologico con la precisazione che non ogni compromissione del bene reddituale costituisce danno in quanto tale, ma solo ancora una volta la seria compromissione di funzioni soggettive della vittima che possono essere ricondotte alla lesione di diritti ed interessi fondamentali della persona alla tutela dei quali l’ordinamento non può e non deve sottrarsi”.
I motivi, congiunti perché i lamentati danni sono tutti aspetti di pregiudizi non patrimoniali che l’art. 2059 cod. civ. tutela nei casi determinati dalla legge, sono fondati. Infatti, secondo gli artt. II – 2, 61, 62, 63 e 107 della Costituzione Europea il danno morale costituisce lesione del valore universale della persona umana, inviolabile, la cui tutela giurisdizionale risarcitoria deve esser piena. Secondo gli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo ogni persona ha il diritto al rispetto della vita privata e familiare, a fondare una famiglia e alla formazione morale e sociale della prole, che ha diritto alla cura e al supporto genitoriale. La Costituzione Italiana garantisce la piena tutela dei diritti fondamentali di cui agli artt. 2, 29, 30, 31: integrità morale, vita matrimoniale, solidarietà familiare, rapporto parentale. L’art. 1 della Carta di Nizza, contenuta nel Trattato di Lisbona, ratificato dall’Italia con legge 190 del 2008, afferma che la dignità umana ha la sua massima espressione nell’integrità morale e biologica.
Perciò da un lato va ribadito che, in caso di fatto illecito plurioffensivo, ciascuno danneggiato è titolare di un autonomo diritto al risarcimento di tutto il danno, morale (cioè la sofferenza interiore soggettiva sul piano strettamente emotivo, nell’immediatezza dell’illecito, ma anche duratura nel tempo nelle sue ricadute, pur se non per tutta la vita), e dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”), consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana (Cass. 20972 del 2012). Quindi, se l’illecito abbia gravemente compromesso il valore persona, come nel caso della definitiva perdita del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto, in proporzione alla durata e alla intensità del vissuto, alla composizione del restante nucleo che può prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo sia all’età della vittima primaria che a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma, ed ad ogni altra circostanza del caso concreto – che deve esser allegata e provata, ancorché presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza, essendo danni – conseguenza, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare – ad una liquidazione comprensiva di tutto il pregiudizio non patrimoniale subito (Cass. 1410, 24015 del 2011).
Conseguentemente, poiché la liquidazione, necessariamente equitativa, deve esser circostanziata, se per ragioni di uniformità nazionale il giudice di merito adotti le tabelle del Tribunale di Milano – i cui parametri devono esser attualizzati al momento della decisione (Cass. 7272 del 2012) – per l’individuazione della concreta somma attribuibile nel range tra il minimo ed il massimo, ovvero anche oltre tale limite se il vulnus familiare è di particolare gravità per alcuni dei superstiti (Cass. 28423 del 2008), egli deve esplicitare se e come ha considerato tutte le concrete circostanze per risarcire integralmente il danno non patrimoniale subito da ciascuno (Cass. 14402 del 2011), e perciò va esclusa ogni liquidazione di tale pregiudizio in misura pari ad una frazione dell’importo liquidabile a titolo di danno biologico del defunto, perché tale criterio non rende evidente e controllabile l’iter logico attraverso cui il giudice di merito sia pervenuto alla relativa quantificazione, né permette di stabilire se e come abbia tenuto conto di tutte le circostanze suindicate (Cass. 2228 del 2012), così come è erronea una liquidazione uguale per tutti gli aventi diritto o globale con successiva ripartizione interna tra costoro (Cass. 1203 del 2007). I giudici di merito non hanno osservato detti principi avendo quantificato una somma uguale per tutti i componenti del nucleo familiare – moglie e quattro figli, di cui uno appena diciottenne e tre in tenera età – e senza rappresentare come hanno considerato l’incidenza dell’improvvisa e definitiva interruzione del rapporto familiare sul coniuge superstite, sia sotto l’aspetto dell’intensità del dolore emotivo, sia sotto quello della definitiva perdita dell’apporto dell’altro genitore nella cura e nella formazione morale e sociale dei figli, né dell’incidenza di tali aspetti su questi ultimi, per tutta la vita che sarebbe rimasta al padre, secondo l’aspettativa media di essa se non fosse stata tragicamente stroncata. Perciò le censure vanno accolte.
3.- Con il terzo motivo lamentano: “In ordine all’ammissione della prova testimoniale articolata con le deduzioni e richieste istruttorie depositate in primo grado in data 5 dicembre 2001 relative alle varie e lucrose attività commerciali svolte da C.C. sussiste la violazione e falsa applicazione degli artt. 24 Costit., 112, 113, 114, 115 e 116 c.p.c. in relazione agli artt. 244, 323, 329, e 346 c.p.c. e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo del giudizio (art. 360 co. 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.” e concludono con i seguenti principi di diritto: 1) “L’ordinanza con la quale il giudice ritiene inammissibile la prova testimoniale può essere impugnata con l’atto di appello anche se non è stata chiesta la revoca della stessa al giudice di primo grado”.
2) “La mancata ammissione di un mezzo istruttorio si traduce in un vizio della sentenza sotto il profilo dell’omesso o insufficiente esame della relativa istanza, allorché il mezzo stesso sia diretto a dimostrare punti decisivi della controversia con la conseguenza che potendo la Corte di cassazione controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice cui è riservato l’apprezzamento dei fatti, la sentenza di merito va cassata per vizi inerenti alla motivazione allorché il vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto, quale risulta dalla sentenza impugnata che si riveli incompleto, incoerente ed illogico”.
Il motivo è inammissibile.
Ed infatti nessuna ragione giuridica è contrapposta al principio applicato dalla Corte di merito secondo il quale l’istanza istruttoria non accolta nel corso del giudizio, che non venga riproposta in sede di precisazione delle conclusioni, deve reputarsi tacitamente rinunciata, e senza che perciò sia vulnerato o reso disagevole il diritto di “difendersi provando”, che è subordinato ad una domanda della parte che, rigettata dal giudice dell’istruttoria, va rivolta al giudice che decide la causa, così garantendosi anche il diritto di difesa della controparte, la quale non deve controdedurre su quanto non espressamente richiamato (Cass. 10748 del 2012).
4. – Con il quarto motivo “In ordine alla liquidazione delle competenze di secondo grado” con cui i ricorrenti lamentano “La violazione e la falsa applicazione degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c. in relazione alla T.P. 2004, artt. 4, 5 co. 2 e 4 (art. 360 co. 1, nn. 3, 4 e 5 c.p.c.)”, e che corredano con quesiti di diritto, la censura è assorbita dall’accoglimento dei primi due motivi.
5.- Concludendo il ricorso va accolto in relazione ad essi e la sentenza va cassata e rinviata per nuovo esame di merito alla luce dei principi esposti.
Il giudice di rinvio provvederà altresì a liquidare le spese anche del giudizio di cassazione.

P.Q.M. 

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso. Dichiara inammissibile il terzo. Cassa in relazione e rinvia alla Corte di appello di Napoli, altra Sezione, anche per le spese del giudizio di cassazione.

Redazione