Incidente mortale con un motorino: le deduzioni del CT del PM lasciano significativi dubbi sullo svolgimento della dinamica del sinistro (Cass. pen. n. 18302/2013)

Redazione 22/04/13
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Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Palermo, con sentenza dell’11/10/2010, dichiarato C.A. colpevole del delitto di omicidio colposo ai danni di B.S., che secondo la prospettazione accusatoria, sbalzato dal motociclo del quale l’imputato aveva perso il controllo, era deceduto a causa delle gravissime lesioni riportate, finendo violentemente contro un palo del guardrail (fatto accaduto in (omissis)), condannò il predetto imputato alla pena stimata di giustizia, nonché al risarcimento del danno in favore delle parti civili, da liquidarsi in separata sede, ponendo, inoltre, in favore di ciascuna delle parti civili provvisionale di Euro 15.000,00.
1.1. La Corte d’appello di Palermo, accogliendo l’impugnazione dell’imputato, con sentenza del 20/1/2012, assolse il medesimo dal delitto ascrittogli perché il fatto non sussiste.
2. Le P. C. B.B., A.G. e B.A. proponevano ricorso per cassazione, prospettando unitaria, articolata censura, con la quale viene denunziato vizio motivazionale rilevabile in sede di legittimità.
2.1. Questo, in sintesi, il ragionamento impugnatorio: a) illogicamente la Corte palermitana aveva reputato di escludere che lo scooter, con i due giovani a bordo, tenesse velocità di circa 70 Kmh e che, nell’occorso, solo il passeggero avesse subito il disarcionamento; b) l’ing. Ca. aveva ampiamente dimostrato che l’imputato era posto alla guida e la vittima trasportata come passeggero, ricavando la detta conclusione da dati oggettivi, quali la diversa lunghezza di proiezione degli occupanti il motociclo (il B. aveva coperto 18 metri dalla fine della traccia di pneumatico rilevata sul cordolo, nel mentre la vittima aveva subito una più contenuta proiezione in quota e in distanza, tanto da sbattere il capo contro un paletto di sostegno del guardrail); c) in spregio alle dette risultanze tecniche e alla testimonianza di tale F. (il quale aveva visto cadere soltanto uno dei due giovani e solo dopo si era accorto che a terra si trovava l’altro) la Corte territoriale aveva reputato che i due giovani fossero caduti al’unisono e che alla guida vi fosse il B. ; d) il giudice d’appello aveva irragionevolmente svalorizzato l’inferenza che si traeva dalla circostanza che le tasche del giubbotto indossato dal B. si presentavano scucite (secondo la tesi sostenuta dall’accusa e dalle P.C., la vittima, proprio perché trasportato, avvedutasi tardivamente del pericolo incombente, aveva cercato di liberare repentinamente le mani, tenute in tasca), che, invece, aveva trovato riscontro testimoniale (testi A. e Al. ); e) la circostanza, poi, che l’imputato era sprovvisto della patente di guida, al contrario della vittima, spiega, anche da un punto di vista della responsabilità risarcitoria civile, la strategia difensiva del predetto (il padre di costui, proprietario del mezzo, si vedrebbe esposto all’azione di rivalsa assicurativa); f) nonostante il B. non avesse con sé la patente, illogicamente, la Corte d’appello aveva reputato che alla guida potesse trovarsi proprio lui.
3. Con memoria depositata il 4/1/2013 l’imputato chiedeva dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso.

Considerato in diritto

4. Il ricorrente, proponendo una ricostruzione dell’evento diversa da quella operata dal giudice di merito, non mostra di aver tenuto adeguato conto della norma processuale la quale consente riesame in sede di legittimità del percorso motivazionale (salvo l’ipotesi dell’inesistenza) nei soli casi in cui lo stesso si mostri manifestamente (cioè grossolanamente, vistosamente, ictu oculi) illogico o contraddittorio, dovendo, peraltro, il vizio risultare, oltre che dalla medesima sentenza, da specifici atti istruttori, espressamente richiamati (art. 606, comma 1, lett. e).
Peraltro, in questa sede non sarebbe consentito sostituire la motivazione del giudice di merito, pur anche ove il proposto ragionamento alternativo apparisse di una qualche plausibilità.
Sull’argomento può richiamarsi, fra le tante, la seguente massima, tratta dalla sentenza n. 15556 del 12/2/2008 di questa Sezione, particolarmente chiara nel delineare i confini del giudizio di legittimità sulla motivazione: Il nuovo testo dell’art. 606, comma 1, lett. e), c.p.p., come modificato dalla L. 20 febbraio 2006 n. 46, con la ivi prevista possibilità per la Cassazione di apprezzare i vizi della motivazione anche attraverso gli “atti del processo”, non ha alterato la fisionomia del giudizio di cassazione, che rimane giudizio di legittimità e non si trasforma in un ennesimo giudizio di merito sul fatto. In questa prospettiva, non è tuttora consentito alla Corte di cassazione di procedere a una rinnovata valutazione dei fatti ovvero a una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. Il “novum” normativo, invece, rappresenta il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto travisamento della prova, finora ammesso in via di interpretazione giurisprudenziale: cioè, quel vizio in forza del quale la Cassazione, lungi dal procedere a un’inammissibile rivalutazione del fatto e del contenuto delle prove, può prendere in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti onde verificare se il relativo contenuto sia stato o no “veicolato”, senza travisamenti, all’interno della decisione. È stato utilmente chiarito (sentenza 6/11/2009, n. 43961 di questa Sezione) che il giudice di legittimità è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. Pertanto, ove si deduca il vizio di motivazione risultante dagli atti del processo non è sufficiente che detti atti siano semplicemente contrastanti con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua complessiva ricostruzione dei fatti e delle responsabilità, né che siano astrattamente idonei a fornire una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudice. Occorre, invece, che gli atti del processo, su cui fa leva il ricorrente per sostenere la sussistenza di un vizio della motivazione, siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
4.1. Nel caso in esame la Corte territoriale ha ribaltato il giudizio espresso dal Tribunale di Palermo attraverso percorso argomentativo plausibile e non in insanabile contrasto con le acquisizioni probatorie.
Le deduzioni del C.T. del P.M. lasciavano significativi dubbi sullo svolgimento della dinamica del sinistro e la circostanza che i testi A. e Al. avevano affermato che il giubbotto della vittima presentava le tasche strappate non si offriva ad univoca interpretazione: l’indumento, non fatto oggetto di alcuna specifica indagine, ben avrebbe potuto lacerarsi a causa dell’incidente, per ben altre ragioni. A ciò andava soggiunta l’improbabilità che l’imputato, munito solo del c.d. “foglio rosa”, si fosse posto alla guida su arteria ad alta frequentazione, continuamente controllata dalle forze dell’ordine.
Trattasi, per come è evidente, di uno sviluppo motivazionale, che, seppur suscettibile di critiche, non si appalesa manifestamente illogico od irragionevole e non si pone in insanabile contrasto con le acquisizioni probatorie.
Di conseguenza il ricorso deve essere rigettato.
5. All’epilogo consegue la condanna alle spese processuali del ricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Redazione