Inciampa in un tombino sporgente e non segnalato: nessun risarcimento del danno se il pedone ha tenuto una condotta imprudente. (Corte di Cassazione, sez. VI Civile, 15/4/2015, n. 7636)

Redazione 15/04/15
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Il Caso: a causa di un tombino sporgente e non segnalato, una donna che procedeva a piedi sul marciapiede, inciampandovi, si fratturava il setto nasale. Il pedone ferito chiedeva il risarcimento per le gravi lesioni subite al Comune.
Dal verbale dei vigili urbani emergeva la sporgenza del tombino di 3/4 cm. e la necessità, da questi segnalata, di metterlo in sicurezza con pronto intervento, come poi fu fatto (secondo la legge regionale i tombini avrebbero dovuto essere “a filo strada”).

La condotta imprudente della donna, consistita nel camminare sopra il tombino è tale da integrare “il fortuito, idoneo a interrompere il nesso di causalità con la cosa”. Decisive, in questa ottica, anche le considerazioni che il tombino era poco sporgente, e comunque ben visibile, poiché collocato al centro di una zona dissestata del marciapiede; e che la donna abitava a pochi metri di distanza dal marciapiede ‘fatale’, presumendone, ovviamente, una adeguata conoscenza dei luoghi.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, 15/4/2015, n. 7636

(Omissis)

Svolgimento del processo

1. E. G. M. convenne in giudizio il Comune di Milano e chiese il risarcimento del danno per le gravi lesioni subite (frattura del setto nasale), cadendo mentre procedeva a piedi sul marciapiede, a causa di un tombino, sporgente e non segnalato.
Il Tribunale rigettò la domanda e la decisione fu confermata dalla Corte di appello di Milano con sentenza del 15 maggio 2013.
Avverso la suddetta sentenza, la G. propone ricorso affidato a tre motivi.
Il Comune di Milano, ritualmente intimato, non svolge difese.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo deduce omessa e insufficiente motivazione e violazione e falsa applicazione degli arti. 2697, 2051 e 2055 cod. civ. e dell’art. 112, cod. proc. civ.
Con il secondo deduce omessa e insufficiente motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2043, 2051 cod. civ. e dell’art. 183, comma 6, cod. proc. civ.
Con il terzo motivo deduce omessa e insufficiente motivazione e violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2051 e 2055 cod. civ. e dell’art. 41 cod. pen.
1.1. I tre motivi sono strettamente collegati e nella parte esplicativa non contengono la prospettazione di violazioni di legge, ma si sostanziano nella denuncia di difetti motivazionali della sentenza.
In particolare, nel primo, si deduce la mancanza di descrizione della cosa, il tombino, che ha originato l’incidente. Si mette in evidenza: che dal verbale dei vigili urbani, in atti, emergeva la sporgenza dello stesso di 3/4 cm. e la necessità da questi segnalata di metterlo in sicurezza con pronto intervento, come poi fu fatto; che secondo la legge regionale, in atti, i tombini avrebbero dovuto essere “a filo strada”. Si deduce che la Corte di merito non avrebbe tenuto conto di tali elementi nel descrivere la “cosa”.
Nel secondo, si deduce illogicità e insufficienza motivazionale nel ritenere l’anomalia del tombino come abituale e nota da tempo e la mancata indicazione delle ragioni nel ritenere superflue le richieste istruttorie non concedendo i termini di cui all’art. 183, sesto comma cod. proc. civ. atteso che dai documenti suddetti, al contrario di quanto ritenuto dal giudice di merito, non sarebbe univocamente ricavabile la mancanza di responsabilità dell’ente.
Nel terzo si deduce l’omessa descrizione del comportamento anomalo della danneggiata che avrebbe integrato, secondo la Corte, il caso fortuito idoneo a interrompere il nesso causale.
2. I motivi sono inammissibili.
I motivi in esame sono accomunati dalla denuncia di difetti di motivazione ai sensi del nuovo art. 360 n. 5, cit. applicabile ratione temporis, alla luce del quale sono tutti inammissibili.
2.1. Di recente, le Sez. Un. hanno affermato:
a) che la riformulazione dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., secondo cui è deducibile esclusivamente l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, deve essere interpretata come riduzione al minimo costituzionale del sindacato sulla motivazione in sede di giudizio di legittimità, per cui l’anomalia motivazionale denunciabile in sede di legittimità è solo quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e attiene all’esistenza della motivazione in sé, come risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali, e si esaurisce, con esclusione di alcuna rilevanza del difetto di sufficienza, nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nella motivazione apparente, nel contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile;
b) che il nuovo testo del n. 5 dell’art. 360 introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
c) che l’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sé vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Hanno, inoltre, precisato che la parte ricorrente dovrà indicare – nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli arti. 366, primo comma n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. – il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui ne risulti l’esistenza, il “come” e il “quando” (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, e la “decisività” del fatto stesso (Sez. Un. 7 aprile 2014, n. 8053).
2.2. I vizi di motivazione dedotti nella specie non rientrano, all’evidenza, negli stretti limiti entro i quali può ritenersi superata la soglia di ammissibilità della censura sulla base della nuova disposizione processuale, atteso che non si traducono mai in inesistenza della motivazione e nel mancato esame di elementi istruttori decisivi per pervenire ad una diversa soluzione della controversia.
A tal fine è sufficiente ed assorbente mettere in evidenza che la Corte di merito, nel ritenere che la condotta imprudente della danneggiata (evidentemente consistita nel camminare sopra il tombino) integrasse il fortuito idoneo a interrompere il nesso di causalità con la cosa, ha descritto il tombino come “poco sporgente” e al centro di una zona del marciapiede dissestata emergente dalle foto come di colore più scuro, presumendo la conoscenza dei luoghi da parte della danneggiata, che abitava a pochi metri di distanza; che, rispetto allo stato dei luoghi, ha ritenuto superflua qualunque altra attività istruttoria, mentre la ricorrente propone una diversa lettura delle risultanze istruttorie, dando rilievo alla valutazione della necessità dell’intervento da parte dei vigili e all’obbligo che i tombini fossero posti “a filo” (il ché naturalmente non esclude che l’incidente avrebbe potuto essere evitato da un incedere prudente della danneggiata).
3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Non avendo il Comune intimato svolto attività difensiva, non sussistono le condizioni per la pronuncia in ordine alle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

(Omissis)

Redazione