Incapacità dell’imputato, affetto da una patologia, a partecipare al processo (Cass. pen. n. 4973/2013)

Redazione 31/01/13
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Ritenuto in fatto

1. Il giudice per l’udienza preliminare di Biella, con ordinanza in data 16 novembre 2011, ha confermato il regime di sospensione del procedimento disposto ai sensi dell’articolo 71 del codice di rito nei confronti di B.D., imputato del reato di cui all’articolo 589 del codice penale, e affetto da una patologia che, secondo l’accertamento peritale, ne impediva la cosciente partecipazione al procedimento; ha dichiarato manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate dalla difesa dell’imputato, alla luce della giurisprudenza costituzionale in materia.
2. Avverso tale ordinanza ha presentato ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, avvocato ******** fatto premette che il 16 gennaio 2007 si era verificato un incidente stradale a seguito del quale era deceduto il passeggero dell’autovettura condotta dal B.; il medesimo B., imputato di omicidio colposo, aveva subito un grave trauma cranico associato a numerose fratture con la conseguenza di un permanente deficit di memoria a breve termine, con limiti, se pure più lievi, anche alla memoria a lungo termine, secondo quanto accertato dal perito nominato dal giudice ai sensi del primo comma dell’articolo 70 del codice di rito; fin dall’8 aprile 2008 il perito aveva confermato l’incapacità dell’imputato a partecipare coscientemente al processo e il giudice aveva disposto la sospensione del procedimento, nominando all’imputato un curatore speciale; successivamente, a scadenza semestrale, si era proceduto ad ulteriori accertamenti, complessivamente in numero di sei, che avevano sempre confermato l’incapacità dell’imputato a partecipare coscientemente al procedimento; anzi a decorrere dal 16 giugno 2010 il perito aveva precisato che emergeva un quadro psichiatrico tale da far ritenere che il deficit dell’imputato, rimasto sempre immodificato, non fosse suscettibile di miglioramento in futuro e quindi tale da impedire totalmente al paziente di rendere testimonianza dell’evento e di partecipare al giudizio. Tale valutazione veniva confermata nei tre accertamento successivi. Alla luce di tali risultanze peritali, la difesa dell’imputato aveva depositato all’udienza del 25.3.2011 una memoria difensiva con cui invitava il Gup a sollevare questione di costituzionalità della disciplina in questione sotto plurimi profili; il Gup però, con il provvedimento qui impugnato, riteneva la questione manifestamente infondata, e, per l’effetto, confermava il regime di sospensione, disponendo altresì il rinnovo degli accertamenti peritali per la successiva udienza da medesimo fissata.
Tanto premesso, la difesa deduce violazione di legge con riferimento alla disciplina in tema di sospensione del procedimento per incapacità dell’imputato a parteciparvi; dopo aver richiamato la normativa prevista dagli articoli 70, 71 e 72 del codice di rito nonché la giurisprudenza costituzionale con la quale è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di costituzionalità della sospensione del procedimento anche nel caso di accertata incapacità cronica dell’imputato, il ricorrente dichiara di non condividere gli esiti della ordinanza impugnata quanto alla ribadita necessità di effettuare periodica e semestrale perizia per accertare il perdurare della incapacità; il ricorrente sollecita una interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 72, secondo cui il giudice, allorché è accertato che la malattia che causa la incapacità dell’imputato ha natura non transeunte ma immutabile, può disporre accertamenti sullo stato di salute dell’imputato a scadenze superiori ai sei mesi, evitando così accertamenti invasivi per l’imputato con aggravio delle spese processuali; nel caso in cui non venga accolta tale interpretazione, formula eccezione di incostituzionalità della relativa normativa con riferimento agli articoli 111, 24 e 13, tenuto conto anche del fatto che la stessa previsione normativa dell’art. 70 consente al giudice di disporre perizia per accertare lo stato di salute dell’imputato solo «se occorre» attribuendo cioè al medesimo giudice un potere discrezionale; la mancanza di un’analoga discrezionalità da parte del giudice nelle successive verifiche semestrali comporterebbe una disparità di trattamento non accettabile, anche tenuto conto della natura invasiva dell’accertamento in questione idoneo ad incidere sulla sfera personale dell’imputato e sulla sua libertà personale. Il ricorrente contesta la motivazione fornita dalla ordinanza impugnata circa la ritenuta manifesta infondatezza della eccezione di legittimità costituzionale, in quanto si è semplicemente limitata a richiamare la risalente giurisprudenza, anche costituzionale, in materia con un richiamo del tutto generico e tanto più insoddisfacente in quanto la giurisprudenza costituzionale non ha mai esaminato la problematica sotto il profilo sopra richiamato. Sostiene poi che la specificità della vicenda, che impedisce di addivenire alla pronuncia di una sentenza definitiva, attesa la prognosi di immutabilità del quadro clinico reiteratamente ripetuta dal perito a distanza di anni, impone di ritenere non applicabile alla fattispecie in esame il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità circa l’inammissibilità della mera impugnazione del rigetto dell’eccezione di incostituzionalità motivata sul fatto che la questione è riproponibile avanti al giudice che definirà il merito del processo; il ricorrente rileva che nella presente fattispecie vi è prova certa che mai si arriverà alla pronuncia di una statuizione nel merito.

 

Considerato in diritto

1. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, non meritando censura il provvedimento impugnato che ha fatto applicazione della normativa vigente e della giurisprudenza costituzionale, disponendo la conferma della sospensione del procedimento, il rinvio dello stesso ad una successiva udienza allo scadere di ulteriori sei mesi, ed il rinnovo degli accertamenti peritali.
Lo stesso fornisce tuttavia l’opportunità di formulare le seguenti osservazioni.
Come è noto, l’incapacità dell’imputato di partecipare al processo (art. 70 e sgg. cod. proc. pen.) è oggetto di specifica disciplina da parte del vigente codice di procedura penale, distinta rispetto alla mancanza di imputabilità (art. 88 cod. proc. pen.), in considerazione del fatto che tali stati soggettivi, pur accomunati dall’infermità mentale, operano su piani del tutto diversi e autonomi. Una volta accertata l’incapacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo, il giudice deve disporre, ai sensi dell’art. 71 cod. proc. pen., la sospensione del processo, sempre che l’imputato non debba essere prosciolto o non debba essere pronunziata sentenza di non doversi procedere; il giudice deve poi verificare periodicamente (ogni sei mesi o anche prima quando se ne ravvisi l’esigenza) la permanenza dell’incapacità dell’imputato, al fine di riprendere il corso del giudizio non appena risulti che lo stato di mente del medesimo ne consente la cosciente partecipazione ovvero che deve essere pronunciata sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere. Questa disciplina, evidentemente e condivisibilmente ispirata dall’esigenza di assicurare all’imputato la facoltà di autodifesa, è stata però oggetto di critiche da parte della dottrina e della giurisprudenza, specie in relazione al caso in cui sia accertata una situazione di irreversibile incapacità dell’imputato a partecipare al procedimento, situazione in cui – si è osservato – la rigidità del sistema non consente di tenere conto di altre esigenze, quale quella della ragionevole durata del processo ed impone di rinnovare degli accertamenti peritali che sono inutili a fronte di una situazione patologica che si è accertato essere definitiva ed irreversibile, finendo anzi ad essere dannosi sia per i loro costi sia per l’invasività degli accertamenti cui l’imputato viene ripetutamente sottoposto. Numerose volte i giudici hanno investito la Corte Costituzionale, prospettando soluzioni che non sono però state accolte. In particolare, con l’ordinanza n.112 del 2007, che richiama tutti i precedenti interventi, la Corte ha ritenuto manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 70 cod. proc. pen., censurato, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 111, secondo comma, e 112 della Costituzione, nella parte in cui impone al giudice di sospendere il procedimento penale, ove l’imputato non sia in grado di partecipare coscientemente al processo per infermità mentale, ritenendo la questione proposta priva di rilevanza nel giudizio a quo, poiché la disposizione impugnata era già stata applicata dal giudice rimettente, che infatti dichiarava di avere preliminarmente accertato l’infermità mentale dell’imputato tramite perizia psichiatrica; ha dichiarato altresì manifestamente inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 71 cod. proc. pen., censurato in riferimento all’art. 111, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui impone al giudice di sospendere il procedimento penale, ove l’imputato non sia in grado di partecipare coscientemente al processo per infermità mentale, anziché di pronunciare sentenza meramente processuale e non produttiva di effetti preclusivi, rilevando che analoga questione di costituzionalità era già stata dichiarata manifestamente inammissibile con l’ordinanza n. 33 del 2003, ove si era osservato che l’intervento richiesto dal rimettente, e cioè l’introduzione della possibilità della pronuncia di una sentenza dotata di efficacia «meramente processuale», oltre a «rientrare; quanto a casi e disciplina, nella esclusiva sfera della discrezionalità legislativa», «riverbererebbe i suoi effetti anche sul piano del decorso dei termini di prescrizione del reato», «cosi vanificando l’eventuale futura «ripresa» del procedimento, ove, in ipotesi risultasse errata la prognosi di irreversibilità della incapacità processuale dell’imputato»; ed ancora, sempre con la stessa ordinanza, ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 71, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 112 della Costituzione, rilevando che non è «ravvisabile una lesione del diritto di difesa, derivando, anzi, dalla sospensione del processo l’impossibilità che venga pronunciata una decisione di condanna nei confronti di una persona che, non potendo partecipare coscientemente al processo, non è in grado di difendersi», poiché «fra il diritto di essere giudicato (che non esclude che all’esito del giudizio venga pronunciata condanna) e il diritto di autodifendersi deve, infatti, ritenersi prevalente quest’ultimo» (sentenza n. 281 del 1995); che, come già osservato in tale ultima sentenza, «non appare vulnerato neppure il principio di obbligatorietà dell’azione penale perché, a parte la possibilità per il pubblico ministero di compiere le indagini nei limiti previsti dall’art. 70, terzo comma, del codice di procedura penale, l’esercizio dell’azione penale è solo sospeso a tutela del diritto costituzionalmente tutelato all’autodifesa»; e che, infine, nemmeno è violato l’art. 3 della Costituzione, poiché la assimilazione tra l’infermità mentale «cronica» e quella «transeunte» corrisponde alla ratio sottesa all’art. 70 cod. proc. pen., posto che in entrambe le ipotesi l’imputato si trova menomato, fino a che perdura immutata l’infermità di mente, nella propria «libertà di autodeterminazione» (sentenza n. 281 del 1995 cit.), coessenziale all’esercizio del diritto di difesa, sicché il legislatore ha ritenuto di prevedere la sospensione del procedimento. L’orientamento della Corte Costituzionale è stato anche di recente ribadito con la ordinanza di inammissibilità n. 289 del 2011, in cui si è ulteriormente osservato che una eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale del solo art. 72 cod. proc. pen. non solo non eliminerebbe, ma rischierebbe addirittura di aggravare l’ipotizzato vulnus del principio di ragionevole durata del processo: unico effetto, infatti, sarebbe quello di escludere l’obbligo degli ulteriori controlli periodici sullo stato di mente dell’imputato dopo la disposta sospensione del procedimento, col risultato di lasciare il procedimento stesso in una condizione di stasi a tempo indefinito e senza la previsione di alcuno strumento per riattivarne eventualmente il corso.
È dunque evidente che la Corte Costituzionale non ritiene che la normativa in questione sia suscettibile di correzione per il tramite di un proprio intervento, che avrebbe tra l’altro l’effetto, come osservato nella ultima delle ordinanze sopra richiamate, «di lasciare il procedimento stesso in una condizione di stasi a tempo indefinito e senza la previsione di alcuno strumento per riattivarne eventualmente il corso».
Sembra piuttosto al Collegio che, come è stato anche osservato da una attenta dottrina, una via d’uscita dalla problematica situazione che riguarda i c.d. «eterni giudicabili», potrebbe essere trovata nella stessa normativa esistente, attraverso una interpretazione della stessa conforme al canone di ragionevolezza. Il primo comma dell’art. 72 stabilisce che «Allo scadere del sesto mese dalla pronuncia dell’ordinanza di sospensione del procedimento, o anche prima quando ne ravvisi l’esigenza, il giudice dispone ulteriori accertamenti peritali sullo stato di mente dell’imputato. Analogamente provvede ad ogni scadenza di sei mesi, qualora il procedimento non abbia ripreso il suo corso». È dunque evidente che la norma nello stabilire, dopo che è stata disposta la sospensione del procedimento, l’onere del giudice di procedere al controllo sullo stato di mente dell’imputato a scadenza periodica semestrale, o anche più a breve se necessario, mediante «accertamenti peritali», ha introdotto un meccanismo volto ad evitare la stasi prolungata ed ingiustificata del procedimento.
La norma non distingue tra i casi in cui sia stata già accertata, e come spesso avviene confermata, una permanente e non modificabile incapacità dell’imputato a partecipare coscientemente al procedimento e quelli in cui lo stato di incapacità sia invece temporaneo, transeunte, modificabile e dunque necessiti in modo più evidente di un monitoraggio sulla sua evoluzione; neppure prende in considerazione la possibilità che, anche nelle situazioni del secondo tipo, il controllo possa essere più utile non alla scadenza, fissa e predeterminata, del semestre, ma ad una distanza maggiore di sei mesi, intermedia rispetto alla ulteriore scadenza semestrale; mentre è invece possibile, per espresso dettato normativo, un controllo anticipato rispetto allo scadere del sesto mese.
Queste apparenti irrazionalità della normativa potrebbero però essere evitate se si ritiene che ciò che la norma richiede in maniera inderogabile è che a scadenza semestrale venga effettuato il controllo sulla situazione dell’imputato, lasciando però al giudice la valutazione «quando ne ravvisi l’esigenza» (secondo l’espressione che figura nella norma e che ben può esser riferita a tutte le ipotesi che la stessa disciplina) sulla effettiva necessità di disporre una apposita perizia ovvero di rimandarla ad un momento successivo. Una tale interpretazione, non esclusa dal tenore letterale della norma, si inserisce con maggiore razionalità nel contesto di una situazione di cui sono evidenti le peculiarità e dove, fermo restando la necessità di un controllo periodico a scadenze temporali fisse (ogni sei mesi), sembra decisamente più conforme alle esigenze sottese all’istituto in esame la previsione di un’accertamento peritale la cui necessità sia affidata alla prudente valutazione del giudice, non diversamente da tutti gli altri casi regolati dal codice di procedura penale ed anche nel caso espressamente regolato, è opportuno ribadirlo, dallo stesso art. 70, co. 1, del primo accertamento sulla capacità dell’imputato per il quale è attribuito al giudice il potere «se occorre» di disporre perizia.
2. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Non risultando soccombenza del ricorrente, atteso che la questione resta comunque liberamente apprezzabile dal giudice del procedimento, non ricorrono le condizioni per condannare l’imputato al pagamento delle spese processuali e alla sanzione in favore della cassa delle ammende.

 

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Redazione