Inammissibilità della perizia di parte depositata dal Comune appellante nel grado di appello (Cons. Stato n. 1139/2013)

Redazione 25/02/13
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FATTO

Il Comune di Bari ha impugnato, chiedendone la riforma previa sospensione dell’esecuzione, la sentenza con la quale il T.A.R. della Puglia, in accoglimento del ricorso proposto dalla società Centrale Immobiliare S.a.s. di ********** & C., ha annullato il diniego opposto all’istanza presentata da detta società per il rilascio del permesso di costruire un edificio di tre piani, con locali commerciali a piano terra, unità case-bottega al primo piano ed uffici agli altri due piani.

A sostegno dell’appello, viene dedotta l’erroneità della sentenza per aver omesso di considerare le ragioni del rigetto, consistenti nel non prevedere l’intervento richiesto opere rientranti in tutte le tipologie contemplate per l’area interessata dal Piano di zona relativo al rione Japigia, nel ricadere buona parte delle opere richieste nella destinazione a terziario (non contemplata dal predetto Piano), nella sproporzione tra residenze ed esercizi commerciali, nonché per avere erroneamente valutato gli effetti della decadenza dei vincoli espropriativi stabiliti dal medesimo Piano di zona.

Si è costituita la appellata società Centrale Immobiliare S.a.s., la quale preliminarmente ha eccepito la almeno parziale inammissibilità dell’impugnazione per carenza di specifiche censure avverso taluni capi di sentenza, e nel merito ha ampiamente controdedotto assumendo l’infondatezza del gravame e chiedendone la reiezione.

Alla camera di consiglio del 30 giugno 2009, la Sezione ha respinto la domanda incidentale di sospensiva.

Le parti hanno poi affidato a memorie l’ulteriore sviluppo delle rispettive tesi.

All’udienza del 29 gennaio 2013, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’odierna appellata, società Centrale Immobiliare S.a.s. di ********** & C., è proprietaria di un’area sita nel Comune di Bari, in zona ricadente nel perimetro del Piano di zona afferente al rione Japigia, nell’ambito individuato come settore B2 con destinazione in parte a verde pubblico, in parte a parcheggio pubblico e in parte a servizi (centro civico, centro sociale, uffici, negozi, mercato coperto etc.).

Su tale area, essa società era intenzionata a realizzare un edificio di tre piani articolato in esercizi commerciali al piano-terra, unità case-bottega al primo piano ed uffici al secondo e al terzo piano, ed a tal fine ha formulato istanza di permesso di costruire, che l’Amministrazione comunale ha però respinto rilevando:

a) che il progetto proposto prevedeva soltanto alcuni dei servizi indicati dal Piano di zona;

b) che le superfici a residenza erano prevalenti su quelle adibite a negozi;

c) che la preponderanza degli uffici determinava la destinazione dell’immobile a terziario, non ammessa dal Piano di zona;

d) che sarebbe stato alterato rispetto alle previsioni di Piano il rapporto tra superfici coperte e scoperte;

e) che era stata omessa la progettazione partecipata prevista dal Piano.

Proposto ricorso avverso il detto diniego, il T.A.R. della Puglia ha accolto la domanda attorea con la sentenza oggi appellata dal Comune, sul presupposto dell’intervenuta decadenza dei vincoli espropriativi per effetto del decorso del termine di efficacia del Piano di zona, con la conseguenza dell’impossibilità di realizzare opere che logicamente avrebbero potuto essere eseguite solo dalla mano pubblica, così come di procedere alla progettazione partecipata che all’uopo si rendeva necessaria; inoltre, si è rilevato che le prescrizioni del Piano di zona non imponevano necessariamente la realizzazione contestuale su ogni singolo comparto di tutte le tipologie di servizi contemplate per l’area de qua, e che in ogni caso trovavano smentita nella documentazione in atti i rilievi in ordine alla non conformità del progetto alla destinazione prevista dal Piano stesso.

2. Ciò premesso, in via del tutto preliminare va dichiarata l’inammissibilità della perizia di parte depositata dal Comune appellante nel presente grado di appello, trattandosi di nuova prova che per pacifica giurisprudenza non è producibile per la prima volta in secondo grado (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. IV, 16 novembre 2012, nr. 5783; id., 13 gennaio 2010, nr. 90; Cons. Stato, sez. VI, 23 luglio 2008, nr. 3649).

3. Può invece prescindersi dall’esame dell’eccezione di parziale inammissibilità dell’impugnazione sollevata dalla società appellata, in quanto l’appello risulta infondato nel merito.

4. Al riguardo, il dato fattuale da cui muovere è costituito dall’intervenuta decadenza del Piano di zona nel quale ricade l’area interessata dalla richiesta di permesso di costruire per cui è causa, per decorso del termine di legge di efficacia dello stesso.

Tale dato è incontestato tra le parti, ma è invece fuori luogo il richiamo che l’Amministrazione appellante fa al regime delle c.d. “zone bianche”, ed ai correlativi limiti alla edificabilità, che si applicano in caso di decadenza dei vincoli espropriativi impressi dalla strumentazione urbanistica generale: infatti, trattandosi nella specie di vincoli contenuti – appunto – in un Piano di zona per l’edilizia economica e popolare, va richiamato il consolidato indirizzo secondo cui la decadenza di detti piani, se certamente comporta la caducazione delle dichiarazioni di pubblica utilità ex lege e dei vincoli espropriativi che ne derivano ai sensi dell’art. 9 della legge 18 aprile 1962, nr. 167, fa salvo però il vincolo conformativo derivante dalle destinazioni di zona che il Piano, in quanto strumento attuativo del P.R.G., ha posto (cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 febbraio 2010, nr. 509; Cons. Stato, sez. IV, 27 ottobre 2009, nn. 6572 e 6568; id., 12 dicembre 2008, nr. 6182).

Alla stregua dei richiamati principi, va affermato che nel caso che occupa il Comune non poteva denegare, semplicemente sul rilievo dell’intervenuta scadenza del Piano, interventi edificatori in ipotesi conformi alle predette prescrizioni di zona destinate a sopravvivere alla decadenza dei vincoli espropriativi.

5. Tutto ciò premesso, risulta innanzi tutto infondata la doglianza con la quale il Comune appellante, censurando le opposte conclusioni del primo giudice, torna a sostenere la propria tesi secondo cui l’assentibilità dell’intervento era condizionata alla previsione contestuale di tutte le destinazioni d’uso stabilite dal Piano di zona per l’area de qua.

Sul punto, parte appellata ha evidenziato come tale avviso contrasta col diverso atteggiamento tenuto dal medesimo Comune in altre situazioni analoghe, laddove sarebbero stati assentiti interventi non rispondenti alle caratteristiche suindicate; ma, anche a prescindere da ciò, la Sezione osserva che ai sensi dell’art. 1 della già citata legge nr. 167 del 1962 l’urbanizzazione stabilita dal Piano di zona non può che avere riguardo al perimetro complessivo della “zona” interessata dall’intervento di edilizia economica e popolare nella sua globalità, senza che questa possa essere parcellizzata in lotti o sottozone per ciascuna delle proprietà in cui si suddivide.

Da ciò discende che, una volta cessata l’efficacia del Piano senza che l’Amministrazione si sia avvalsa dei propri poteri ablatori per realizzare gli interventi di più diretto interesse pubblicistico, lo jus aedificandi del proprietario non può essere compresso al di là di quanto necessario per il rispetto delle generiche destinazioni di zona: ammettere un vincolo di conformazione che giunga ad imporre al privato proprietario anche la realizzazione delle opere pubbliche che la p.a. si era inizialmente riservata, e che non ha eseguito nei termini di legge, è opzione ermeneutica di quanto meno dubbia compatibilità con lo statuto costituzionale della proprietà ex art. 42 Cost.

Ne discende, ancora, l’impossibilità che il Comune possa seguitare a pretendere dal privato, dopo la scadenza del Piano, quella “progettazione partecipata” la cui previsione era funzionale proprio ai vincoli pubblicistici imposti dal Piano, ma che perde senso una volta che si riespande la facoltà del privato di edificare in proprio (sia pure nel rispetto delle prescrizioni conformative che – come detto – restano pienamente vigenti ed efficaci).

6. Una volta superate, nei termini sopra precisati, le questioni più rilevanti in ordine all’individuazione degli obblighi incombenti al privato per effetto della destinazione ancora impressa dal Piano di zona, può aggiungersi che risultano condivisibili anche gli argomenti con i quali il primo giudice ha reputato illegittime le ulteriori motivazioni addotte dal Comune a sostegno della reiezione dell’istanza ad aedificandum.

Ed invero, nell’appello oggi in esame non si rinvengono rilievi in grado di scalfire le piane considerazioni nel senso della conformità dell’intervento alle prescrizioni imposte dal Piano in questione.

In particolare, l’art. 4, lettera g), delle N.T.A. del Piano stesso consentiva espressamente la realizzazione di quelle che l’istante ha definito “case-bottega”, ossia di alloggi residenziali connessi agli esercizi commerciali, col solo limite della necessità di un legame fisico tra residenze e negozi: e non è contestato che tale prescrizione fosse rispettata nel caso di specie, essendo le residenze in progetto situate al primo piano rispetto ai negozi sottostanti, ai quali sono fisicamente collegate.

Inoltre, non trova riscontro documentale la asserita prevalenza delle residenze, atteso che non è smentita la circostanza che gli appartamenti, che sono unicamente quelli sopra indicati collegati ai negozi, sono comunque numericamente meno di questi ultimi (12 alloggi per 16 esercizi commerciali).

Nemmeno può convenirsi con l’affermazione di un’indebita destinazione dell’edificio a “terziario”, atteso che gli uffici progettati al secondo e al terzo piano non comportano necessariamente un mutamento di destinazione d’uso nel senso suindicato, essendo specificamente indicata in progetto la destinazione degli uffici stessi a servizi rientranti fra quelli consentiti dalla disciplina di Piano.

7. Alla luce dei rilievi fin qui svolti, l’appello va respinto e va confermata la sentenza di accoglimento del T.A.R. pugliese.

Tale accoglimento comporta, come è evidente, l’obbligo del Comune di riesaminare l’istanza di permesso di costruire e di ripronunciarsi su di essa tenendo conto dei principi in diritto qui enunciati, alla cui stregua il diniego già adottato si appalesa illegittimo.

8. In considerazione della peculiarità della vicenda esaminata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Compensa tra le parti le spese del presente grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 gennaio 2013

Redazione