Impiego pubblico: il datore di lavoro non può impedire il rientro dalla malattia, se il lavoratore certifica la sua guarigione (Cass. n. 12501/2012)

Redazione 19/07/12
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Svolgimento del processo

1. Con ricorso ritualmente notificato C.C. esponeva:

che era dipendente dell’Agenzia delle entrate; che in data 16.12.97 veniva sottoposta – su sua stessa richiesta – a visita collegiale della ASL e dichiarata permanentemente inidonea al servizio; che era stata assente dai servizio per malattia dal marzo 1998 al 21.11.98, dietro presentazione di regolari certificazioni mediche; che aveva richiesto in data 11.11.98 il rientro anticipato dalla malattia, presentando certificato medico che attestava le migliorate condizioni di salute; che l’amministrazione non consentiva il rientro fino alla nuova visita collegiale della ASL, avvenuta nel febbraio ’99, che verificava l’idoneità al servizio; che illegittimamente l’Agenzia per il periodo dal 17.11.98 al 19.2.99 procedeva alla decurtazione del trattamento stipendiale. Chiedeva dichiararsi l’illegittimità di tale provvedimento non essendo imputabile alla ricorrente l’assenza dal 17.11.98 in poi.

Si costituiva ritualmente l’Agenzia delle Entrate e deduceva che: il rientro in servizio della ricorrente non era consentito in presenza di un accertamento di inidoneità permanente; che l’amministrazione si attivava immediatamente a richiedere la nuova visita collegiale;

che alla ricorrente era stato applicato il trattamento economico previsto in caso di assenza per malattia, con le relative riduzioni previste dopo i primi nove mesi, (10%); dopo i successivi tre mesi (50%), nessuna retribuzione dopo i successivi 6 mesi.

Con sentenza n. 11.716 del 13 giugno 2005 il Tribunale di Roma accoglieva la domanda della ricorrente con la condanna alle spese di lite.

2. Avverso la pronuncia di primo grado proponeva appello l’Agenzia delle Entrate rilevando che il Tribunale non aveva considerato: che l’Amministrazione ai sensi del d.P.R. 1957, art. 130, era vincolata al giudizio tecnico di dispensa; che dopo appena tre giorni dalla richiesta di rientro in servizio si era attivata per chiedere la nuova visita alla ASL; che il ritardo nell’espletamento della visita non era imputabile al datore di lavoro; che in mancanza di prestazione non poteva essere riconosciuto l’intero trattamento retributivo.

C.C. si costituiva nel procedimento di secondo grado chiedendo il rigetto dell’ impugnazione.

La corte d’appello di Roma con sentenza del 22 giugno 2007 – 25 settembre 2007, in riforma dell’impugnata sentenza, rigettava il ricorso di primo grado e compensando le spese di lite tra le parti.

3. Avverso questa pronuncia ricorre per cassazione l’originaria ricorrente con tre motivi.

Resiste con controricorso la parte intimata. La ricorrente ha depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

Con i primi due motivi la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del d.P.R. n. 3 del 1957, artt. 129, 130, 131 e 132, nonchè vizio di motivazione per quanto concerne il soggetto cui attribuire le conseguenze del ritardo della ASL nell’effettuare la visita medico – legale e per quanto concerne la ritenuta irricevibilità della prestazione lavorativa sino all’esito della visita medico – legale. La corte d’appello ha erroneamente ritenuto che dovessero gravare sulla dipendente le conseguenze del ritardo con il quale l’azienda sanitaria aveva dato seguito alla richiesta di visita da parte dell’agenzia delle entrate. In ogni caso l’esito positivo della visita medica doveva retroagire al momento della presentazione della richiesta di rientro in servizio da parte della dipendente.

Con il terzo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione per quanto concerne il momento di effettuazione della visita medica.

Secondo la ricorrente la corte d’appello erroneamente ha escluso l’erogazione del trattamento retributivo pieno prima del rientro.

2. Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del controricorso perchè tardivo in quanto notificato oltre il termine previsto dall’art. 370 c.p.c..

3. Il ricorso – i cui tre motivi possono essere esaminati congiuntamente – è fondato.

In diritto deve considerarsi che la condizione di malattia del dipendente costituisce giustificato impedimento che esclude l’inadempimento dell’obbligo di prestazione lavorativa (art. 2110 c.c.); ma nel momento in cui cessa la malattia, il lavoratore è tenuto all’adempimento di tale obbligo e, ove offra la prestazione lavorativa, è il datore di lavoro inadempiente (mora credendi) ove ingiustificatamente la rifiuti.

La peculiarità del caso di specie è data dal fatto che la malattia della dipendente era espressione di un’inidoneità al lavoro inizialmente valutata (dall’ASL che aveva sottoposto la dipendente a visita collegiale medica) come permanente. Ciò però non aveva portato l’agenzia delle entrate, pubblica amministrazione datrice di lavoro, ad adottare un provvedimento di dispensa dal servizio. La dipendente quindi si è assentata dal servizio in una condizione di malattia tout court, sicchè, cessata la malattia per il miglioramento delle sue condizioni fisiche, che quindi faceva venir meno il carattere permanente dell’inidoneità al lavoro inizialmente certificata dalla ASL, non si poneva un problema di riammissione in servizio per revoca di un provvedimento di dispensa, mai intervenuto, ma c’era soltanto la mera riattivazione dell’obbligo di prestazione lavorativa.

L’agenzia delle entrate poteva sì verificare la riacquistata idoneità al lavoro della ricorrente prima di ammetterla in servizio una volta che inizialmente (in data 16 dicembre 1997) era stata certificata la sua permanente inidoneità al servizio da parte dell’azienda sanitaria. Ma l’agenzia delle entrate – rifiutando nell’immediato la prestazione lavorativa e contestualmente richiedendo alla stessa azienda sanitaria di sottoporre nuovamente a visita medica la dipendente a distanza di poco più di un anno al fine di verificare se esistesse, o no, la condizione di inidoneità al servizio che inizialmente era stata valutata come “permanente” – ha assunto il rischio dell’esito del controllo sanitario, che non poteva gravare sulla dipendente.

Una volta che la visita collegiale medica aveva accertato il miglioramento delle condizioni di salute della ricorrente, come risultante dal certificato medico dalla stessa prodotto, e quindi la ripristinata idoneità al lavoro, il rifiuto della prestazione lavorativa da parte dell’agenzia risultava ingiustificato fin dall’inizio.

Va quindi affermato, come principio di diritto, che è inadempiente, per mora credendi, il datore di lavoro che rifiuti la prestazione lavorativa del lavoratore il quale, già assente dal lavoro per malattia, chieda di riprendere la sua attività allegando e documentando la cessazione della malattia stessa ante tempus.

4. Il ricorso va pertanto accolto e conseguentemente l’impugnata sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla corte d’appello di Roma in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Redazione