Immigrazione clandestina: il reato non può più ritenersi ostativo ai fini della procedura di emersione dal lavoro irregolare dei cittadini extracomunitari (Cons. Stato n. 1331/2013)

Redazione 05/03/13
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FATTO e DIRITTO

1.Il Tar per la Lombardia, sede di Brescia, respingeva il ricorso proposto dal ricorrente avverso il diniego di emersione ex l. 102/09 emesso dalla Prefettura di Brescia motivato in relazione alla sentenza del Tribunale di Brescia del 10. 4. 2006 per il reato di cui all’art. 14 co.5 ter del d.lvo. n.286/1998 (reato di clandestinità) emessa nei confronti del ricorrente medesimo.

Il Tar riteneva la idoneità della sentenza di condanna per art. 14 co. 5 ter d.lgs. 286/98 a costituire precedente ostativo. A tale fine richiamava, utilizzando la tecnica del precedente conforme, quanto dedotto nella pronuncia del Tar Lombardia, I sezione, n. 3921/2010 .

Quanto al fatto che il ricorrente il 17. 3. 2010 (e cioè 2 giorni dopo aver ricevuto il preavviso di diniego) aveva chiesto la riabilitazione da tale sentenza di condanna, poi ottenuta il 23. 11. 2010, il Tar osservava che il ricorrente avrebbe dovuto far venire meno la causa ostativa alla regolarizzazione prima di presentare la domanda e non dopo; ogni provvedimento amministrativo, infatti, è emesso in base alla situazione di fatto e di diritto esistente nel momento in cui esso viene pronunciato, talché la Prefettura non poteva prendere in considerazione una riabilitazione che non era ancora stata concessa.

Nell’atto di appello il ricorrente assume la erroneità della sentenza sotto molteplici profili.

Si è costituita l’ Avvocatura Generale dello Stato per resistere all’appello.

Alla pubblica udienza del 29 gennaio 2013 la causa è stata trattenuta per la decisione.

2. Ritiene la Sezione che nel caso di specie, relativo al lavoratore extracomunitario al quale è stato negata, in via automatica la regolarizzazione a motivo di una condanna penale per uno dei reati previsti dall’art. 381 c.p.p., elencazione nella quale è da ricondurre il reato previsto dall’art. 14 co.5 ter del d.lvo. n.286/1998 (c.d. reato di c.d. clandestinità) per cui è stato condannato, debba considerarsi che :

– il reato di immigrazione clandestina, di cui sopra non può più ritenersi ostativo ai fini della procedura di emersione dal lavoro irregolare dei cittadini extracomunitari dopo la direttiva U.E. n. 115 del 2008 che, essendo di immediata applicazione secondo l’interpretazione datane con sentenza 28 aprile 2011 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, è entrata in vigore, anche prima di essere recepita, trascorsi tre anni dalla sua adozione e ha determinato l’abolizione del suddetto reato, come anche riconosciuto dal Consiglio di Stato con le sentenze dell’Adunanza Plenaria 10 maggio 2011, n. 7 e n. 8 e da ampia giurisprudenza successiva (da ultimo Cons. Stato Sez. III, 17 gennaio 2013 n. 271);

– in seguito, nell’ambito di una serie di modifiche di adeguamento alla direttiva CE n. 115/2998, il decreto legge 89/2011, art. 3, co. 1, lettera d), n. 6, ha sostituito il precedente testo dell’art. 14, comma 5 ter, citato, con un nuovo testo che prevede una multa nella misura massima di 20.000 euro;

– la sentenza della Corte Costituzionale n. 172/2012 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio di ragionevolezza, dell’automatismo tra la condanna penale per uno dei reati di cui all’art. 381 c.p.p. e il diniego dell’istanza di regolarizzazione.

3. Deve essere ritenuta conseguentemente l’illegittimità dell’atto impugnato, in quanto motivato esclusivamente in ragione dell’ automatismo del reato anziché sulla base di un accertamento in concreto della pericolosità del lavoratore extracomunitario (Cons. di Stato, III, 24 novembre 2012 n. 5957; III, 14 gennaio 2013 n. 132) con l’effetto che sarà dovere dell’amministrazione accertare in concreto se, sulla base del precedente penale per il quale peraltro l’appellante nelle more ha ottenuto la riabilitazione, valutato unitamente ad ogni altro elemento sintomatico riferito all’attualità, il lavoratore rappresenti o meno una minaccia per l’ordine pubblico o la sicurezza dello Stato.

4. In conclusione, l’appello è fondato e merita accoglimento con la conseguenza che, in riforma della sentenza impugnata, va accolto il ricorso di primo grado annullando l’atto di diniego salvi gli ulteriori provvedimenti dell’amministrazione.

5. Le spese possono essere compensate.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 29 gennaio 2013

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