Illegittimo l’accertamento sul redditometro notificato alla contribuente a carico del marito che dichiara grosse entrate (Cass. n. 18388/2013)

Redazione 31/07/13
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La sig.ra I. P. ricorre contro l’Agenzia delle Entrate, per la cassazione della sentenza con cui la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia – pronunciandosi sulla impugnativa di un avviso di accertamento Irpef che aveva determinato in euro 27.000 il reddito della contribuente per fanno 2002, utilizzando il procedimento di accertamento per redditometro ex articolo 38 d.p.r. 600,-73 – ha accertato tale reddito nella misura di euro 18.000.
L’atto impositivo aveva attribuito alla ricorrente il reddito di € 27.000 per ciascuno degli anni dal 200l al 2005, spalmando su tali anni – in relazione ai quali la contribuente non aveva dichiarato alcun reddito – l’importo di € 135.000 versato dalla contribuente (in aggiunta al retratto di un mutuo trentennale di euro 700.000) in pagamento di un acquisto immobiliare effettuato il 28 luglio 2005.
La Commissione Tributaria Regionale ha ritenuto inattendibile la situazione reddituale presentata dalla contribuente negli anni oggetto di accertamento (nei quali la stessa era fiscalmente a carico del marito), considerando non del tutto probanti le difese da costei sviluppate e, in definitiva, ritenendo che negli anni in questione la stessa avesse realizzato un reddito inferiore a quello accertato dall’Ufficio ma non inferiore a quello del di lei marito (accertato in sentenza in euro l8.000 fanno).
Con l’unico motivo di ricorso si denuncia il vizio di insufficiente motivazione della sentenza gravata per omessa valutazione delle prove fornite dalla contribuente.
Il ricorso è fondato.
Il nucleo della motivazione della sentenza gravata consiste nell’affermazione che la contribuente, non avendo mai presentato alcuna dichiarazione dei redditi per gli anni dal 2001 al 2005, per tali anni non disponeva di alcun reddito “o comunque disponeva di un reddito familiare modesto, essendo a carico dei marito che dichiarava redditi pari a € 18.000”; da tale accertamento di fatto il giudice di merito trae la conseguenza che – pur tenendo conto di quanto dedotto dalla contribuente con riferimento alla stipula di un mutuo, ai riscatti di polizze e ad altri disinvestimenti effettuati nel 2005 – risulterebbe non provato come la contribuente potesse, in assenza di redditi personali, sostenere il servizio del mutuo e mantenere l’immobile.
A prescindere dalla illogicità insita nell’argomentazione che pretende di desumere la presenza di redditi personali della contribuente nell’anno 2002 dal fatto che costei ha iniziato nel 2005 a sostenere le spese di servizio del mutuo e di mantenimento dell’immobile, appare comunque decisiva la considerazione che l’accertamento di fatto contenuto nella sentenza gravata secondo cui il reddito familiare goduto dalla famiglia della contribuente negli anni dal 200l al 2005 sarebbe ammontato a euro 18.000 annui contrasta con la circostanza menzionata nella sentenza di primo grado (riprodotta in parte qua a pag. 6 del ricorso per cassazione, in osservanza dell’onere di autosufficienza) che dai modelli di dichiarazione dei redditi presentati per gli anni 2004 e 2005 dal coniuge della contribuente, e da quest’ultima prodotti nel giudizio di primo grado, emergerebbe che i redditi da quello dichiarati per i suddetti anni sarebbero ammontati, rispettivamente, ad € 79.060 e ad € 79.907. Tale circostanza, evidentemente decisiva ai finì dell’accertamento del reddito familiare della contribuente per il periodo 2001/2005, sul quale si fonda la ratio decidendi della sentenza gravata, risulta totalmente ignorata dalla sentenza gravata, la cui motivazione risulta pertanto insufficiente.
Si propone quindi l’accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza gravata e il rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, perché motivi in ordine ai redditi percepiti dai marito della contribuente nel periodo rilevante ai fini dell’accertamento per cui è causa..>>
che né l’Agenzia delle entrate né il ministero delle Finanze si sono costituiti;
che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata alla parte ricorrente;
che non sono state depositate memorie difensive.
Considerato che nei confronti del Ministero delle Finanze il ricorso va dichiarato inammissibile, non avendo il Ministero partecipato al giudizio di merito;
che, per quanto concerne il ricorso nei confronti dell’Agenzia delle entrate, il Collegio condivide le argomentazioni esposte nella relazione;
che quindi il ricorso va dichiarato inammissibile nei confronti del Ministero delle Finanze e accolto nei confronti dell’Agenzia delle entrate;
Che, pertanto, la sentenza gravata deve essere cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione tra contribuente ed Agenzia delle entrate (non essendovi luogo alla regolazione delle spese tra contribuente e Ministero, non essendosi quest’ultimo costituito in questa sede).

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Ministero delle Finanze e lo accoglie nei confronti dell’Agenzia delle entrate; cassa la sentenza gravata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in altra composizione, che regolerà anche le spese del giudizio di cassazione nei rapporti tra contribuente ed Agenzia delle entrate.
Così deciso in Roma il 26 giugno 2013.

Redazione