Illegittimo il sequestro probatorio sui conti del contribuente che ha espatriato ricavi in nero e ha poi avviato la pratica di adesione allo scudo fiscale (Cass. pen. n. 14089/2013)

Redazione 26/03/13
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Ritenuto in fatto

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Nei confronti dell’odierno ricorrente si procede per violazione dell’art. 4 d.lgs 74/00, per avere, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicato nelle dichiarazioni annuali dell’anno 2007, relative a dette imposte, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ed avere dato disposizioni per il trasferimento all’estero di 7.000.000 € (che rappresentavano parte dei corrispettivo della cessione dell’immobiliare Z. S.r.l. alla G.T. S.r.l. di due unità immobiliari).

Il P.M., nell’ambito delle indagini per tale ipotesi di reato, ha disposto un sequestro probatorio che ha portato all’apprensione di vario materiale documentale e cartaceo.

Il decreto, impugnato dinanzi al Tribunale per il Riesame, è stato confermato con l’ordinanza oggetto del presente ricorso.

2. Motivi del ricorso – Nel gravame appena citato si deduce:

1) violazione di legge e vizio di motivazione per assenza del vincolo pertinenziale tra quanto sequestrato ed il reato contestato. Contrariamente a quanto più volte asserito dalla S.C., il sequestro probatorio deve tendere alla acquisizione delle prove perché è mezzo di ricerca della prova e non della notizia di reato come, invece, si può dire essere avvenuto nella specie.

A fronte di questa ed altre censure, il Tribunale ha ignorato o fornito repliche insoddisfacenti specie per quel che concerne l’assenza di chiarezza in ordine ai beni sequestrati che sono stati descritti in modo sommario impedendo la possibilità di valutare l’eventuale “esuberanza” del sequestro per assenza di collegamento tra i beni appresi e le finalità del provvedimento. A titolo esemplificativo, si fa notare che sono stati sequestrati anche carnet di assegni non utilizzati.

Altra censura che il ricorrente muove al provvedimento del Tribunale riguarda la erroneità della risposta fornita da quest’ultimo a proposito della operatività del cd “scudo fiscale”.

Il ricorrente sostiene di aver prodotto dinanzi al Tribunale per il Riesame documentazione (all. 1 al ricorso al Tribunale per il Riesame) idonea a provare di aver dato corso alla procedura prevista dall’art. 13 bis D.L. 1.7.09 n. 78 (L 3.8.09 n. 102) sì che avrebbe dovuto darsi luogo ad una declaratoria di improcedibilità dell’azione penale ex art. 4 d.lgs 74/00.

Al contrario, il Tribunale ha disatteso tale notazione osservando che, ai sensi dell’art. 13 bis, solo il reale pagamento dell’imposta determina l’effetto estintivo invocato.

Con l’atto di ricorso – e con la memoria depositata successivamente – si ribadisce che le dichiarazioni riservate rilasciate dagli intermediari (nelle quali si indica l’ammontare della somma rimpatriata) sono l’unico documento idoneo a dimostrare l’operazione perché, secondo le disposizioni impartite dalla legge, il versamento sarebbe dovuto avvenire tramite intermediari abilitati (istituti bancari, società fiduciarie, ecc.).

Negare ciò, equivale a vanificare anche gli effetti premiali che discendono dalla regolarizzazione oltre a rappresentare una errata applicazione della norma.

Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della ordinanza impugnata.

 

 

Considerato in diritto

3. Motivi della decisione – Il ricorso è fondato nei limiti e termini di seguito precisati.

Il provvedimento impugnato, infatti, non è censurabile nella parte in cui ribadisce la pertinenzialità fra quanto sequestrato ed il reato ipotizzato sul rilievo che è da considerare palmare il fatto che documentazione attinente a depositi bancari dell’indagato sia «strettamente connessa e necessaria ala prova del reato in contestazione commesso mediante occultamento, tramite giroconti bancari da conti esteri su conti esteri, di proventi percepiti in nero».

La motivazione fornita dal Tribunale per il Riesame risulta, invece, alquanto generica ed elusiva delle puntuali obiezioni difensive – nonché delle plurime allegazioni documentali portate alla sua attenzione – nella parte in cui sfiora appena il tema del rientro dei capitali illecitamente esportati tramite la normativa denominata “scudo fiscale”.

Ed invero, la semplice considerazione secondo cui «solo l’effettivo pagamento dell’imposta determina l’effetto invocato» risulta evasiva a fronte delle obiezioni qui sollevate circa le modalità probatorie previste per il rientro dei capitali e, soprattutto, a fronte del rilievo che così interpretando la L 102/09, si rischia di vanificarne gli effetti liberatori che le sono propri.

Ovviamente, l’assunto difensivo è tutto da dimostrare ma la disamina passa attraverso un apprezzamento della documentazione prodotta dal ricorrente al Tribunale per il Riesame che, risolvendosi in un accertamento di fatto, non può essere svolto in questa sede.

Certo e che, allo stato il provvedimento impugnato presta il fianco alla critica di motivazione apparente e, come tale, integrante una violazione di legge qui censurabile ed emandabile con declaratoria di annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale di Ancona perché provveda a nuovo esame alla luce dei rilievi sopra sollevati.

 

P.Q.M.

 

Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.

Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Ancona.

Redazione