Licenziamento ed uso di stupefacenti (Cass. n. 21940/2012)

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Massima

Il fatto di detenere e fare uso di sostanze stupefacenti non è, in sè, idoneo a determinare una lesione del vincolo fiduciario e non è, quindi, motivo sufficiente a giustificare il licenziamento del dipendente, a maggior ragione allorchè il datore di lavoro ometta, nella lettera di contestazione, qualunque riferimento alle conseguenze che tale comportamento avrebbe potuto avere sulla prestazione lavorativa resa dal dipendente, precludendo così la possibilità di tenere conto di tale profilo in sede giurisdizionale, al fine della valutazione della legittimità del licenziamento.

 

 

1. Questione

M.V. – dipendente di Poste Italiane s.p.a. con mansioni di portalettere dal 1987 – veniva arrestato il 15 gennaio 2003 per i reati di cui agli artt. 73 co. 1° e 4 DPR n. 309/90 e, quindi, veniva sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. La società Poste Italiane sospendeva il M. cautelativamente dal servizio e, conclusosi il procedimento penale con il patteggiamento, lo licenziava in data 6 luglio 2004, a seguito di contestazione disciplinare, avendo ritenuto che il reato per il quale era stato condannato, pur non essendo strettamente correlato al tipo di servizio svolto per l’azienda, rifletteva, comunque, i suoi effetti negativi sia nell’ambito lavorativo che sull’immagine della società che svolgeva un servizio di pubblica rilevanza. Il M. impugnava il licenziamento innanzi al Tribunale di Voghera che accoglieva il ricorso dichiarando la illegittimità del provvedimento espulsivo, ordinando la reintegra del ricorrente nel posto di lavoro e condannando la società al pagamento di una indennità pari alla retribuzione globale di fatto dal licenziamento fino alla reintegra.

Tale decisione veniva confermata, con sentenza depositata il 7 gennaio 2008, dalla Corte di Appello di Milano sul rilievo che il reato per il quale il M. aveva patteggiato – derubricato da detenzione e spaccio di sostanza stupefacente a semplice detenzione per uso personale di infiorescenza di marijuana – atteneva ad una situazione privata extralavorativa, non idonea ad incidere sul rapporto di lavoro ed ad impedirne la prosecuzione.

Poste Italiane s.p.a. proponeva ricorso in Cassazione affidato a tre motivi: omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (in particolare, la Corte di merito avrebbe omesso di pronunciarsi sulla rilevanza del comportamento del dipendente che, pur se in stato di arresto, non si sarebbe adoperato per far avvisare il proprio datore di lavoro); violazione e falsa applicazione dell’art. 53 co. Cap. VI, lett. i) del CCNL Poste Italiane del 2003 e dell’art. 2119 c.c. (la norma del contratto collettivo prevede, infatti, tra le ipotesi di licenziamento senza preavviso, la condanna passata in giudicato per condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, “quando i fatti costituenti reato possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione del vincolo fiduciario”); violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c. (si assume che la Corte di merito non aveva tenuto conto che per il tipo di servizio prestato dal M. – portalettere – il reato a quest’ultimo ascritto era di gravità tale da ledere il rapporto fiduciario e che, comunque, il dipendente non si era prontamente adoperato per informare del suo arresto la società).

La Cassazione rigettava il ricorso, sulla base del fatto che il primo motivo di ricorso è inammissibile oltre che infondato, mentre il secondo ed il terzo motivo sono inammissibili.

 

2. Licenziamento disciplinare e rapporto fiduciario

Nel caso in esame, benché la Cassazione abbia rigettato tutti i motivi di ricorso addotti dalla società Poste Italiane, la questio iuris attiene alla rilevanza del fatto di reato contestato (detenzione per uso personale di infiorescenza di marijuana) come compromissiva o meno dell’elemento fiduciario e impeditiva della prosecuzione del rapporto di lavoro.

Poste Italiane lamentava infatti che la condotta del dipendente consistente nella detenzione di una pianta di marijuana e, quindi, nella coltivazione di canapa indiana, avrebbe avuto rilievo ai fini della valutazione del comportamento complessivo del dipendente, sulla base del fatto che la norma della contrattazione collettiva prevede, tra le ipotesi di licenziamento senza preavviso, la condanna passata in giudicato per condotta commessa non in connessione con lo svolgimento del rapporto di lavoro, “…quando i fatti costituenti reato possano comunque assumere rilievo ai fini della lesione del vincolo fiduciario..”, circostanza questa verificatasi nel caso in esame.

La Cassazione, pur ritenendo infondata la questione proposta, rileva tuttavia che il reato inizialmente ascritto al M. era stato derubricato a semplice detenzione per uso personale dell’infiorescenza con esclusione dell’ipotesi di spaccio e che, così inquadrata la fattispecie criminosa, la stessa atteneva solo ad una situazione privata extralavorativa del dipendente e non era di gravità tale da incidere sull’elemento fiduciario.

 

3. Giurisprudenza

In tema di licenziamento disciplinare, la valutazione della compromissione dell’elemento fiduciario, impeditiva della prosecuzione del rapporto di lavoro, non deve essere operata con riguardo all’atto astrattamente considerato, bensì tenendo conto degli aspetti concreti dello stesso, afferenti alla natura e alla qualità dello specifico rapporto e al grado di affidamento richiesto in relazione alle mansioni espletate. In particolare, il comportamento del lavoratore, per la sua gravità e natura, è tale da far ritenere il lavoratore professionalmente inidoneo alla prosecuzione del rapporto, specialmente quando, per la peculiarità della prestazione lavorativa, sia richiesto un ampio margine di fiducia, esteso alla serietà ed alla onestà, come nel caso in cui le mansioni concernano il maneggio di denaro e richiedano, pertanto, un più elevato grado di affidamento. (Tribunale de L’Aquila, Sez. Lavoro Civile, Sent. 15 gennaio 2011, n. 30)

Premesso che il venir meno della fiducia del datore di lavoro nei confronti del prestatore rappresenta l’essenza non già del licenziamento per giustificato motivo oggettivo ma del licenziamento per ragioni disciplinari, in quest’ultimo caso, come precisato dalla Suprema Corte, deve essere valutata la proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, prendendo in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, essendo determinante, ai fini del giudizio di proporzionalità, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che, per le sue concrete modalità e per il contesto di riferimento, appaia suscettibile di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento e denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. (Tribunale di Trento, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 25 gennaio 2011, n. 13)

Il licenziamento del lavoratore, quale sanzione disciplinare massima idonea a privare lo stesso e la sua famiglia del sostentamento necessario al fine di provvedere alle ordinarie esigenze di vita, deve essere comminato solo dopo attenta valutazione che tenga conto di tutti gli interessi in gioco e in base alla quale si deduca l’irrimediabile compromissione del rapporto fiduciario che deve intercorrere tra il lavoratore e il proprio datore di lavoro. Siffatta misura, pertanto, deve essere adottata solo quale intervento estremo a illeciti di proporzionata gravità ex articolo 2106 del c.c., ove non sia possibile, in altri termini, comminare una sanzione meno afflittiva in quanto risulterebbe insufficiente nell’ottica della tutela dell’interesse del datore di lavoro. (Corte d’Appello di Potenza, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 25 gennaio 2011, n. 721)

In tema di licenziamento disciplinare, la valutazione della gravità del comportamento e della sua idoneità a ledere irrimediabilmente la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente (giudizio da effettuarsi considerando la natura e la qualità del rapporto, la qualità ed il grado del vincolo di fiducia connesso al rapporto, l’entità della violazione commessa e l’intensità dell’elemento soggettivo), è compito del giudice di merito che, adeguatamente motivata, è insindacabile in sede di legittimità. (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza 26 gennaio 2011, n. 1788)

Il licenziamento disciplinare, come ogni altra sanzione, deve rappresentare una conseguenza proporzionata alla violazione commessa dal lavoratore; anzi, essendo la più grave delle sanzioni, occorre che la mancanza di cui il dipendente si è reso responsabile, rivesta una gravità tale che qualsiasi altra sanzione risulti insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro e sia inoltre tale da far venir meno l’elemento fiduciario costituente il presupposto fondamentale della collaborazione tra le parti del rapporto di lavoro. (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 2 novembre 2005, n. 21213).

 

 

Dott.ssa Marta Tacchinardi
Praticanti avvocato in Roma

Sentenza collegata

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Tacchinardi Marta

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