Illegittimo il licenziamento del dipendente che usa documenti aziendali per la sua difesa (Cass. n. 2769/2013)

Redazione 06/02/13
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Svolgimento del processo

L’Italnorge srl, dopo aver contestato alla dipendente ******* di avere “sottratto e fotocopiato documenti aziendali di contenuto riservato” ed averne “divulgato il contenuto tramite la produzione” in altro giudizio inter partes promosso dalla lavoratrice, la licenziò; la M. impugnò il licenziamento e il primo Giudice accolse la domanda, dichiarando illegittimo il licenziamento e applicando la cosiddetta tutela reale.

Con sentenza del 5.4.2007 – 3.2.2009, la Corte d’Appello di Roma rigettò il gravame proposto dalla ******à.

A sostegno del decisum la Corte territoriale, richiamati alcuni precedenti della giurisprudenza amministrativa e di legittimità, osservò quanto segue:

– i rilievi precedenti (concernenti appunto i suddetti richiami giurisprudenziali) erano assorbenti rispetto ad ogni altra problematica, essendo evidente che in ogni caso – esclusa la sottrazione dei documenti ed emersa la loro utilizzazione per fini giudiziari – qualsiasi profilo disciplinare non poteva rilevare ai fini di una sanzione espulsiva, ma al limite conservativa;

– era del tutto inconferente la prospettazione della iilegittimità per altro titolo per violazione del principio di pronuncia ultra petita. Avverso la suddetta sentenza della Corte territoriale, l’Italnorge srl ha proposto ricorso per cassazione fondato su sei motivi e illustrato con memoria.

L’intimata ****** ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

1. Osserva preliminarmente la Corte che l’art. 366 bis c.p.c. è applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore (2.3.2006) del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 (cfr, D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 27, comma 2) e anteriormente al 4.7.2009 (data di entrata in vigore della L. n. 68 del 2009) e, quindi, anche al presente ricorso, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 3.2.2009.

In base alla norma suddetta, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, sempre a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione. Secondo l’orientamento di questa Corte il principio di diritto previsto dall’art. 366 bis c.p.c., deve consistere in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (cfr, ex plurimis, Cass., SU, n. 20360/2007), mentre la censura concernente l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (cfr, ex pturimis, Cass., SU, n. 20603/2007). In particolare deve considerarsi che il quesito di diritto imposto dall’art. 366 bis c.p.c., rispondendo all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata, ed al tempo stesso, con una più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Suprema Corte di Cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie, costituisce il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio generale, e non può consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello della Corte di legittimità in ordine alla fondatezza della censura così come illustrata nello svolgimento dello stesso motivo, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 11535/2008; 19892/2007). Conseguentemente è inammissibile non solo il ricorso nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente rispetto alla illustrazione dei motivi d’impugnazione; ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico (cfr, ex plurimis, Cass., SU, 20360/2007, cit).

2. Appare prioritaria la disamina del sesto motivo di ricorso, con il quale la ricorrente denuncia violazione degli artt. 1175, 1375 e 2105 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), deducendo che, nel caso di specie, i documenti prodotti in giudizio dalla lavoratrice non erano minimamente serviti a far valere il diritto azionato e, quindi, si erano rilevati inutili ai fini del decidere, determinando in tal modo una evidente lesione del diritto alle riservatezza dei dati aziendali.

A conclusione de motivo è stato formulato il seguente quesito di diritto:

“E’ disciplinarmente rilevante, determinando la violazione delle disposizioni degli artt. 1175, 1375 e 2105 c.c., il comportamento del lavoratore che deposita in giudizio copie di documenti aziendali assentamene utili e necessari per la sua difesa in giudizio, laddove al contrario è di tutta evidenza l’inesistenza di alcun collegamento temporale e/o causale tra il deposito della documentazione e l’esercizio del diritto di difesa”.

2.1 Il motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., posto che il quesito di diritto:

non consente l’enunciazione di una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata, limitandosi, in sostanza, a richiedere l’affermazione della fondatezza della censura;

– è formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto sulla utilità e necessarietà per la difesa della parte della produzione in giudizio delle copie dei documenti aziendali.

3. I precedenti cinque motivi sono tutti svolti denunciando il vizio di omessa ovvero insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

I fatti in ordine ai quali si lamenta l’omessa motivazione concernono in particolare:

– la questione della pertinenza e/o rilevanza dei documenti prodotti in altro giudizio dalla lavoratrice rispetto all’oggetto del giudizio stesso (primo motivo);

– la rilevanza disciplinare dell’attività di fotocopiatura di documentazione aziendale riservata in relazione alla disposizione dell’art. 53 CCNL di settore, contemplante, fra le ipotesi per cui è possibile procedere al licenziamento, anche la “rilevazione” di “documenti”, vale a dire, secondo la parte ricorrente, “l’apprensione, in qualsiasi modo effettuata, di notizie riservate attinenti l’organizzazione aziendale” (secondo motivo);

la valutazione della riservatezza della documentazione prodotta dalla lavoratrice (terzo motivo);

la valutazione della sussistenza della divulgazione dei documenti per effetto del loro inserimento nel fascicolo processuale (quarto motivo).

Il vizio di insufficiente motivazione è stato invece denunciato, con il quinto motivo, in relazione alla circostanza che, se l’ultimo fatto contestato era disciplinarmente rilevante, lo stesso avrebbe dovuto essere considerato ai fini della contestata recidiva, onde la Corte territoriale avrebbe dovuto ritenere la legittimità del licenziamento per recidiva della lavoratrice, in relazione alle altre sei sanzioni conservative in precedenza applicatele, ovvero spiegare le ragioni per cui il comportamento della lavoratrice non era da valutarsi in una con dette precedenti sanzioni.

3.1 Tutti i suddetti motivi, svolti come detto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non soddisfano alle disposizioni dell’art. 366 bis c.p.c. – risultando quindi inammissibili – poichè privi del richiesto momento di sintesi diretto a circoscrivere i limiti delle censure inerenti ai lamentati vizi motivazionali.

3.2 Concorrono peraltro anche ulteriori ragioni di inammissibilità.

Quanto ai primi quattro motivi, perchè inerenti a questioni che la Corte ha ritenuto assorbite dall’assunto decisorio secondo cui, esclusa la sottrazione dei documenti ed emersa la loro utilizzazione per fini giudiziari, qualsiasi profilo disciplinare non poteva rilevare ai fini della sanzione espulsiva; ed invero le questioni sulle quali si incentrano i suddetti motivi, non trattate dalla sentenza impugnata, avrebbero potuto essere semmai riproposte al giudice di rinvio nell’ipotesi in cui fosse stato ammissibile (e, quindi, eventualmente accolto) il sesto motivo di ricorso, concernente la denunciata violazione di norme di diritto (cfr, ex plurimis, Cass., nn. 2087/2005; 22501/2006; 10285/2009; 16016/2010).

Quanto al quinto motivo, perchè la valutazione dei precedenti disciplinari ai fini dell’irrogazione della sanzione espulsiva (a fronte dell’affermata irrilevanza allo scopo dell’utilizzazione giudiziale della documentazione) presupporrebbe che proprio sulla sussistenza di detti precedenti fosse stato motivato il provvedimento di recesso anticipato; il che, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, avrebbe imposto l’onere di trascrizione nel ricorso stesso del contenuto della comunicazione di licenziamento, onde evidenziare se e in che termini la recidiva, quand’anche potesse ritenersi essere stata oggetto di specifica contestazione, fosse stata poi posta a base del provvedimento espulsivo (e ciò tanto più ove si consideri che a sentenza impugnata ha espressamente affermato l’inconferenza della prospettazione della illegittimità per altro titolo per violazione del principio di pronuncia ultra petita), nel mentre, nella specie, tale onere non è stato assolto; così come non è stato assolto l’onere, dettato dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di produzione, in una con il ricorso per cassazione del documento su cui il ricorso si fonda (nella specie, appunto, la comunicazione di licenziamento), non essendo stati neppure indicati i dati necessari al reperimento di tale documento ove lo stesso fosse contenuto nel dimesso fascicolo di parte afferente al giudizio di merito (cfr, ex plurimis, Cass., SU, nn. 22726/2011; 7161/2010; Cass., nn. 2966/2011; 12028/2010).

4. In definitiva il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 4.050,00 (quattromilacinquanta), di cui Euro 4.000,00 (quattromila) per compenso, oltre accessori come per legge.

Redazione