Illegittimità dell’atto amministrativo: grava sulla P.A. l’onore di dimostrare l’esistenza di un errore scusabile (Cons. Stato, n. 5846/2012)

Redazione 19/11/12
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FATTO e DIRITTO

L’Unione dei Comuni dell’Alta Valle Camonica, con determinazione del responsabile del Servizio Amministrativo e Finanziario n. 72 del 18 novembre 2010, indiceva una procedura aperta per l’affidamento dei lavori relativi ad un nuovo percorso ciclopedonale nel territorio dei Comuni associati, con il criterio del prezzo più basso determinato mediante offerta a prezzi unitari ai sensi dell’art. 82, comma 3, del d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163.

Il bando di gara prevedeva originariamente che la Stazione appaltante avrebbe provveduto all’esclusione automatica delle offerte qualificate come anomale. Tuttavia in seguito l’Amministrazione rettificava tale disposizione con la precisazione n. 1 del 24 novembre 2010, specificando che non vi sarebbe stata alcuna esclusione automatica, bensì sarebbe stata applicata la procedura di richiesta delle giustificazioni ai sensi degli art. 87 e 88 del d.lgs. 163/2006.

Il 30 novembre 2010 seguiva la precisazione n. 2, con la quale veniva comunicato che la categoria OS32 non era soggetta a qualificazione obbligatoria ed era subappaltabile.

Le precisazioni venivano inserite sul sito Internet della Stazione appaltante senza le altre forme di pubblicità utilizzate per il bando (Gazzetta Ufficiale, due quotidiani, sito dell’Osservatorio regionale delle opere pubbliche, albo pretorio); la Stazione, peraltro, si premurava di far avere notizia individuale delle due precisazioni ai singoli concorrenti, tanto che il legale rappresentante dell’attuale appellante sottoscriveva, in data 3 dicembre 2010, una dichiarazione di presa visione di entrambe.

Il seggio di gara nella riunione del 17 dicembre 2010 graduava le offerte pervenute sulla base dei ribassi, individuando la soglia di anomalia in un valore pari al 17,845 % . Le prime due offerte risultavano senz’altro anomale, in quanto superiori alla predetta soglia, mentre quella della TIDIEMME Srl (terza in graduatoria, attuale appellante), basata su un ribasso del 16,280% , si collocava al di sotto di tale limite. Tuttavia il seggio, dietro un esame sommario di alcune delle sue principali voci di prezzo, riteneva che anche l’offerta della TIDIEMME meritasse di essere sottoposta a verifica di anomalia, attesa anche la sua vicinanza al valore di soglia.

Il presidente preannunciava quindi la nomina della commissione incaricata della verifica di congruità, dichiarando che questa sarebbe stata condotta sulle prime cinque offerte in graduatoria ai sensi dell’art. 88 comma 7 del d.lgs. 163/2006, previa richiesta delle giustificazioni sulle voci di prezzo che concorrevano a formare l’importo complessivo.

Della commissione venivano chiamati a fare parte i componenti del seggio di gara nonché due geometri liberi professionisti in qualità di consulenti tecnici.

La commissione esaminava le giustificazioni prodotte, ed escludeva immediatamente le prime due imprese in graduatoria.

Essa esprimeva però anche un giudizio negativo sull’offerta della TIDIEMME, ritenuta non affidabile a causa dello scostamento registrabile tra il prezzo della manodopera offerto (32 €/h) e quello giustificato (29,95 €/h), ed inoltre per incongruenze nella formazione dei prezzi per il nolo dell’escavatore e dell’autocarro. Altri punti inadeguati venivano rinvenuti nella definizione della quota di ammortamento annuo degli escavatori e degli altri mezzi d’opera, nella giustificazione del prezzo dello scavo di sbancamento e in numerose altre voci di spesa.

La TIDIEMME veniva convocata alla riunione del 26 gennaio 2011, dove la commissione illustrava in dettaglio il proprio giudizio di inaffidabilità chiedendo chiarimenti e controdeduzioni.

All’esito del confronto, la commissione decideva indi di qualificare come inattendibile anche l’offerta di tale concorrente.

Per converso, l’offerta della ditta quarta classificata (Edilscavi Bonomelli srl), cui era stato parimenti chiesto di inviare le proprie giustificazioni, dopo una richiesta di chiarimenti ai sensi dell’art. 88 comma 2 del d.lgs. 163/2006 veniva giudicata complessivamente attendibile.

In conclusione, con determinazione del responsabile del Servizio competente n. 9 del 25 febbraio 2011 l’Amministrazione approvava i verbali di gara disponendo l’esclusione delle prime tre ditte in graduatoria, ed aggiudicando definitivamente i lavori alla Edilscavi Bonomelli srl..

Contro tale determinazione e gli atti di gara la TIDIEMME proponeva ricorso dinanzi al T.A.R. per la Lombardia, svolgendo censure di legittimità che il Giudice adìto avrebbe così sintetizzato:

“ (i) violazione della procedura trifasica (giustificazioni, precisazioni, convocazione) prevista dall’art. 88 commi 1, 1-bis, 4 del Dlgs. 163/2006 (in particolare è mancato il passaggio relativo alla richiesta di precisazioni); (ii) violazione dell’art. 88 comma 7 del Dlgs. 163/2006, in quanto la sottoposizione a verifica delle prime cinque offerte in graduatoria non era stata prevista nel bando; (iii) difetto di motivazione con riguardo ai rilievi mossi alle singole voci dell’offerta della ricorrente; (iv) violazione dell’art. 84 commi 4 e 8 del Dlgs. 163/2006 relativamente alla composizione della commissione di gara e della commissione tecnica; (v) violazione dell’art. 66 del Dlgs. 163/2006, in quanto le due precisazioni effettuate dalla stazione appaltante non hanno ricevuto la stessa pubblicità del bando; (vi) violazione dell’art. 15 comma 5 del DPR 25 gennaio 2000 n. 34, in quanto la ditta aggiudicataria ha presentato un’attestazione SOA scaduta nel corso della procedura di gara.”

La ricorrente domandava, oltre all’annullamento degli atti impugnati, anche il risarcimento del danno, in forma specifica o per equivalente.

Resisteva all’impugnativa l’Unione dei Comuni dell’Alta Valle Camonica, che deduceva infondatezza delle doglianze della ricorrente e chiedeva la reiezione delle sue domande.

Il Tribunale adìto, con la sentenza n. 1839 del 2011 in epigrafe, respingeva il ricorso della TIDIEMME.

Da qui l’appello della medesima avverso tale decisione dinanzi a questa Sezione, con la sostanziale riproposizione delle censure, deduzioni e domande già sottoposte al primo Giudice.

Resisteva al gravame anche in questo grado l’Unione dei Comuni dell’Alta Valle Camonica, che deduceva l’infondatezza dell’appello e concludeva per la conferma della sentenza impugnata.

L’appellante con successiva memoria sviluppava le proprie tesi, replicando alle obiezioni avversarie; uno scritto di replica veniva depositato anche dalla difesa dell’Amministrazione.

Alla pubblica udienza del 16 ottobre 2012 la causa è stata trattenuta in decisione.

L’appello è fondato, in quanto merita adesione il primo, assorbente motivo a base dell’originario ricorso di prime cure, in questa sede riproposto.

1a Il mezzo verte sulla violazione da parte dell’Amministrazione della procedura trifasica prevista dall’art. 88, commi 1, 1-bis e 4, del d.lgs. n. 163/2006, e da questo modulata nei tre stadi successivi delle giustificazioni, delle precisazioni e della convocazione, per essere stato nello specifico omesso il passaggio intermedio, relativo alla richiesta di precisazioni. La ricorrente, dopo l’iniziale richiesta di giustificazioni, è stata difatti direttamente convocata per la fase orale finale.

1b E’ utile riportare, in proposito, la motivazione con la quale il primo Giudice ha disatteso la censura:

“la struttura trifasica della verifica di congruità ex art. 88 commi 1, 1-bis, 4 del Dlgs. 163/2006 (richiesta di giustificazioni, richiesta di precisazioni, convocazione del concorrente) non costituisce una regola assoluta, in quanto l’eventuale omissione di uno dei passaggi a monte può essere superata dalla maggiore estensione di quelli a valle. All’interno del subprocedimento di verifica si deve infatti riconoscere alla stazione appaltante un margine di discrezionalità nella valutazione delle esigenze istruttorie, purché sia rispettato un duplice vincolo: (1) che sia permesso ai concorrenti di spiegare esattamente il contenuto delle proprie offerte e (2) che sia raccolta la maggiore quantità possibile di informazioni utili in un tempo ragionevole. Nello specifico, pur non avendo inoltrato un formale invito a esporre precisazioni, la stazione appaltante ha concesso un pieno contraddittorio alla ricorrente in sede di convocazione ammettendo all’audizione non solo il legale rappresentante ma anche un tecnico di fiducia (arch. **********) e soffermandosi su tutte le criticità riscontrate nelle singole voci di spesa (v. verbale della riunione del 26 gennaio 2011). Non si può quindi ritenere, né è stato dimostrato in giudizio, che la stazione appaltante a causa del salto procedimentale abbia impedito alla ricorrente di illustrare la propria offerta o abbia perso contenuti istruttori rilevanti ai fini della decisione finale”.

1c L’appellante ha persuasivamente contestato queste considerazioni.

Va ricordato, invero, che l’art. 88 comma 3 cit. stabiliva, prima della riformulazione operata dall’art. 4 quater d.l. 1° luglio 2009 n. 78 (convertito con la legge n. 102 del 1999), quanto segue: “La stazione appaltante … esamina gli elementi costitutivi dell’offerta tenendo conto delle giustificazioni fornite, e può chiedere per iscritto ulteriori chiarimenti, se resi necessari o utili a seguito di tale esame …”.

La norma era quindi manifesta nel configurare come facoltativo il passaggio procedurale intermedio. L’Amministrazione, semplicemente, “poteva” chiedere chiarimenti, ove reputati –in definitiva- utili.

Con l’innovazione del 2009 nell’articolo 88 è stato però inserito un nuovo, incisivo comma 1 bis, alla stregua del quale la Stazione appaltante, “ove non … ritenga sufficienti” le giustificazioni prodotte “ad escludere l’incongruità dell’offerta, richiede per iscritto all’offerente le precisazioni ritenute pertinenti.”

Il confronto tra i due testi rende sufficientemente chiaro, dunque, il ripudio della precedente configurazione della fase di cui si discute in termini puramente facoltativi (“può chiedere”), e la riqualificazione del passaggio intermedio tra giustificazioni e convocazione in termini di vero e proprio dovere giuridico (beninteso, qualora le perplessità sulla sostenibilità economica dell’offerta non siano state già subito dissipate dalle giustificazioni).

L’effettività dell’innovazione è scolpita anche nel nuovo testo dello stesso comma 3 dell’art. 88. Questo stabiliva, prima, che la Stazione appaltante dovesse esaminare essenzialmente “gli elementi costitutivi dell’offerta tenendo conto delle giustificazioni fornite”, salvo successiva -ma solo facoltativa- richiesta di chiarimenti; la riforma del 2009, di contro, ha riposizionato il baricentro della valutazione di congruità, individuandolo nell’esame de “gli elementi costitutivi dell’offerta tenendo conto delle precisazioni fornite”.

1d La ratio dell’intervento riformatore del 2009 è stata inequivocabilmente quella di accrescere il tasso garantistico della procedura in esame attraverso un più pieno contraddittorio, con l’imposizione del passaggio intermedio in discussione.

Il focalizzarsi dell’attenzione legislativa sul profilo procedurale della delicata materia della verifica di congruità delle offerte ha una sua precisa ragione d’essere.

L’esame delle giustificazioni presentate dal soggetto richiesto di dimostrare la non anomalia della propria offerta chiama difatti in causa la discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, per cui il Giudice della legittimità può intervenire soltanto in caso di macroscopiche illogicità, vale a dire di errori di valutazione evidenti e gravi, oppure di valutazioni abnormi o affette da errori di fatto (C.d.S., V, 18 agosto 2010, n. 5848; 23 novembre 2010, n. 8148; 22 febbraio 2011, n. 1090). La giurisprudenza è infatti saldamente orientata nel senso che, nel caso di ricorso proposto avverso il giudizio di anomalia dell’offerta economica presentata in una pubblica gara, il Giudice amministrativo possa sindacare le valutazioni compiute dall’Amministrazione sotto il profilo della loro logicità e ragionevolezza e della congruità dell’istruttoria, ma non possa, invece, operare autonomamente la verifica della congruità dell’offerta, sovrapponendo così la propria idea tecnica al giudizio -non erroneo né illogico- formulato dall’organo amministrativo cui la legge attribuisce la tutela dell’interesse pubblico nell’apprezzamento del caso concreto, atteso che diversamente il Giudice invaderebbe una sfera propria della P.A. (C.d.S., IV, 27 giugno 2011, n. 3862; V, 28 ottobre 2010, n. 7631).

1e A seguito della riforma legislativa illustrata, l’andamento del subprocedimento di verifica della congruità dovrebbe pertanto svilupparsi -almeno tendenzialmente- secondo un iter di progressivo approfondimento.

Il passaggio intermedio reso obbligatorio ha la duplice funzione pratica di attribuire all’impresa un’ulteriore occasione di meditata interlocuzione scritta, e di permetterle di preparare in tutta consapevolezza la decisiva fase conclusiva della convocazione.

Più articolatamente : la richiesta di precisazioni da parte dell’Amministrazione vale a far conseguire nitidezza di contorni alle perplessità da essa nutrite sulla sostenibilità economica dell’offerta; la resa delle precisazioni, a sua volta, attribuisce all’impresa una possibilità in più di vedere favorevolmente definita la propria posizione, potendo essa inoltre rimediare anche alle mancanze e ai possibili difetti d’impostazione delle giustificazioni già presentate; questo passaggio intermedio, infine, permette anche la migliore preparazione dell’eventuale fase orale finale.

L’offerente viene così posto nelle migliori condizioni per approntare e svolgere i propri argomenti difensivi, avuto riguardo agli esatti specifici profili della propria offerta rivelatisi effettivamente critici.

1f Quanto esposto impedisce alla Sezione di condividere la posizione del primo Giudice, qui coltivata dalle appellate, secondo la quale l’omissione della predetta fase intermedia potrebbe essere compensata/sanata da una presunta “maggiore estensione” della fase conclusiva.

Quanto a quest’ultima, è in realtà perfino scontato che debba esservi “permesso ai concorrenti di spiegare esattamente il contenuto delle proprie offerte”; come pure che all’impresa debba essere garantito, in sede di convocazione, “un pieno contraddittorio”.

Sicché la circostanza che in concreto sia stato ammesso all’audizione, su richiesta, oltre al legale rappresentante della società, anche un suo tecnico di fiducia, nulla toglie al vulnus arrecato alle garanzie procedurali prescritte dalla legge impedendo al concorrente di avvalersi dello strumento preventivo delle precisazioni.

Senza dire che, se il legislatore avesse davvero reputato sufficiente un ampio contraddittorio nella fase orale, non avrebbe allora avvertito, nel 2009, il bisogno di imporre l’obbligatorietà della precedente fase intermedia.

1g La difesa dell’Amministrazione obietta inoltre che, allorché l’esigenza di domandare chiarimenti debba essere esclusa dal tenore complessivo dell’offerta e dalle giustificazioni presentate (tali da rendere evidente l’anomalia dell’offerta), una richiesta di precisazioni non avrebbe in tal caso, anche alla luce del generale divieto di aggravare i procedimenti, né utilità né senso logico.

L’obiezione non si fa però carico del dato normativo dell’incondizionata obbligatorietà del passaggio procedimentale di cui si tratta in funzione di maggior garanzia dell’impresa sottoposta a verifica, adempimento procedurale la cui utilità è stata quindi valutata già in astratto e una volta per tutte dal legislatore.

Inoltre, il momento delle precisazioni serve anche a permettere all’impresa di rimediare alle manchevolezze delle giustificazioni inizialmente presentate. La relativa richiesta da parte della Stazione appaltante ha, tra le altre, anche la funzione di attirare l’attenzione del concorrente sulle zone d’ombra che le sue giustificazioni non hanno ancora chiarito, segnalando gli eventuali difetti d’impostazione delle giustificazioni stesse, affinché queste possano essere integrate.

Alla luce di tanto, le risultanze disponibili non consentono al Collegio in alcun modo di ritenere che la verifica oggetto di causa fosse destinata ineluttabilmente a concludersi in senso sfavorevole all’offerente. E questi, d’altra parte, non ha mancato di denunziare che la violazione procedurale emersa presentava un aspetto anche sostanziale, non avendogli permesso di specificare meglio i complessi aspetti economici della propria offerta.

1h Da tutto ciò discende la fondatezza dell’illustrato mezzo d’appello.

2 Il motivo riveste valenza logicamente preliminare rispetto alle censure dedotte sul merito della medesima verifica di anomalia: a causa della radicale illegittimità procedurale riscontrata, e delle sue immancabili ripercussioni sul merito della verifica, tali censure finiscono superate, e non possono quindi trovare esame.

Il motivo accolto ha valore parimenti assorbente rispetto ai restanti mezzi, alla cui trattazione non vi è pertanto luogo.

Solo per maggior chiarezza si fa notare che la possibilità di sottoporre a verifica di anomalia l’offerta della TIDIEMME, essendo già assicurata dalla regola generale posta dall’art. 86, comma 3, del d.lgs. n. 163/2006, non dipendeva dall’aspetto –pur esso controverso- della legittimità ed opponibilità (o meno) alla ricorrente della modifica della lex specialis realizzata mediante la precisazione n. 1 del 24 novembre 2010; e neppure dipendeva, per quanto testé detto, dal diverso problema della legittimità dell’applicazione al caso concreto della previsione dell’art. 88, comma 7, secondo periodo, del Codice dei contratti pubblici.

3 Anche la domanda risarcitoria articolata dall’appellante merita accoglimento.

 

Poiché l’opera è stata già realizzata (come comprova il certificato di ultimazione dei lavori in atti), la domanda non può essere valutata che nella sua variante per equivalente monetario.

3a Ciò posto, la Sezione non ritiene di poter utilmente affidare all’Amministrazione un riesame (a questo punto, solo) virtuale dell’anomalia dell’offerta della TIDIEMME, dal momento che la pendenza della domanda risarcitoria spiegata nei suoi confronti pregiudicherebbe in radice l’imparzialità di un suo nuovo pronunciamento sul tema.

Né il Collegio potrebbe sostituirsi all’Amministrazione nella relativa valutazione, stanti i principi sopra esposti al paragr. 1d.

L’insuperabile dubbiezza dell’esito del subprocedimento di verifica dell’anomalia si proietta, allora, inevitabilmente sull’entità del risarcimento ottenibile dall’avente diritto. Il risarcimento dovrà di riflesso essere ridotto nella misura che si può determinare equitativamente, sin d’ora, nel 50 % della somma che l’impresa avrebbe potuto ottenere qualora si fosse potuto invece accertare il suo pieno diritto all’aggiudicazione.

3b Circa le condizioni di accesso al risarcimento è appena il caso di ricordare, infatti, che l’illegittimità dell’atto amministrativo già costituisce un indice presuntivo della colpa della P.A., sulla quale incombe l’onere di provare la sussistenza di un proprio ipotetico errore scusabile (C.d.S., V, 31 ottobre 2008, n. 5453).

La giurisprudenza ha sottolineato, più ampiamente (cfr. ad es. C.d.S., VI, 9 marzo 2007 n. 1114 e 9 giugno 2008 n. 2751), che al privato danneggiato da un provvedimento illegittimo non è richiesto un particolare impegno probatorio per dimostrare la colpa dell’Amministrazione. Questi può limitarsi ad allegare l’illegittimità dell’atto, potendosi ben fare applicazione, al fine della prova dell’elemento soggettivo, delle regole di comune esperienza e della presunzione semplice di cui all’art. 2727 del codice civile. E spetta a quel punto all’Amministrazione dimostrare, se del caso, di essere incorsa in un errore scusabile (cfr., tra le tante, C.d.S., IV, 12 febbraio 2010, n. 785; V, 20 luglio 2009, n. 4527).

Nel caso di specie, però, la parte pubblica onerata non ha addotto alcuna significativa incertezza interpretativa che potesse giustificare il suo operato.

D’altra parte, la Corte di Giustizia dell’U.E. ha recentemente chiarito che la direttiva 89/665 deve essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa nazionale la quale subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici, da parte di un’Amministrazione aggiudicatrice, al carattere colpevole di tale violazione. E questo anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’Amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un ipotetico difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata (Corte giustizia CE, sez. III, 30 settembre 2010, proc. C-314/09).

3c Confermandosi dunque fondata la pretesa risarcitoria dell’appellante, si può addivenire alla precisa quantificazione del risarcimento accordabile all’avente diritto.

Il risarcimento deve essere parametrato, sotto il profilo del lucro cessante, alla previsione di utile dichiarata dalla stessa TIDIEMME in sede di offerta, che assommava al 4 % del valore del contratto (in tal senso si veda la memoria della stessa appellante, pag. 5, e quella della Stazione appaltante a pag. 46): dato, questo, che non può che prevalere su quello, solo presuntivo ed astratto, della misura forfetaria del 10 % sulla quale l’appellante ha invece calibrato la propria domanda.

Il criterio di liquidazione forfetario del lucro cessante nella misura del 10 % , che si ricollega all’art. 345, l. n. 2248 del 1865 All. F., dovrebbe del resto essere desunto da disposizioni in tema di lavori pubblici che riguardano, tuttavia, altri istituti, come l’indennizzo dell’appaltatore nel caso di recesso dell’Amministrazione committente, o la determinazione del prezzo a base d’asta.

Il relativo riferimento, inoltre, conduce di solito all’abnorme risultato che il risarcimento dei danni sarebbe, per l’imprenditore, più favorevole dell’impiego del capitale. Con il che si creerebbe la distorsione per cui il soggetto ricorrente non avrebbe più interesse a provare in modo puntuale il danno subìto, poiché presumibilmente per tal via otterrebbe meno di quanto la liquidazione forfetaria gli consentirebbe (CDS, V, n. 2967/2008; VI, 21 maggio 2009 n. 3144).

La tecnica di quantificazione del danno in discorso, pertanto, pur se in una prima fase è stata indubbiamente impiegata nella pratica, dalla più recente giurisprudenza di questo Consiglio è stata messa profondamente in discussione (V, n. 2967 del 2008; VI, n. 3144 del 2009; n. 8646 del 2010), affermandosi in sua vece l’onere dell’impresa di una prova rigorosa della percentuale di utile effettivo che essa avrebbe conseguito qualora fosse risultata aggiudicataria dell’appalto (Cons. Stato, V, 6 aprile 2009, n. 2143; 17 ottobre 2008, n. 5098; 5 aprile 2005, n. 1563; VI, 4 aprile 2003, n. 478).

A conforto di tale ultimo indirizzo è recentemente giunta, infine, l’espressa previsione contenuta nell’art. 124 del Codice del processo amministrativo, a tenore del quale “se il giudice non dichiara l’inefficacia del contratto dispone il risarcimento del danno per equivalente subìto”, a condizione, tuttavia, che lo stesso sia stato “provato”.

Per le ragioni esposte, la Sezione nel caso di specie non può che considerare decisiva la previsione di utile indicata dalla stessa TIDIEMME, in sede di offerta di gara, nella misura del 4 % , nessuna prova essendo stata fornita dall’avente diritto in merito ad un proprio utile eccedente la sua stessa indicazione.

3d Al riconoscimento indicato deve aggiungersi l’ulteriore voce costituita dal danno curricolare.

L’esistenza di tale componente di danno può essere pragmaticamente ritenuta in re ipsa, in una certa contenuta misura, in quanto insita nel fatto stesso dell’impossibilità di utilizzare le referenze derivanti dall’esecuzione dell’appalto in controversia nell’ambito di futuri procedimenti simili cui la stessa ricorrente potrebbe partecipare. Il soggetto economico non può dirsi gravato, a questo proposito, da alcun particolare onere probatorio, che condizionerebbe soltanto l’accesso per la stessa voce ad un risarcimento più elevato.

Sono ormai diverse, del resto, le recenti decisioni di questo Consiglio secondo le quali non sarebbe indispensabile uno specifico supporto probatorio per l’ottenimento di ogni forma di riconoscimento a titolo di danno curricolare (cfr. le decisioni della Sezione n. 3966 del 6 luglio 2012, n. 661 del 7 febbraio 2012 e n. 2546 del 3 maggio 2012, nonché la n. 8253 del 27 novembre 2010 della Sez. IV).

Nella fattispecie può pertanto equitativamente riconoscersi un pregiudizio a titolo di danno curricolare commisurato al 2 % del valore dell’appalto.

3e Alla ricorrente non può invece attribuirsi alcuna forma di rimborso delle spese di partecipazione alla gara.

La giurisprudenza sullo specifico tema ha difatti recentemente osservato quanto segue. “Nel riconoscimento del danno da mancata aggiudicazione, se viene attribuito il ristoro del danno da mancato utile, viene escluso il danno relativo alle spese subite, in quanto nelle pubbliche gare di appalto all’aggiudicatario non viene riconosciuto il rimborso delle spese sostenute per la gara, implicitamente assorbite dal compenso per l’esecuzione dell’appalto. E, invero, nella somma liquidata a titolo di ristoro dell’utile di impresa perduto, è già ricompresa la remunerazione del capitale impiegato per la partecipazione alla gara; si evitano in tal modo ingiustificate locupletazioni derivanti dalla medesima partita di danno (Cons. giust. sic., 22 giugno 2006 n. 315; Cons. St., sez. V, 13 giugno 2008 n. 2967). Sicché, se in luogo dell’aggiudicazione si consegue il danno da mancato utile, parallelamente non spetta il danno per le spese di gara” (VI, 11 gennaio 2010, n. 20; nello stesso senso v. anche, ad es., la n. 5168 del 16 settembre 2011, nonché la n. 3966 del 6 luglio 2012 della Sezione).

3f Tantomeno la TIDIEMME potrebbe ottenere a titolo risarcitorio il richiesto rimborso delle spese legali, per il recupero delle quali vale il ben diverso e specifico regime dettato dal Codice di rito all’art. 26.

3g In conclusione, si precisa che le percentuali sopra indicate (4 % e 2%) dovranno essere riferite al valore dell’appalto così come rideterminato alla luce dell’offerta di gara dell’appellante, rammentandosi infine che l’ammontare complessivo scaturente dall’applicazione delle due percentuali andrà dimezzato per il motivo visto al paragrafo 2a.

4 Per le ragioni e nei limiti esposti l’appello deve essere accolto, potendo rimanere assorbite le censure residue.

Si ravvisano tuttavia ragioni tali da giustificare la compensazione delle spese processuali tra le parti.

 

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo accoglie, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, accoglie il ricorso di primo grado, e, di conseguenza:

– annulla l’esclusione dalla gara dell’appellante;

– condanna l’Amministrazione appellata in favore dell’appellante al risarcimento del danno, che viene liquidato nei termini di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese processuali del doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 16 ottobre 2012

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